1.- Introduzione. Gli elementi accidentali nella donazione.
Con la pronuncia in esame la Cassazione fornisce utili coordinate interpretative riguardo alle diverse modalità operative della clausola modale e della condizione risolutiva inserite nel contratto di donazione.
La donazione è definita dall’art. 769 cod. civ. come il contratto con il quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l’altra disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un’obbligazione. La causa di liberalità1 consente di distinguere il contratto in questione dai negozi a titolo gratuito e dall’adempimento delle obbligazioni naturali, atteso che nella donazione l’attribuzione patrimoniale è effettuata al mero fine di arricchire l’accipiens e non risponde (anche) ad un interesse patrimoniale o non patrimoniale del dante causa, né viene effettuata da quest’ultimo in esecuzione di in obbligo giuridico o morale.2
Peraltro, nella donazione, per la sua caratteristica di assoluta gratuità e per la sua immediata incidenza sul patrimonio del donante, assumono eccezionale rilevanza giuridica i motivi di quest’ultimo, semprechè le finalità che muovono il donante risultino dall’atto di donazione.
Rilevano, quindi, come autonome cause d’invalidità l’errore sul motivo o il motivo illecito che abbiano determinato in via esclusiva il donante all’atto di liberalità (artt. 787 e 788 cod. civ.).
Anche nella donazione possono essere inseriti elementi c.d. accidentali, quali la condizione, il termine e l’onere (o modus).
In particolare detti elementi si distinguono da quelli essenziali poiché non partecipano alla configurazione dello schema tipico negoziale e quindi non costituiscono clausole necessarie a determinarne il contenuto.
Con specifico riferimento all’onere, il codice non ne stabilisce una disciplina generale come nel caso del termine (artt. 1183 – 1185 cod. civ.) o della condizione (artt. 1353 – 1361 cod. civ.), atteso che la clausola modale può apporsi ai soli negozi unilaterali a titolo gratuito ed in particolare alla donazione (artt. 793 e 794 cod. civ.).
Nondimeno, l’inserimento di una condizione o di un termine in un contratto di donazione, implica una valutazione della validità delle relative clausole, alla luce non solo delle norme (imperative) generali che disciplinano i due istituti (ad es: con riferimento alla condizione, gli artt. 1354 e 1355 cod. civ.), ma anche in relazione a disposizioni specifiche, come quelle dettate in materia di patti successori (art. 458 cod. civ.).
Ed, infatti, una donazione sottoposta a condizione sospensiva o al termine iniziale coincidente con la morte del donante si configura come una classica convenzione mortis causa vietata in base all’ultima norma sopra ricordata.
2.- In particolare: l’onere o modus.
Mentre il termine e la condizione incidono sull’efficacia del negozio (nel senso di determinarla o di caducarla) l’onere o modus configura in capo al donatario un’obbligazione che può avere ad oggetto una prestazione di dare, fare o anche di non fare, sia a vantaggio del donante o di terzi, sia dello stesso onerato (stabilendo ad es: che quest’ultimo utilizzi con certe modalità gradite al donante la somma o il bene donato).
In sostanza, può ritenersi che l’apposizione all’interno della donazione di una clausola modale trasformi l’atto di liberalità in questione da contratto unilaterale a bilaterale, sebbene le prestazioni del donante e del donatario non possano considerarsi tra loro sinallagmatiche.
Infatti, la prestazione imposta all’onerato non può essere in alcun modo legata da un nesso di corrispettività con quella del donante, atteso che altrimenti verrebbe meno la causa di liberalità che caratterizza il contratto in questione. Piuttosto, l’adempimento dell’onere risponde alla necessità di assicurare al donante la soddisfazione di un interesse di natura non patrimoniale e non una forma di compensazione economica per l’atto di liberalità.3
Proprio per la natura non sinallagmatica, l’inadempimento dell’onere da parte del donatario non può comportare in suo danno la risoluzione della donazione ex art. 1453 cod. civ. e ss., salvo che tale possibilità non sia prevista espressamente nel contratto (art. 793 cod. civ).
