I recenti scandali finanziari che hanno interessato il nostro Paese negli ultimi anni hanno fatto emergere l’esistenza di un vulnus nel sistema di tutela dei diritti di risparmiatori, utenti e consumatori.
In particolare, l’evoluzione della vicenda Parmalat ha evidenziato l’insufficienza dei rimedi civilistici previsti dall’ordinamento. Come sottolineato in dottrina
[1], difatti, quando in Italia si fa riferimento al concetto di “
enforcement” si intende comunemente il “
public enforcement”, poiché i rimedi civilistici (
private enforcement) volti a garantire l’effettiva tutela degli interessi dei singoli risultano spesso inadeguati.
In seguito alla vicenda Parmalat e agli altri recenti scandali finanziari che hanno coinvolto i risparmiatori italiani, sono state introdotte una serie di previsioni le quali, lungi dal costituire una scelta di discontinuità rispetto al passato, sembrano porsi nel solco del tradizionale orientamento pubblicistico del legislatore.
Innanzitutto, si è intervenuti nella direzione del rafforzamento delle
Authorities già oggi incaricate della tutela di consumatori, risparmiatori e utenti
[2].
In questo senso si è mossa la recente riforma sulla tutela del risparmio
[3] la quale, da un lato, ha rafforzato i poteri sanzionatori delle autorità di vigilanza, dall’altro, ha previsto sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie sia innanzi alla Consob per la violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con la clientela
[4], sia davanti alla Banca d’Italia in materia di operazioni e servizi bancari
[5].
A ben vedere, in generale, il verificarsi di illeciti dovrebbe essere impedito attraverso un sistema di regolazione
ex ante dei mercati finanziari che tracci i confini dell’azione degli operatori e imponga regole di correttezza e trasparenza, risultando così idoneo a sanare l’asimmetria informativa fisiologica tra coloro che sollecitano l’investimento e i risparmiatori
[6].
D’altro canto, deve osservarsi come il tema dell’efficienza della regolazione vada collocato su un piano differente rispetto al problema del risarcimento dei danni derivanti dalla violazione delle regole vigenti. Un ordinamento giuridico dovrebbe, in ogni caso, predisporre dei meccanismi che consentano ai singoli danneggiati da un comportamento illecito di essere integralmente risarciti dei danni subiti, in considerazione dell’esigenza di far fronte alle ipotesi in cui il sistema di regolazione ex ante e il cosiddetto public enforcement non risultino sufficienti a scongiurare il verificarsi di situazioni patologiche.
Il legislatore italiano si è però orientato, in passato come oggi, su un tipo di tutela che interviene prevalentemente, se non esclusivamente, ex ante. Viceversa, sarebbe stato preferibile porre l’accento – come avvenuto nell’ordinamento statunitense – altresì su un tipo di tutela ex post che, come risulta dall’evoluzione del caso Parmalat negli Stati Uniti, consente ai soggetti danneggiati di essere risarciti per i danni subiti mediante il ricorso a strumenti processuali i quali, consentendo l’accesso alla giustizia, garantiscano l’effettività della tutela.
In presenza di un ordinamento che non predispone strumenti idonei a rendere conveniente agire in giudizio per richiedere il risarcimento del danno, né meccanismi idonei a riequilibrare la posizione processuale del singolo fisiologicamente squilibrata a favore dell’impresa convenuta, non può ritenersi assicurato l’accesso alla giustizia e quindi garantita la tutela dei soggetti danneggiati.
In un sistema quale quello italiano, che sinora non ha previsto la possibilità di gestire collettivamente le controversie, con la conseguenza di non consentire, da un lato, il prodursi di economie di scala con riferimento al fattore costi e, dall’altro, la possibilità per il singolo di agire come gruppo e di superare in tal modo la prospettiva individuale che lo pone in una situazione di svantaggio nei confronti della società convenuta, l’accesso alla giustizia poteva ritenersi de facto precluso.
Il superamento delle situazioni illustrate, che limitano fortemente l’iniziativa individuale del singolo e dunque l’effettività della tutela, sembra prospettabile in virtù della introduzione nel nostro ordinamento di un istituto analogo alla class action statunitense.
La gestione collettiva delle controversie genera la creazione di economie di scala nel sistema dei contenziosi giudiziari: l’aggregazione delle domande e dei procedimenti giudiziari consente un notevole risparmio di costi per gli utenti, consumatori e risparmiatori, che vedono suddivisi fra una moltitudine di soggetti le spese del contenzioso
[7].
