Sommario: Premessa. 1. Il mandato di arresto europeo; 2. La legge 22 aprile 2005, n. 69; 3. Le pronunce giurisprudenziali; Conclusioni.
L’Autore, funzionario AUSL, è Docente Incaricato di: Diritto Privato al Corso di Laurea Specialistica in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, e di: Elementi di Diritto Pubblico al Corso di Laurea in Tecnico di Laboratorio Biomedico; presso la Università “G.D’Annunzio” – Facoltà di Medicina e Chirurgia di Chieti-Pescara; a.a. 2006/2007.
Premessa.
Il mandato di arresto europeo, d’ora in avanti MAE, è un istituto giuridico creato dalla legislazione comunitaria attraverso la Decisione quadro del 13.6.02, recepita in Italia con legge n. 69 del 22.4.05.
Le finalità principali della Decisione riguardano la costituzione di uno spazio europeo comune all’interno del quale consentire agli Stati membri una collaborazione, basata sulla reciproca fiducia, in materia penale.
A distanza di due anni dalla sua introduzione in Italia sono emerse una serie di dissonanze, scaturite dalla necessità di dovere amalgamare tra loro la normativa comunitaria con quella interna, che hanno richiesto un intervento risolutore della suprema Corte.
Quest’ultima chiamata a pronunciarsi in merito alla reale portata dell’art. 18, lett. e) della L.n. 69/05, relativamente alla non eseguibilità del MAE qualora la legislazione dello Stato membro richiedente non fissi i limiti massimi della carcerazione preventiva, ha fornito una interpretazione flessibile, indotta in tale decisione anche dal desiderio di non penalizzare il nostro Paese nei rapporti con la U.E.
Una valutazione giuridica dell’istituto in questione non può prescindere, quindi, da un suo esame politico, attese le molteplici interconnessioni che esso produce in delicati settori (si pensi solo a quello dell’ordine pubblico) e in delicatissimi diritti di rango costituzionale quali: il diritto alla libertà personale, la tutela dei diritti di personalità, l’esercizio della azione penale, ecc.
Attraverso la creazione di tale istituto giuridico appare, a parere dello scrivente, che si sia verificata una lacerazione di quel tessuto fatto di principi e di istituti giuridici che connotavano la Unione Europea e, prima ancora, il nostro ordinamento costituzionale[1].
Sembra, infatti, che siano stati indeboliti: il principio della certezza del diritto[2], quello di tassatività[3], quello del giusto processo[4], quello della doppia incriminazione[5], ecc.
Analogo strappo ha finito per prodursi anche in Italia con la legge n. 69/05 che, appunto, ha recepito il MAE.
Si pensi al principio, sancito dalla Costituzione, in base al quale il cittadino deve essere giudicato dal “giudice naturale precostituito per legge[6]”, così come alla tutela della personalità, con particolare riguardo al trattamento dei dati personali.
Costituisce fonte di ulteriore preoccupazione la esistenza di una deriva libertaria[7] che, a seguito dei tragici attentati di stampo terroristico prodottisi negli Stati Uniti ed in Europa nel primo quinquennio del duemila, sembra abbia colpito sia il legislatore comunitario che quello italiano portandoli a comprimere diritti che si consideravano ormai consolidati e, quindi, patrimonio comune.
L’avere, erroneamente, ritenuto che una riduzione dei diritti fondamentali della persona umana, sia come singolo che come componente di un gruppo sociale, potesse e dovesse essere giustificata da un aumento del livello di sicurezza garantito dallo Stato ha evidenziato nell’ultimo quinquennio una serie di limiti difficili da smentire.
Ciò che invece è certo è che il ridimensionamento di una serie di istituti precipui dello Stato democratico ha prodotto un impoverimento dei cittadini sul piano delle tutele politiche e civili e, quasi, mai un aumento del livello di sicurezza pubblica!
Resta, a questo punto, da accertare – ed è quanto cercheremo di fare attraverso questo breve contributo – se il MAE rispetti le garanzie fondamentali a tutela dei diritti dell’uomo e dei cittadini, contenute nelle Carte costituzionali oltre che nel testo della Convenzione europea sui diritti dell’uomo.