3.- Il casus decisus.
La fattispecie concreta sulla quale la Suprema Corte si è pronunciata, con la sentenza in commento, concerne un atto di liberalità avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di una palazzina in favore del Comune nel cui territorio l’immobile era ubicato, contenente anche apposita previsione di risoluzione ove – entro i termini stabiliti dalle parti – l’immobile stesso non fosse stato trasformato, secondo le intenzioni del donante, in casa di cura per anziani.
Attesa la mancata realizzazione della destinazione dell’immobile all’uso pattuito nel contratto, la parte donante conveniva in giudizio il donatario per far dichiarare risolta la donazione e per ottenere la condanna dell’Ente locale alla restituzione dell’immobile stesso.
In particolare, la competente Corte territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, riteneva che le parti avessero apposto alla donazione non tanto una clausola modale quanto una condizione risolutiva mista ad un termine finale avveratasi per il solo fatto che, entro il termine contrattuale, l’immobile non era stato adibito all’uso convenuto.
Avendo il Comune donatario proposto ricorso per Cassazione avverso tale pronuncia, il principale problema che si è posto all’attenzione della Suprema Corte è stato quello di qualificare giuridicamente la citata clausola risolutiva inserita nella donazione in questione.
Al riguardo, la difesa del Comune, nel prospettare la pattuizione in esame come clausola modale, ha sostenuto che la risoluzione della donazione non poteva essere dichiarata nel caso di specie, sia perchè il Comune aveva comunque – almeno in una prima fase – adempiuto all’onere contrattualmente stabilito ricoverando alcune persone anziane nell’immobile donato, sia in quanto aveva iniziato i lavori necessari al mutamento della destinazione d’uso del medesimo entro i termini stabiliti nel contratto, non potendoli, tuttavia, tempestivamente concludere per causa non imputabile all’Ente donatario (in particolare per effetto dell’inopinato mutamento della normativa di settore).
Tuttavia, disattendendo quanto sostenuto dalla difesa comunale, la Suprema Corte, ha ritenuto che le parti, mediante la clausola in questione, abbiano espressamente richiamato la “risoluzione di diritto” (che produce l’effetto risolutivo in via automatica ed immediata), e quindi che esse si siano necessariamente riferite al meccanismo di operatività tipico della condizione risolutiva e non a quello della clausola modale.
Ed infatti, secondo la Cassazione, venendo in rilievo nella fattispecie in questione una condizione risolutiva e non un inadempimento ad un onere, alcuna rilevanza avrebbe potuto avere il comportamento del donatario in ordine al verificarsi dell’evento futuro ed incerto dedotto nella clausola condizionale, né avrebbero, in relazione ad essa, trovato applicazione i principi che regolano l’imputabilità dell’inadempimento in materia di obbligazioni.4
4.- conclusioni
Pur presentandosi all’interprete notevoli difficoltà nell’individuare la natura giuridica della clausola in esame, non sembra potersi condividere la ricostruzione della medesima offerta dalla Suprema Corte in termini di fattispecie condizionale.
Infatti, aderendo alla tesi delle S.U. si finisce con il far coincidere la realizzazione della condizione risolutiva con la mera condotta omissiva – inadempiente di una delle parti del contratto (ossia del donatario che, entro un certo termine avrebbe dovuto effettuare i lavori necessari al funzionamento dell’immobile come casa di cura per anziani).
Sennonché mediante tale prospettazione il verificarsi dell’evento futuro ed incerto oggetto della condizione risolutiva viene fatto dipendere essenzialmente dalla volontà del donatario, tanto da far assumere alla clausola in esame gli effetti tipici della condizione meramente potestativa, (per cui è stabilita la nullità ai sensi dell’art. 1355 cod. civ).