Inoltre, la possibilità di gestione collettiva delle controversie consente di riequilibrare la posizione processuale del singolo fisiologicamente squilibrata a favore dell’impresa: la possibilità per il soggetto leso di agire in giudizio come gruppo gli conferisce quella forza che invece non aveva quale singolo, ponendo così rimedio alla sua posizione di svantaggio rispetto alla società convenuta.
D’altronde, l’introduzione di una tutela di tipo collettivo risarcitorio potrebbe altresì risultare “a monte” un valido strumento di deterrenza nei confronti di eventuali condotte illecite delle società. Esse difatti, a fronte di una valutazione economica costi-benefici, potrebbero sovente essere dissuase dal tenere condotte contra ius: i costi che la società dovrebbe sostenere per risarcire i soggetti danneggiati – in presenza di un sistema risarcitorio che garantisca l’effettività della tutela e quindi l’effettivo esborso da parte delle società di ingenti somme di denaro per risarcire i danneggiati – sarebbero superiori o uguali ai benefici di cui la medesima potrebbe appropriarsi quali risultati dei comportamenti illeciti.
Pertanto, in conseguenza di ciò, la possibilità di fruire dell’azione collettiva risarcitoria,consentendo un più agevole ed effettivo risarcimento dei danni, potrebbe produrre risultati funzionali altresì agli obiettivi istituzionali della regolazione ex ante, inibendogli eventuali comportamenti illeciti delle società.
Si deve pertanto rilevare l’importanza di una riconsiderazione del rapporto tra public e private enforcement nell’ordinamento italiano, in quanto lo sviluppo dei rimedi privatistici, oltre a garantire l’effettività della tutela ai soggetti danneggiati, costituisce altresì un efficace strumento di deterrenza nei confronti di eventuali condotte illecite poste in essere dalle società.
Risulta dunque evidente l’opportunità della introduzione dell’azione collettiva risarcitoria nel nostro ordinamento, in quanto tale intervento costituirebbe un passo importante nella direzione del rafforzamento dei rimedi privatistici a tutela dei diritti di risparmiatori, utenti e consumatori.
Dott.ssa Claudia Stazi
claudiastazi@hotmail.com
[1] FERRARINI-GIUDICI, Financial Scandals and the Role of Private Enforcement: The Parmalat Case, consultabile sul sito web <http://ssrn.com>.
[2] Questa scelta, è stata dettata dalla considerazione secondo cui in passato l’esigenza di tutela di tali soggetti è stata efficacemente realizzata anche mediante l’istituzione di un articolato sistema di autorità indipendenti, volto a controllare e regolare, nell’interesse dei medesimi, i diversi settori produttivi.
[3] Legge 28 dicembre 2005, n. 262, in G.U. n. 301 del 28 dicembre 2005.
[4] Legge n. 262/2005: l’articolo 27 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per l’istituzione di procedure di conciliazione e di arbitrato e di un sistema di indennizzo in favore degli investitori e dei risparmiatori.
[5] Cfr. ancora legge n. 262/2005, art. 29, ove si prevede che i criteri per lo svolgimento delle suddette procedure
di risoluzione stragiudiziale delle controversie siano determinati con deliberazione del CICR, su proposta della Banca d’Italia. In argomento si rileva, comunque, la portata limitata degli strumenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie, così come elaborati dal legislatore. Essi, difatti, avrebbero ad oggetto esclusivamente le controversie insorte tra risparmiatori/investitori ed intermediari finanziari per la violazione degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza previsti nei rapporti contrattuali con la clientela, con la conseguenza di escludere il ricorso a tali strumenti di tutela stragiudiziale nelle ipotesi di controversie insorte fra investitori e società emittenti. Peraltro, si sottolinea come sia scaduto il termine previsto dalla legge sul risparmio per l’attuazione della delega da parte del Governo, il quale come accennato era stato incaricato di emanare un decreto legislativo per l’istituzione di procedure di conciliazione stragiudiziale.
[6] DI NOLA, PORRINI, RAMELLO,Class action, mercati finanziari e tutela dei risparmiatori, consultabile sul sito web <http://www.sp.unipmn.it/fileRepository/
pubblicazioni/ ClassActions.pdf15>, p. 16.
[7] A ciò si aggiunga che, nel caso in cui si stipuli un “patto di quota lite”, i singoli danneggiati non dovranno anticipare le spese per l’avvio della procedura.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento