1. La questione.
Secondo l’art. 1, comma 49, legge 92/2012, il provvedimento con cui il giudice decide l’esito della prima fase dell’impugnazione del licenziamento, è una “ordinanza immediatamente esecutiva”. Il giudizio di opposizione (seconda fase) contro tale provvedimento (comma 51, art. 1, legge 92/2012), può essere deciso dallo stesso giudice-persona fisica che ha deciso la prima fase?
2. L’ambito di applicazione del cd rito Fornero, e la prima fase dell’impugnazione.
La legge 92/2012, conosciuta anche come legge Fornero, prevede un’apposita procedura da osservare per l’impugnazione del licenziamento di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Precisamente, il comma 47 della predetta legge, sancisce che “Le disposizioni dei commi da 48 a 68 si applicano alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro”. L’atto con cui impugnare il licenziamento è il ricorso, che deve essere depositato nella cancelleria del Tribunale che giudicherà in funzione di giudice del lavoro (art. 1, comma 48, l. 92/2012). Tale ricorso deve essere redatto rispettando quanto previsto dall’art. 125 c.p.c..
Il giudice fissa con decreto l’udienza entro quaranta giorni che decorrono dal giorno del deposito del ricorso. Fissata l’udienza, il ricorso (l’atto introduttivo) ed il decreto (di fissazione della data dell’udienza) devono essere notificati entro il termine fissato dal giudice stesso. Tale termine deve essere non inferiore a venticinque giorni prima dell’udienza fissata. La notifica deve avvenire a cura del ricorrente (il lavoratore che ha impugnato il licenziamento) il quale, a tal fine, può anche servirsi della posta elettronica certificata. Il termine che invece il giudice assegna al resistente per la costituzione, deve essere non inferiore a cinque giorni prima dell’udienza sopra indicata.
L’intenzione del legislatore è stata quella di creare un processo celere. Ciò lo si può ricavare dal tenore letterale del comma 49, dello stesso articolo 1, della predetta legge 92/2012. Dispone infatti tale norma che “il giudice, sentite le parti e omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili richiesti dalle parti o disposti d’ufficio ai sensi dell’art. 421 c.p.c., e provvede, con ordinanza immediatamente esecutiva, all’accoglimento o al rigetto della domanda.” Questo è dunque il provvedimento con cui termina la prima fase.
Si può agevolmente notare l’espresso richiamo ai “Poteri istruttori del giudice” nell’ambito della disciplina relativa alle controversie in materia di lavoro, disciplinati dall’art. 421 c.p.c.. Più precisamente, tale norma prevede in capo al giudice un ampio potere istruttorio che risulta chiaramente dall’analisi del secondo comma, in quanto dispone che il giudice “Può altresì disporre d’ufficio in qualsiasi momento l’ammissione di ogni mezzo di prova, anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni ed osservazioni, sia scritte che orali, alle associazioni sindacali indicate dalle parti.”
Può essere interessante notare come in questa norma non compare l’elemento della maggiore rappresentatività del sindacato o, qualora si volesse dare maggior rilievo al dato formale, quello della sottoscrizione del contratto collettivo di lavoro applicato nell’unità produttiva, così come, ad esempio, dispone l’art. 19, l. 300/1970. L’art. 421 c.p.c., invece, lascia alle parti la facoltà di indicare le associazioni sindacali alle quali il giudice può richiedere “informazioni e osservazioni sia scritte che orali”.
3. L’eventuale opposizione.
Si è detto che nella prima fase dell’impugnazione del licenziamento, il giudice decide “con ordinanza immediatamente esecutiva” all’accoglimento o al rigetto della domanda”.
Contro questa ordinanza (sia essa di rigetto o di accoglimento), il comma 51 prevede la possibilità di proporre opposizione con ricorso “da depositare innanzi al Tribunale che ha emesso il provvedimento opposto”. Tale ricorso deve contenere quanto dispone l’art. 414 c.p.c., e deve essere depositato, “a pena di decadenza, entro 30 giorni dalla notificazione” del provvedimento opposto (cioè l’ordinanza con cui nella prima fase il giudice ha rigettato o accolto la domanda) “o dalla comunicazione se anteriore”.