Inoltre, ove la mancata esecuzione della prestazione da parte del donatario onerato si ritenesse, in via generale, fatto idoneo ad avverare una condizione risolutiva, si addiverrebbe, sostanzialmente, al risultato di disapplicare la disposizione di cui all’art. 793, 3° comma cod.civ., atteso che ogni inadempimento può essere ritenuto un fatto futuro ed incerto e, quindi, astrattamente suscettibile di rientrare nel meccanismo condizionale.
Sembra, quindi, più corretto ritenere che laddove le parti abbiano condizionato l’efficacia dell’atto di liberalità all’omessa esecuzione da parte del donatario di una determinata prestazione (evento non indipendente dalla volontà di quest’ultimo) esse abbiano voluto inserire nella donazione una clausola modale e non clausola condizionale.
Peraltro, l’inquadramento della fattispecie in questione nell’ambito della donazione condizionata anziché in quella modale non è priva di conseguenze sul piano pratico.
A parte l’irrilevanza della non imputabilità dell’omessa esecuzione della prestazione, nel caso di condizione risolutiva, la sua verificazione, produce immediatamente ed ex tunc la cessazione degli effetti della donazione (art. 1360, 1 comma cod. civ.) accertabile a mezzo di sentenza dichiarativa.
Invece, il citato art. 793, 3° comma cod. civ, nel qualificare l’inottemperanza all’onere come “inadempimento” contrattuale, non prevede l’automatica inefficacia del contratto di donazione.
Infatti, secondo tale norma, la risoluzione della donazione per inadempimento dell’onere, ove espressamente prevista nell’atto, “può” essere domandata dal donante e dai suoi eredi o aventi causa.
Ne deriva che, fin quando essa non sia domandata e non intervenga la relativa pronuncia giudiziale (costitutiva) di risoluzione del contratto, la donazione rimane efficace.
Abstract
Quando nelle donazioni viene in rilievo una condizione risolutiva alcuna rilevanza è attribuibile al comportamento del donatario in ordine al verificarsi dell’evento futuro ed incerto dedotto nella clausola condizionale, non trovando, quindi, applicazione i principi che regolano l’imputabilità dell’inadempimento in materia di obbligazioni
LA SENTENZA
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONI UNITE – SENTENZA 11 aprile 2012, n.5702 – Pres. Rovelli – est. *********
LA MASSIMA
Mentre nella donazione modale l’onere imposto al donatario costituisce una vera e propria obbligazione, con la conseguente rilevanza dell’indagine volta ad accertare se la sua mancata esecuzione dipenda da inadempimento imputabile al donatario, l’avveramento dell’evento futuro ed incerto previsto dalle parti come condizione risolutiva del contratto produce effetti a prescindere da ogni indagine sul comportamento colposo o meno dei contraenti in ordine al verificarsi dell’evento stesso, tenuto conto che nella disciplina delle condizioni del contratto non possono trovare applicazione i principi che regolano l’imputabilità in materia di obbligazioni.
IL TESTO
(omissis)
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 37 c.p.c., assume che il giudice di appello ha omesso di rilevare il proprio difetto di giurisdizione, considerato che la presente controversia era devoluta alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, essendo essa correlata all’espletamento di un servizio pubblico nell’esclusivo interesse della collettività, e dunque con richiamo ad atti, provvedimenti e comportamenti comunque correlati all’esercizio di un pubblico potere, inequivocabilmente riconoscibile nella delibera del Consiglio Comunale del 2-10-2004 – del tutto ignorata dalla Corte territoriale – con la quale era stato istituito il servizio di assistenza degli anziani ed era stato dato detto servizio e l’ex Palazzo Rivellini (oggetto della donazione) in affidamento alla Cooperativa Primula Service.
La censura è inammissibile.
Infatti è decisivo rilevare che il Tribunale di Benevento aveva respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario, e che il Comune di Pontelandolfo in sede di appello non ha riproposto la questione di giurisdizione con appello incidentale, come pure era suo onere; invero, allorchè il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intenda contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto, eventualmente in via incidentale condizionata, trattandosi di parte vittoriosa; diversamente l’esame della relativa questione è preclusa in sede di legittimità, essendosi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione (Cass. S.U. 9-10-2008 n. 24883; Cass. S.U. Ord. 28-1-2001 n. 2067).