1. Il mandato di arresto europeo
Tale istituto[8] è stato introdotto attraverso la decisione quadro[9] del 13 giugno 2002, entrata in vigore il 1° gennaio 2004, relativa al MAE e alle procedure di consegna tra Stati membri, adottata dal Consiglio della Unione europea[10].
Prima di passare ad una succinta esposizione del suo contenuto, va sottolineato che lo strumento legislativo utilizzato vincola gli Stati membri “ al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma ed ai mezzi. Esse non hanno efficacia diretta ”; ciò è quanto afferma l’art. 34 del Trattato UE.
Tale precisazione è importante perché se il legislatore comunitario avesse fatto ricorso allo strumento del Regolamento esso avrebbe avuto una applicazione immediata all’interno degli Stati membri, avendo quest’ultimo, il valore di legge tout court.[11]
L’impatto delle decisioni quadro – che sono atti tipici del terzo Pilastro[12] delle politiche comunitarie – all’interno degli Stati membri è simile, pertanto, a quello delle direttive.
Siamo dell’avviso che lo strumento della decisione-quadro male si colloca all’interno del diritto penale che, invece, è caratterizzato dal principio di legalità. Ci auspichiamo, quindi, che tale impasse venga superata dal Trattato costituzionale attraverso la previsione della abrogazione di tale istituto a favore di una legge quadro, unitamente al riconoscimento alla Corte di Giustizia europea di una esplicita competenza in tale materia.
Si è ritenuto che, sulla scorta del principio c.d. del reciproco riconoscimento[13], tra gli Stati membri dovesse essere individuato un comune terreno in modo da favorire gli Stati nel perseguire finalità di giustizia.
Risale al primo ottobre del 1996, l’appello lanciato da sette magistrati europei, a Ginevra, per chiedere la creazione di uno spazio giudiziario europeo nell’ambito del quale i magistrati potessero, senza ostacoli se non quelli dello Stato di diritto, conseguire e scambiare le informazioni utili alle indagini in corso[14].
Altro snodo fondamentale, per fare luce sulla intera vicenda, è rappresentato dall’Accordo di Schengen e dalla Convenzione applicativa dell’Accordo nella quale si afferma che, alla base di tale normativa, deve esservi un reciproco riconoscimento.
Il legislatore impiega il termine ‘fiducia’ tra gli Stati membri relativamente ai rispettivi sistemi di giustizia penale. Tale fiducia deve essere tale da condurre alla applicazione della norma penale dello Stato membro “ anche quando il ricorso al proprio diritto nazionale condurrebbe a soluzioni diverse “.
Il quadro di riferimento all’interno del quale si colloca tale Decisione quadro lo si può, in aggiunta ai riferimenti sopra citati, facilmente individuare nella Carta di Nizza del 2000 ove sono stati riaffermati “ i diritti derivanti dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati membri, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e della Corte europea dei diritti dell’uomo”.
Il MAE, pertanto, è stato inteso come un superamento dell’istituto della estradizione[15] che prevedeva una serie di procedure e di controlli finalizzati all’accertamento della ‘bontà’ giuridica delle richieste di consegna di una persona, avanzate da uno Stato estero. Il Considerando 5, infatti, dichiara che “ L’obiettivo dell’Unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia comporta la soppressione dell’estradizione tra Stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie. “[16]
Il MAE invece mira, nelle intenzioni del legislatore comunitario, alla sostituzione dell’istituto rappresentato dalla estradizione[17] che si era fino a tale momento connotata per essere un istituto di non facile applicazione, soprattutto alla luce delle molteplici difficoltà attuative che finivano per allungarne i tempi[18].
Per MAE si intende una decisione giudiziaria adottata da uno Stato membro finalizzata all’arresto o alla consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di una azione penale o della esecuzione di una pena, oppure per la esecuzione di una misura di sicurezza, comunque, privativa della libertà personale.
Due sono le ipotesi che permettono la emissione di un tale mandato: “ una condanna con sentenza definitiva ad una pena detentiva o ad una misura di sicurezza privativa della libertà di durata non inferiore a quattro mesi ” oppure per “ reati puniti con una pena detentiva o con una misura di sicurezza privativa della libertà di durata massima non inferiore a 12 mesi ”[19].
Il legislatore, poi, ha provveduto a differenziare due categorie di reati e rispetto alla prima[20] ha stabilito la non verifica della doppia incriminazione del fatto, purchè la pena sia pari o superiore ai tre anni; mentre verificandosi una fattispecie criminosa afferente alla seconda categoria la consegna è subordinata “alla condizione che il fatto per il quale è stata chiesta la consegna costituisce un reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione”.
L’adempimento di quanto richiesto dallo Stato emittente il mandato incontra dei limiti in presenza dei quali lo Stato membro non dà esecuzione al mandato di arresto europeo. I limiti riguardano una sentenza definitiva già pronunciata da uno Stato membro per lo stesso reato contro la stessa persona, oppure quando il reato in questione è stato amministiato nello Stato membro di esecuzione, o, infine, quando la persona interessata non abbia la età per essere considerata responsabile.
Sono previste tre specifiche ipotesi di garanzia: la prima riguarda la consegna del cittadino dello Stato della esecuzione che può subordinarne la consegna alla condizione che dopo l’interrogatorio il cittadino sia fatto rimpatriare nello Stato di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza.
Altre due ipotesi, ricorrendo le quali scatta una forma di garanzia aggiuntiva richiesta dallo Stato dell’esecuzione riguardano, rispettivamente: il giudizio prodotto in contumacia e l’ergastolo. Nel primo caso lo Stato, prima di effettuare la consegna può chiedere allo Stato emittente ‘assicurazioni sufficienti’ affinchè la persona condannata in sua assenza possa chiedere allo Stato un nuovo processo. Nel secondo caso, che si verifica allorchè il mandato di arresto scaturisca a fronte della commissione di un reato per il quale la legge prevede la condanna all’ergastolo lo Stato emittente deve garantire la revisione della pena decorso un certo numero di anni.
In merito alla lista dei 32 reati, indicati nell’art. 2, comma 2, della decisione quadro, si ritiene che tali fattispecie delittuose portano lo Stato membro che riceve la richiesta di mandato di arresto ad escludere la possibilità di esperire indagini aggiuntive.
2. La legge 22 aprile 2005, n. 69
Attraverso tale legge lo Stato italiano ha dato esecuzione alle disposizioni contenute nella decisione quadro 2002/584/GAI adottata, a sua volta, il 13.6.2002, dal Consiglio d’Europa[21].
E’ una legge emanata non rispettando i termini imposti dal legislatore comunitario e che ha risentito del clima politico[22], oltre che della allora maggioranza al Parlamento che ‘giustificò’ il lungo elenco – n. 22 punti – delle cause ostative alla consegna ritenendo che la stella polare dovesse essere comunque fornita dai principi costituzionali[23].
Dal testo della legge risulta, almeno a seguito della sua interpretazione letterale, trattarsi di un documento che non recepisce in toto la decisione quadro. Ciò deriva dall’essere, le decisione quadro, in contrasto con taluni diritti fondamentali recepiti dalla nostra Costituzione.
D’altra parte la presenza in Italia di una Costituzione rigida, disciplinante in maniera particolareggiata i diritti fondamentali e le loro garanzie, non poteva che condurre ad un braccio di forza con la normativa comunitaria non in sintonia con essa[24].
Ad onor del vero va detto che la delegazione italiana mostrò le proprie perplessità in merito al MAE già nell’anno 2001, in sede di Consiglio JAI. I nostri rappresentanti, in tale occasione, proposero di ridurre a 6 le fattispecie criminose in presenza delle quali non sarebbe stato necessario applicare il principio della doppia incriminazione.
L’art. 1[25] contiene la definizione di MAE, da intendersi come “ una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell’unione europea…in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro…di una persona, al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale”.
Si afferma, inoltre, che la richiesta di MAE sarà eseguita solo se conforme “alle condizioni e con le modalità stabilite dalla presente legge”.
Tale istituto si inquadra nella cooperazione giudiziaria penale adottata dagli Stati membri al fine di creare uno spazio comune di giustizia e di sicurezza[26]. Ai sensi dell’art. 2 della Costituzione[27], si ribadisce che la esecuzione del MAE resta, comunque, subordinata al rispetto di una serie di principi e di diritti contenuti nella nostra carta costituzionale oltre che nei trattati internazionali.
L’art. 2 contiene, quindi, una clausola di salvaguardia di una serie di diritti e di principi richiamati sia dal dettato costituzionale sia dalla normativa internazionale; ci si riferisce: ai diritti fondamentali a salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle sue libertà; ai diritti attinenti al giusto processo; ecc.