Lo stesso comma 51 stabilisce che, attraverso tale opposizione, non si possono proporre domande diverse dall’impugnazione del licenziamento (cioè quelle che si erano proposte nella prima fase) o dalla qualificazione del rapporto di lavoro, “salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi o siano svolte nei confronti di soggetti rispetto ai quali la causa è comune o dai quali si intende essere garantiti”.
4. Tratti in comune della struttura del rito Fornero con il processo civile in generale.
Dall’analisi del comma 48, dell’art. 1, della Legge 92/2012, possiamo agevolmente notare che la struttura che sorregge il cd processo Fornero, presenta una notevole conformità ai principi fondamentali del nostro processo civile. Abbiamo infatti l’iniziativa di parte, che consiste nell’istanza da parte del lavoratore licenziato. Il principio della domanda, che si realizza con la richiesta rivolta al giudice di pronunciarsi sul licenziamento. E, naturalmente, abbiamo anche il principio del contraddittorio, che si realizza portando a conoscenza dell’altra parte la suddetta richiesta. Certamente abbiamo anche il principio dell’imparzialità del giudice. Anche la domanda stessa si conforma allo standard del nostro processo civile in quanto, il comma 48, prevede espressamente che tale atto (il ricorso) “deve avere i requisiti di cui all’art. 125 del codice di procedura civile”. Infatti, al fine di realizzare il principio del contraddittorio, potranno essere omesse soltanto quelle “formalità non essenziali”, così come risulta dalla formula adottata dal summenzionato comma 49.
5. Il giudice-persona fisica del procedimento in opposizione.
Com’è noto, lo strumento dell’opposizione consente di riesaminare quel provvedimento emesso al termine della fase precedente, e che una parte ritiene essere ingiusto. Se tale è lo scopo dell’opposizione di cui al comma 51, della cd legge Fornero, allora potrebbe scaturire che, affidando il compito di riesaminare il provvedimento allo stesso giudice-persona fisica che nella fase precedente ha emesso lo stesso provvedimento, ne risulti pregiudicata la garanzia dell’imparzialità di tale giudice, con il conseguente rischio di non raggiungere la finalità cui mira l’opposizione stessa.
Si può discutere se il riesame di un provvedimento possa essere qualificato come un altro grado di giudizio, anche se i termini utilizzati non portano a tale conclusione, ed anche se vi è parità di grado tra il giudice che ha emesso il provvedimento con quello del giudice che dovrà riesaminare il medesimo provvedimento. A tale proposito, infatti, autorevole dottrina (G. Mannacio) distingue tra gerarchia “ordinamentale” e gerarchia “funzionale”. Più precisamente, si afferma che il giudice del riesame ha un grado gerarchico funzionale superiore rispetto al giudice che ha emanato il provvedimento opposto. In effetti, il giudice dell’opposizione può giungere ad una decisione completamente diversa da quella a cui è giunto il primo giudice. Per tali ragioni, dunque, l’opposizione si porrebbe come un grado diverso rispetto al primo. Se è vero quanto testè affermato, ne consegue allora che se a giudicare fosse la stessa persona fisica che ha pronunciato l’ordinanza opposta, ci troveremmo di fronte alla fattispecie regolata dall’art. 51, n. 4, c.p.c., e cioè lo stesso giudice-persona fisica che decide l’oggetto del processo in due gradi diversi di giudizio. Come ulteriore conseguenza il giudice ha l’obbligo di astenersi, e può essere ricusato da ciascuna delle parti (art. 52, comma 1, c.p.c.).
Esaminando il provvedimento emanato ai sensi dell’art. 700 c.p.c., ed il decreto ingiuntivo, si possono ricavare elementi utili per comprendere meglio se vi è o meno il suddetto obbligo di astensione. Nel caso di ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c.,
al di là dei casi di ricorso in corso di causa, si può notare che manca il contraddittorio.