Deve poi essere esaminato prioritariamente il sesto motivo di ricorso con quale il Comune di Pontelandolfo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 793 c.c., assume che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che la clausola apposta alla donazione integrasse una condizione risolutiva invece che una donazione modale; ricorreva invece tale ultimo istituto, perché la clausola risolutiva espressa faceva derivare la risoluzione del contratto non già dal verificarsi di un avvenimento futuro ed incerto, ma dall’adempimento dell’onere imposto al Comune donatario che costituiva una vera e propria obbligazione da eseguire entro un termine, peraltro non essenziale.
La censura è infondata.
Premesso che il giudice di appello ha ritenuto che la clausola apposta alla donazione del 25-3-1987 – secondo la quale, se i lavori di ristrutturazione dell’immobile donato per adibirlo a casa di riposo per anziani del luogo non fossero stati realizzati entro il termine ivi previsto e successivamente prorogato al 31-10-1994, consentendo l’effettivo esercizio di una attività di ricovero di detti anziani, la donazione si sarebbe risolta di diritto ed il Comune di Pontelandolfo sarebbe stato obbligato a restituire gratuitamente l’intero immobile alla donante – integrava una condizione risolutiva mista e non un “modus”, si rileva che il ricorrente, lungi dal censurare specificatamente l’interpretazione della predetta clausola resa dal giudice di merito con la specifica indicazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale in ipotesi violati e con la precisazione delle modalità attraverso le quali il giudice si era da essi discostato, ovvero dal dedurre vizi di motivazione (in effetti neppure prospettati), si è limitato inammissibilmente ad offrire apoditticamente una diversa interpretazione della clausola in oggetto, non considerando l’evidente inidoneità in tale sede di una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito che si risolva solamente nelle contrapposizione di una diversa interpretazione ritenuta corretta dalla parte.
Può comunque aggiungersi che la trascrizione nel ricorso di alcune espressioni contenute nell’atto di donazione menzionato sembrano confortare il convincimento al riguardo espresso dalla Corte territoriale; in tal senso rileva il fatto che nella delibera del 15-10-1986 del Comune di Pontelandolfo espressamente richiamata nel contratto di donazione veniva previsto che “se tale opera” non fosse stata “iniziata e realizzata con il ricovero manifesto di cittadini bisognosi di assistenza…” la donazione stessa avrebbe dovuto intendersi “risoluta di diritto” con l’obbligo da parte del Comune donatario di “restituire gratuitamente e senza pagamento di alcuna somma di denaro, con regolare atto pubblico notarile, l’intero immobile alla donante…”, considerato che la condizione risolutiva si distingue dal “modus” per il fatto di risolvere automaticamente, al suo verificarsi, gli effetti del negozio, come appunto previsto nella fattispecie, a prescindere dalla valutazione di un inadempimento imputabile al donatario, indagine che invece comporta la donazione modale in caso di mancato avveramento del “modus”.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. ed insufficiente e contraddittoria motivazione, assume che la sentenza impugnata, nel procedere all’interpretazione della condizione risolutiva prevista nel contratto di donazione predetto, ha ritenuto che essa non individuava particolari categorie di lavori da compiersi, da parte del Comune donatario, nell’immobile donato, che taluni lavori di “adeguamento”, pure oltremodo opportuni e diretti a migliorare il livello di vita dei ricoverandi, non rientravano, secondo il volere dei contraenti, tra gli elementi dedotti nella condizione risolutiva stessa, ben potendo la struttura funzionare anche senza di essi, e che pertanto sarebbe stato sufficiente realizzare, nei tempi pattiziamente convenuti, quei lavori essenziali per l’avvio dell’attività, anche se con offerta di un modesto livello di conforts.