L’art. 18 della Legge disciplina le fattispecie ricorrendo le quali lo Stato Italiano esprime il proprio rifiuto alla consegna; quella che intendiamo prendere in considerazione in questa sede è espressa al punto e).
In applicazione dei menzionati principi, la Corte di appello, che è l’organo deputato a dare attuazione al MAE, “rifiuta la consegna nei seguenti casi: (omissis) “ e. se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva”.
Sul contenuto del punto e. dell’art. 18 è intervenuto il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma[28], per esprimere una preoccupazione legata alla difficoltà di coordinare il testo normativo italiano con la decisione quadro, con il rischio di creare non pochi problemi in ambito comunitario.
Va anche detto che problemi interpretativi e di coordinamento sono sorti anche a livello giurisprudenziale, ove è stato notato come la legge in questione abbia malamente cercato di conciliare norme ed istituti relativi a paesi che non sempre garantiscono all’imputato i diritti spettanti al cittadino italiano[29].
E’ stato, inoltre, osservato che stante la particolarità della legge non sono stati rispettati i principi di tassatività né quello di chiarezza nella determinazione della fattispecie incriminatrice.
Per la verità perplessità analoghe sono state espresse anche da autorevole dottrina[30] soprattutto in merito alla salvaguardia della potestà punitiva dello Stato, così come al problema della tassatività e della determinatezza della fattispecie penale e al principio della legalità.
3. Le pronunce giurisprudenziali
Una pronuncia della Cassazione del 2005 stabilisce, invece, che lo Stato di esecuzione, rectius, l’autorità giudiziaria di esecuzione, deve limitare il proprio operato al controllo delle motivazioni contenute nel mandato di arresto; motivazioni che debbono essere adeguate e controllabili[31].
Una successiva pronuncia del 2006, adottata dalla C. Cassazione, sez. 6, sentenza n. 16542/2006 aveva annullato una decisione adottata dalla Corte di appello che autorizzava la esecuzione di un MAE da parte del Belgio. Ciò in quanto tale Paese non prevede limiti massimi di carcerazione preventiva ma dei controlli mensili miranti ad accertare il rispetto del principio di ragionevolezza della durata della detenzione sancita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo[32].
La citata sentenza della Corte di legittimità prendeva atto che attraverso la legge nazionale il nostro legislatore assumeva a riferimento esclusivo e inderogabile la disciplina italiana della custodia cautelare.
Benchè tale previsione non sia presente nella decisione quadro comunitaria essa è diretta emanazione del testo costituzionale, id est art. 13 ultimo comma.
La massima apertura raggiunta dal Collegio giudicante in tale sede è stata quella di ipotizzare, in futuro, di ritenere equipollenti “alla previsione legislativa italiana…i meccanismi di controllo periodico…che in altri ordinamenti europei assicurano concretamente la ragionevole durata della detenzione preventiva…”
Tale auspicio è stato fatto proprio dalla Corte di Cassazione che ha recentemente prodotto una decisione[33] in merito alla operatività dell’istituto del MAE e, soprattutto, alla interpretazione della normativa italiana, id est: la L.n. 69/2005, nella parte in cui limita la eseguibilità della richiesta di mandato di arresto nel caso in cui lo Stato emittente non disciplini i limiti massimi della carcerazione preventiva[34].
La Sesta sezione riteneva[35] che l’articolo 18, lett. e) della L.n. 69/2005, contenesse un ostacolo alla consegna dell’imputato o del condannato e che tale disposizione fosse in contrasto sia con la decisione quadro del 13.6.02 sia con la Convenzione europea del 13.12.1957.
Sempre ad avviso delle Sesta sez. non era possibile superare tale ostacolo facendo riferimento ai modelli ‘equipollenti’ adottati dagli altri Stati membri per valutare e determinare la durata della carcerazione preventiva.
Ciò in quanto unica pietra di paragone per l’autorità giudiziaria italiana doveva essere il criterio adottato dal legislatore con la legge sopra citata.
Continuare a discettare di tale problema focalizzando l’attenzione sul dettato normativo, ad avviso della sesta sez., non avrebbe portato ad alcuna soluzione positiva per cui si auspicava una interpretazione non letterale della norma ma una interpretazione, che possiamo definire, di tipo teleologico in quanto fondata sulla ratio sottesa alla Decisione quadro[36].