Il tribunale di Milano, con decisione del 9 novembre 1981, sembrerebbe invece smentire il predetto obbligo di astensione, in quanto ha stabilito che non sussiste tale obbligo in capo allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c., e che dovrà poi anche decidere il merito. Dall’altro lato, invece, tale decisione conferma la suddetta tesi a favore dell’obbligo di astensione. In particolare, si vuole sottolineare come mancando il contraddittorio non si può nemmeno parlare di processo. Inoltre, è bene rammentare che se manca il un giudizio di merito, come conseguenza si avrà l’estinzione del provvedimento d’urgenza.
Anche il procedimento per il decreto ingiuntivo, pare confermare l’esistenza dell’obbligo di astensione in capo al giudice, che decide l’opposizione al provvedimento emesso a seguito della prima fase Fornero. Nel procedimento per ingiunzione, infatti, è ammesso che a decidere la fase di opposizione al decreto, sia lo stesso giudice che nella prima fase ha emanato il decreto stesso. Ciò sulla base del rilievo che pure in tale prima fase manca il contraddittorio, il quale inizierà soltanto nella eventuale fase di opposizione che darà poi inizio al giudizio di merito di primo grado. Ed è proprio sulla base di tale considerazione che si evidenzia come l’emissione del decreto avviene all’esito di una fase che neppure essa può essere definita propriamente “processo”, appunto perché – come testé osservato – manca totalmente il contraddittorio.
Se il giudice non si astiene: “Ciascuna delle parti può proporre la ricusazione” (art. 52, comma 1, c.p.c.), con la quale si instaura un procedimento incidentale di natura giurisdizionale (Zanzucchi). Inoltre, secondo quanto dispone l’art. 54, comma 2, c.p.c., deve essere proposta rispettando le forme ed i termini stabiliti dall’art. 52 c.p.c.. In caso contrario è dichiarata inammissibile. La ricusazione viene decisa con “ordinanza non impugnabile” (art. 53, comma 2, c.p.c.). La Corte di cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 17636/2003, ha stabilito che tale non impugnabilità è compatibile con l’art. 111 Cost..
Naturalmente, la non impugnabilità dell’ordinanza che ha deciso sulla ricusazione, non soddisfa gli interessi della parte che ha proposto l’istanza, ma quelli della parte che tale istanza di ricusazione non l’ha proposta, la quale non avrebbe interesse ad impugnare. Infatti, è nel primo caso che la parte non si ritiene soddisfatta, in quanto chiede il rispetto delle norme poste a garanzia della regolarità dell’intero processo. Se il giudice non si è astenuto, ma non è stata proposta l’istanza di ricusazione, la Corte di cassazione, con sentenza n. 1688/1998, ha deciso che non si ha la nullità del processo. Il motivo di ricusazione costituisce così un’eccezione processuale che può essere sollevata dalla difesa, ed introdotta nel processo, mediante l’istanza di ricusazione appunto.
Per quel che riguarda il termine entro il quale proporre l’istanza di ricusazione, bisogna fare riferimento al momento in cui si viene a conoscenza della causa di ricusazione. Il tribunale di Ivrea, con decisione del 06 febbraio 2004, ha stabilito che il termine ultimo è l’udienza di precisazione delle conclusioni. La Corte di cassazione, con sentenza n. 11239/2004, ha deciso che l’istanza di ricusazione proposta due giorni prima dell’udienza di discussione è tardiva, con la conseguenza che viene dichiarata inammissibile.
Invero, con una recente pronuncia, il Tribunale Milano, sez. I civile, ordinanza 11.10.2013, ha deciso che: “La legge 28 giugno 2012, n. 92 (cd. rito fornero), nei co. 47 e ss. dell’art. 1, tipizza un classico modello procedimentale cd. bifasico in cui ad una fase necessaria a carattere prettamente sommario segue una fase eventuale a cognizione piena, destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di passare in giudicato: l’emissione di provvedimenti di urgenza o a cognizione sommaria da parte dello stesso giudice che è chiamato a decidere il merito della causa costituisce una situazione ordinaria del giudizio e non può in nessun modo pregiudicarne l’esito, né determina un obbligo di astensione o una facoltà della parte di chiedere la ricusazione.”
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