Il ricorrente rileva che in tal modo il giudice di appello non ha individuato gli interventi prescritti da leggi anche sopravvenute all’atto di donazione per cui è causa relativamente ad una casa di cura per anziani, interventi la cui esecuzione preventiva era prescritta da norme inderogabili di legge; d’altra parte la Corte territoriale non ha adeguatamente valutato l’inequivocabile volontà manifestata dalla R.M. nell’atto di donazione di “adibire gli immobili a casa di riposo per anziani”, con la conseguente volontà manifestata da parte del Comune di Pontelandolfo di provvedere alla radicale ristrutturazione dell’immobile oggetto di donazione ed al necessario adeguamento costruttivo, tecnico e funzionale alla stregua di tutte le prescrizioni inderogabili vigenti in materia, come in effetti era avvenuto con l’esborso della somma di oltre 500.000,00 euro.
Il ricorrente poi assume che sotto altro profilo, sempre attinente all’interpretazione della volontà delle parti riguardante la condivisa intenzione di destinare l’immobile a casa di riposo per anziani, era rilevante l’atto aggiuntivo intervenuto il 29-12-1993 con il quale la R.M., nel dare atto dell’impossibilità di rispettare il termine originariamente previsto per l’esecuzione delle opere di adeguamento dell’immobile conseguente a cause non imputabili al Comune di Pontelandolfo, aveva concesso in differimento di detto termine.
Con il terzo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 1457 c.c. ed insufficiente e/o contraddittoria motivazione, sostiene che la sentenza impugnata ha affermato che la mera inosservanza del termine originario, successivamente prorogato dalle parti per consentire il completamento degli interventi già in parte eseguiti per l’adeguamento strutturale e funzionale dell’immobile donato a casa di riposo per anziani, aveva determinato la risoluzione automatica del contratto; in tal modo non è stato considerato che il ritardo verificatosi nell’esecuzione dei lavori, lungi dal poter essere addebitato ad inerzia e/o negligenza del Comune di Pontelandolfo, era stato causato dall’obbligo dell’esponente di osservare in materia le molteplici norme sopravvenute, come in particolare quelle sull’abbattimento delle barriere architettoniche.
Il ricorrente inoltre evidenzia che, anche qualora si ritenesse che le parti avessero voluto pattuire un termine essenziale per l’esecuzione dei lavori dalla cui scadenza far discendere lo scioglimento del contratto, in ogni caso non avrebbe potute essere pronunciata la risoluzione contrattuale, atteso che difetta comunque l’indispensabile requisito della colpevolezza dell’inadempimento.
Con il quarto motivo il Comune di Pontelandolfo, deducendo vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver escluso, sulla base dell’incarto processuale e del libero interrogatorio delle parti, la sussistenza di un apparato organizzativo segnatamente afferente l’attività propria della asserita casa di riposo; in tal modo, rileva il ricorrente, da un lato era stata valorizzata la dichiarazione resa in sede di interrogatorio libero delle parti da un dipendente comunale non informato, e dall’altro lato era stata omessa la valutazione della delibera comunale sopra già menzionata del 2-10-2004 (prodotta ritualmente per la prima volta nel giudizio di appello in quanto successiva alla sentenza di primo grado) con la quale era stato disposto l’affidamento in concessione del Servizio di gestione del centro residenziale “Comunità Alloggi per Anziani” (ex Palazzo Rivellini) alla società Cooperativa Primula Servite, cosicchè tale servizio era pienamente funzionante con numerosi anziani ricoverati.
Con il quinto motivo il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1366-1367 e 1375 c.c., afferma che la Corte territoriale è pervenuta alla Declaratoria di risoluzione dell’atto di donazione per cui è causa in esito ad un sommario “iter” argomentativo, sostanzialmente assertivo, in contrasto con il criterio ermeneutico di conservazione degli atti giuridici e con gli obblighi di interpretazione ed esecuzione del contratto secondo buona fede; era infatti pacifico che l’ex Palazzo Rivellini era stato radicalmente trasformato e destinato a casa di riposo per anziani a cura e spese del Comune esponente mediante l’esecuzione di onerosi e complessi interventi, e che esso era attualmente utilizzato come ricovero per anziani che, allo stato, ne usufruiscono in numero consistente; era quindi evidente che la domanda di risoluzione della donazione formulata dalla R.M. solo dopo il completamento dei lavori da parte dell’esponente forniva la prova di un comportamento da parte di quest’ultima in contrasto con le regole di cui agli artt. 1366-1367 e 1375 c.c.