Sulla legittimità della decisione quadro è stata recentemente chiamata a pronunciarsi la Corte europea[37] , chiamata a dirimere una controversia sorta in merito ad un ricorso presentato dalla associazione Advocaten voor de Wered circa la presunta invalidità dell’intero impianto normativo in quanto la materia avrebbe dovuto essere attuata con una convenzione e non con una decisione quadro e per la asserita violazione del principio di uguaglianza e di non discriminazione, poiché per alcuni reati, in caso di esecuzione di un mandato di arresto europeo viene disatteso il requisito della doppia incriminazione.
La Corte ha sancito “non è emerso alcun elemento idoneo ad infirmare la validità della decisione quadro del Consiglio 13 giugno 2002, 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri.”
Decisione quadro che, a sua volta, adottava come punto di partenza l’avere fondato il mandato di arresto europeo “su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri” e che, comunque, il normato del legislatore comunitario era in sintonia con i diritti ed i principi alla base della Carta dei diritti europei.
Ragion per cui, la lettura dell’art. 18, lettera e) della l. n. 69/05 deve essere intrapresa tenendo a mente sia l’elevato livello di fiducia che permea i rapporti tra gli Stati membri sia considerando che i, pur diversi, sistemi di custodia cautelare in carcere siano da considerarsi equivalenti[38].
Va anche detto che una interpretazione prettamente letterale della citata norma sarebbe in sintonia con il dettato costituzionale[39], in primis, dell’art. 13. comma 5.
Ebbene la suprema Corte, a sezioni unite, attraverso la sopra richiamata sentenza ha sancito che la previsione di un differente regime giuridico in materia di durata delle misure cautelari, da parte di altri Stati membri, di per sé non è condizione di non esecuzione della richiesta di un mandato di arresto europeo.
Detto atteggiamento è stato espresso facendo riferimento sia alla Raccomandazione sull’uso della custodia preventiva sia al Considerando n. 12 della decisione-quadro che, stabiliscono come la fissazione di un termine di durata massima della custodia non sia di per sé sufficiente a tutelare i diritti della persona[40].
Per cui, a detta del supremo organo giudicante “…in un contesto di cooperazione giudiziaria europea, sarebbe arbitrario ergere ogni previsione costituzionale interna a parametro della legalità della richiesta di consegna, e in proposito non può che convenirsi, in linea di principio, con i rilievi espressi dalla Commissione U.E., secondo cui alcuni Stati, tra cui viene menzionata l’Italia, hanno posto clausole di salvaguardia di principi costituzionali, propri del loro ordinamento, mentre il Considerando n. 12 fa salvi solo i principi ‘comuni’ di cui all’art. 6 T.U.E.”.
La Cassazione, nella citata sentenza, ha concluso enunciando un principio di diritto, in base al quale “ l’autorità giudiziaria italiana deve verificare, ai fini della consegna, se nella legislazione dello Stato membro di emissione sia espressamente fissato un termine di durata della custodia cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado, o, in mancanza, se un limite temporale implicito sia comunque desumibile da altri meccanismi processuali che instaurino, obbligatoriamente e con cadenze predeterminate, un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia cautelare o, in alternativa, alla estinzione della stessa. “
A ben vedere tale soluzione ‘flessibile’ adottata dalla suprema Corte ha permesso al nostro Paese di evitare frizioni con gli altri Stati membri su una materia rispetto alla quale il legislatore italiano non era stato particolarmente sollecito nel rispettare la tempistica stabilita a livello comunitario.
Pur tuttavia resta, a nostro avviso, aperto il problema inerente la effettiva portata dell’art. 18, nell’ottica di una effettiva tutela dei diritti costituzionalmente garantiti!
Conclusioni.
L’avere stabilito che, di fatto, la esecuzione del mandato di arresto europeo è un affaire che si svolge tra le autorità giudiziarie fa ritenere che si sia voluto impostare tale problematica all’interno dell’ottica di uno Stato di polizia!
Tale affermazione non vuole essere paradossale in quanto risulta dettata dalla considerazione che il passaggio dal tradizionale istituto della estradizione all’attuale MAE ha prodotto una forte riduzione della influenza del potere politico[41] a favore di quello giudiziario, che riscontrerà – non più la concretezza dei fatti e la legalità della domanda per la estradizione – solo la regolarità formale del documento.
