1. Il Fatto: – I figli di un dipendente di un ente locale territoriale deceduto per causa di servizio, avevano promosso contro l’INPDAP (Istituto Nazionale di previdenza per i dipendenti pubblici) giudizio civile al fine del riconoscimento del loro diritto all’ottenimento della c.d. indennità premio di servizio dovuta al loro genitore per una quota pari al 60% dell’importo complessivo, mentre il restante 40% sarebbe stato erogato al coniuge superstite cui, però, l’INPDAP aveva corrisposto integralmente il premio. Il Tribunale ordinario di Lecce, ha sollevato, indicando quale parametro violato l’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della l. ordinaria dello Stato 8 marzo 1968 n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli enti locali) nella parte in cui non prevede che, laddove con il coniuge superstite concorrano orfani maggiorenni, l’indennità premio di servizio venga ripartita tra di essi tra di essi secondo le previsioni di cui all’art. 5, 3° comma, del D.Lgs. 29 dicembre 1973 n. 1032 (Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali dei dipendenti civili e militari dello Stato). In altre parole, l’ordinanza di rimessione del giudice a quo investe la Corte Costituzionale del classico giudizio di ragionevolezza il quale non si risolve nella valutazione della intrinseca bontà delle scelte legislative operate dall’organo parlamentare, bensì, viceversa, nella coerenza delle differenziazioni legislative, valutata non in astratto ma nel rapporto con il trattamento che le leggi riservano ad altre categorie comparabili con quella contestata. In particolare, il “rimettente denuncia la ingiustificata disparità di trattamento che si verificherebbe ai danni degli orfani maggiorenni del dipendente di ente locale deceduto in corso di servizio (i quali, nel caso in cui vi sia anche il coniuge superstite, non concorrono nella distribuzione dell’indennità premio di servizio che viene attribuita integralmente al coniuge), rispetto agli orfani maggiorenni del dipendente statale deceduto anch’esso in corso di servizio (i quali, anche nel caso di coesistenza con il coniuge superstite, percepiscono comunque una quota dell’indennità di buonuscita)” (si veda punto 1 del cons. in dir.).
2. La declaratoria di inammissibilità della Corte Costituzionale: – Con la pronuncia in commento, ordinanza n. 347/2007, il giudice delle leggi dichiara la manifesta inammissibilità della quaestio sollevata, ritenendo che “se è consentito che il trattamento di fine rapporto del dipendente può essere sottratto all’asse ereditario per essere devoluto in via preferenziale a soggetti legati al lavoratore da un determinato vincolo familiare, deve essere riconosciuto al legislatore un certo grado di discrezionalità nell’individuare i soggetti beneficiari ed i criteri per distribuire l’emolumento tra di essi” (si veda il punto 3 del cons. in dir.). In sostanza, la Corte si limita a riconoscere che, nell’ambito dello stesso contesto normativo, non vi è un’unica soluzione logicamente necessitata poiché il carattere libero dell’attività del Parlamento può prevedere plurimi modelli legislativi di erogazione in forma indiretta dei trattamenti di fine rapporto spettanti ai lavoratori dei vari settori pubblici e privati. Inoltre, secondo il giudice costituzionale, non è possibile neppure invocare, a sostegno della tesi dei ricorrenti, la giurisprudenza della Corte ed in particolare le sentt. nn. 763 e 821/1988 in quanto se è vero che, da un lato, le stesse ineriscono all’indennità di cui in esame a seguito della riscontrata disparità di trattamento rispetto alla disciplina dell’indennità di buonuscita, dall’altro lato, i casi da cui traevano le mosse quelle pronunce riguardavano un’ipotesi “altera” da quella esaminata dalla Corte con l’ordinanza annotata perchè consisteva nell’esistenza di fattispecie per le quali non era contemplata l’insorgenza dell’indennità premio servizio, mentre, invece, era assicurata la corresponsione dell’emolumento ma unicamente a titolo di indennità di buonuscita. Sembra, tuttavia, che il richiamo al carattere libero e multiforme dell’attività legislativa ordinaria costituisca, nel caso de quo, un paravento dietro il quale la Corte si nasconde per non affrontare direttamente la questione e l’utilizzo dello strumento processuale ordinatorio ne è la prova tangibile. A riguardo, la dottrina (Paladin) ha rilevato come quanto più basso è il grado della generalità-astratezza e, dunque, quanto più ristretto è il novero dei destinatari di certe discipline ad esclusione di altri destinatari potenziali, tanto più deve essere severo il controllo sulla ragionevolezza delle scelte effettuate in tal senso dal legislatore.
Daniele Trabucco
Assistente in Istituzioni di Diritto Pubblico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Padova (daniele.trabucco@alice.it)
Innocenzo Megali
(24 ottobre 2007)
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