Le enunciate censure, da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondate.
Il giudice di appello, premesso che la sopra richiamata condizione risolutiva non prevedeva particolari categorie di lavori da compiersi nell’immobile oggetto della donazione, ha ritenuto che i lavori per i quali erano previsti i termini di inizio e completamento dovevano intendersi quelli occorrenti per consentire, in condizioni di sicurezza e di igiene, l’istituzione di una casa di cura funzionante; orbene alla luce degli elementi probatori acquisiti ed anche delle risultanze del libero interrogatorio delle parti la Corte territoriale, pur dando atto dell’avvenuto ricovero nel predetto immobile di alcuni anziani nei termini pattuiti, ha escluso l’esistenza di alcun protocollo per l’ammissione di coloro che avevano fruito di fatto dell’ospitalità in esso, nonché di un apparato organizzativo segnatamente afferente l’attività propria di una casa di riposo; ha poi aggiunto che tale mera ospitalità – inidonea a dimostrare l‘avveramento dell’evento dedotto in condizione – era comunque venuta meno nel 1989 per consentire la realizzazione di quei lavori strumentali rispetto ad una effettiva gestione della casa di riposo, non ultimati né nel termine previsto nell’atto di donazione, né in quello prorogato nell’atto aggiuntivo; ha quindi concluso che il superamento di tali termini rendeva irrilevante stabilire se in seguito le opere strutturali fossero state compiute e l’attività gestionale esercitata, perché anche in tale ipotesi (comunque esclusa dalle risultanze istruttorie), non sarebbe stato escluso l’avveramento del fatto dedotto in condizione e, quindi, la fondatezza della pretesa restitutoria della donante.
Orbene in presenza di tale convincimento, frutto di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, devono essere disattese le censure del ricorrente che tendono inammissibilmente a prospettare una diversa ricostruzione a sé più favorevole della vicenda che ha dato luogo alla presente controversia.
Sotto ulteriore profilo, attinente alla non imputabilità al Comune di Pontelandolfo della mancata realizzazione dell’immobile donato della casa di cura per anziani nei termini contrattualmente pattuiti per le diverse ragioni esposte nei motivi in esame, occorre evidenziare l’irrilevanza di tali argomentazioni una volta configurata la clausola sopra richiamata come una condizione risolutiva e non come un “modus”; invero, mentre nella donazione modale l’onere imposto al donatario costituisce una vera e propria obbligazione, con la conseguente rilevanza dell’indagine volta ad accertare se la sua mancata esecuzione dipenda da inadempimento imputabile al donatario, l’avveramento dell’evento futuro ed incerto previsto dalle parti come condizione risolutiva del contratto produce effetti a prescindere da ogni indagine sul comportamento colposo o meno dei contraenti in ordine al verificarsi dell’evento stesso, tenuto conto che nella disciplina delle condizioni del contratto non possono trovare applicazione i principi che regolano l’imputabilità in materia di obbligazioni (Cass. 13-12-1979 n. 6505; Cass. 6-9-1991 n. 9388).
Il ricorso deve pertanto essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di euro 200,00 per spese e di euro 4000,00 per onorari di avvocat
1CFR. Cass. 3 giugno 1980, n. 3621
2 Come testo di riferimento si veda: Successioni e Donazioni di ********************, **************** di diritto privato di *************, volume V ************ ed. 2005.
3 **************, Successioni e Donazioni, terza edizione, Giuffrè Editore, pag. 1585 e ss..
4 Cass. 13-12-1979 n. 6505; Cass. 6-9-1991 n. 9388.
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