Così come, di conseguenza, deve registrarsi, il passaggio da un diritto penale nazionale al diritto penale europeo, rectius, un diritto penale dello Stato emittente, transizione che dovrebbe avvenire sulla base di una fiducia accordata in bianco – sulla parola – atteso che le liste di reati ai quali si applica il MAE si caratterizzano per una palese violazione del principio di tassatività.
Da questa situazione emerge, prepotentemente, il modello USA, in altre parole “l’approccio pragmatico che, non senza rozzezze, concepisce unitariamente diritto sostanziale e diritto formale, almeno apparentemente subordinando il primo al secondo”[42].
La stessa previsione tra le ipotesi di reati, per i quali è esperibile il ricorso all’istituto in parola, del terrorismo ha di fatto prodotto una limitazione delle libertà individuali così come di quelle sociali, dando vita alla produzione di una normativa di tipo emergenziale, non condivisibile poiché finalizzata a incidere sui diritti di libertà.
A ben vedere, ad essere colpito è l’intero impianto costituzionale. Si pensi all’art. 25 che subordina la applicazione di una pena alla esistenza di una legge previgente alla commissione del fatto, penalmente rilevante; così come prevede che la sottoposizione a misure di sicurezza sia subordinata ad una legge, anch’essa previgente alla commissione del reato.
In entrambi i casi il dettato costituzionale faceva, e fa tutt’oggi, riferimento non ad una normativa in senso lato ma alla legge italiana. Ebbene, a seguito della Legge n. 69/05 ciò non è più vero.
Noi, pertanto, riteniamo che l’atteggiamento di sufficienza e/o di fastidio assunto da certa – pure autorevole – dottrina in merito a paventate preoccupazioni di ordine garantistico non abbia ragione di essere, anzi!
Sarebbe, pertanto, auspicabile una valutazione critica delle istanze repressive e delle esigenze di garanzia, da condurre alla luce degli ultimi avvenimenti che hanno visto la implementazione concreta del MAE.
A tale proposito riteniamo necessario che da parte dei singoli cittadini, così come dei corpi intermedi della società, ci si opponga ad un atteggiamento di passiva accettazione di quanto viene deciso dalle nostre autorità in materia di tutela dei diritti civili.
Maggio 2007
Dott. Giovanni Modesti
[1]La esistenza di un complesso di norme costituzionali ‘inattaccabili’ da parte dello stesso diritto comunitario era stata in passato sancita dalla Corte Costituzionale (sentenze n. 98/195 e n. 183/1973). Sui rapporti tra legislazione nazionale e legislazione comunitaria, così come sui rapporti tra i relativi organo giurisdizionali, si veda Celotto A., Carta dei diritti fondamentali e Costituzione italiana: verso il ‘Trattato costituzionale europeo’, www.associazionedeicostituzionalisti.it
[2]Tale principio stà a significare che, in una data situazione o al verificarsi di determinati presupposti, il soggetto interessato può fare affidamento, sulla scorta di una regola chiara, dell’esistenza di un divieto o di un obbligo del correlato diritto.
[3]Fiandaca G. e Musco E, Diritto penale, Parte generale, Zanichelli, “ il principio di tassatività vincola da un lato il legislatore ad una descrizione il più possibile precisa del fatto di reato e, dall’altro, il giudice ad una interpretazione che rifletta il tipo descrittivo così come legalmente configurato.” In merito al principio di determinatezza si legge che esso “ coinvolge la tecnica di formulazione delle fattispecie criminose e tende, precipuamente, a salvaguardare i cittadini contro eventuali abusi del potere giudiziario”.
[4]Tale principio è assurto al rango di principio costituzionale a seguito della modifica dell’art.111, comma 1, della Costituzione. Il legislatore ha inteso, così facendo, consentire all’interessato la possibilità di ricorrere a quei principi che nel corso degli anni vengono ad emergere e la cui applicazione permette di approntare una più esaustiva tutela processuale delle parti in giudizio.
[5]Il principio della doppia incriminazione era alla base del precedente istituto della estradizione. Esso va inteso nel senso che la fattispecie delittuosa sulla scorta della quale l’autorità giudiziaria emittente chiedeva la estradizione dovesse avere la stessa valenza giuridica presso lo Stato chiamato a dare esecuzione al mandato. In altri termini, il reato in questione deve essere punibile in entrambi gli Stati e potere essere assoggettato a procedimento penale da entrambi gli Stati.
[6]Dal sito del Consiglio Superiore della Magistratura “Con la previsione del principio della precostituzione per legge del giudice (art. 25 Cost.) da un lato si istituisce una riserva assoluta di legge in materia di competenza del giudice, vietandosi nel contempo che la competenza stessa possa essere determinata da fonti secondarie o da atti non legislativi; dall’altro si prescrive la individuazione del giudice competente con riferimento alla situazione anteriormente al fatto da giudicare, impedendo che il giudice possa essere individuato ex post. Con il principio del giudice naturale precostituito per legge si assicura, nello stesso tempo, l’imparzialità di chi esercita la funzione giurisdizionale.”
[7] Sull’argomento sia consentito rimandare ai seguenti contributi, Modesti G.: La sentenza della Corte di Giustizia della comunità europea del 30 maggio 2006 avente ad oggetto le cause c-317/04 e c-318/04 e la vexata quaestio del trasferimento dei dati personali dei passeggeri degli aerei diretti negli Stati Uniti (ovvero un argine all’affermazione della regola “tutti sospetti, nessun sospetto”); su www.diritto.it; www.dirittosuweb.com; www.nyberg.it; (settembre 2006); pubblicata sulla rivista di diritto, economia e gestione delle nuove tecnologie (RDEGNT) n. 03-06- Luglio Settembre 2006. Terrorismo e privacy: le risposte del nuovo e del vecchio continente a cinque anni dagli attentati di New York e di Washington, su www.diritto.it (Dicembre 2006); Il regime delle intercettazioni telefoniche alla luce della Legge n. 281 del 20.11.2006, su www.overlex.com; /Gennaio 2007); Come l’Italia ha risposto al terrorismo internazionale: la legislazione e la giurisprudenza tra istanze di sicurezza e tutela dei dati personali, in Quaderni di Overlex n. 3 gennaio 2007, www.overlex.com
[8]Cardile D., Il mandato di arresto europeo (pienamente operativo dal 1° gennaio 2004), www.dirittoegiustiziaonline.it ; Mambriani A., Il mandato di arresto europeo. Adeguamento dell’ordinamento italiano e diritti della persona; Agnoli C.A., Prospettiva gulag: il mandato di arresto europeo, www.politicaonline.net; Palumbo F., Norme di recepimento per l’attuazione del MAE. Non è il caso di cominciarne a parlare?www.camerepenalionline.it ; Marq M.G., Corte UE conferma validita’ e legalita’ mandato arresto europeo; www.osservatoriosullalegalita.org ; Bargis M., Costituzione per l’Europa e cooperazione giudiziaria in materia penale, in Riv.it.dir.proc.pen., 2005, 1;Agnoli, Il mandato di arresto europeo contro la Costituzione italiana, 2001 Identità europea, online, dicembre 2001; De Amicis G., Iuzzolino G., Mandato di arresto europeo : dubbi e paure per la legge italiana (che oggi muove nuovi passi), 2005 in Diritto e Giustizia, on line, 14/05/2005; Antonelli G., L’attuazione del mandato di arresto europeo, tra vincolo comunitario di ottemperanza e problemi di compatibilità costituzionale; www.iussiT.it; Barletta A. La decisione quadro sul mandato d’arresto europeo: il dibattito, l’impatto e le prospettive dell’adeguamento, www.associazionedeicostituzionalisti.it; Bruti Liberati E, e Patrone I.J., Sul mandato di arresto europeo, www.forumcostituzionale.it; Pirro R., Il mandato di arresto europeo, www.ristretti.it
[9]Decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (Gazzetta ufficiale L. 190 del 18.7.2002).
[10] Al primo novembre 2004 tutti gli Stati membri avevano recepito la decisione quadro, ad eccezione dell’Italia, che si è adeguata con un ritardo di 6 mesi; infatti, la legge n. 98 del 29.4.05 è entrata in vigore il 14 maggio dello stesso anno.
[11] Decisione e decisione-quadro (Titolo VI del Trattato UE) La decisione quadro è un nuovo strumento introdotto dal Titolo VI del trattato sull’Unione europea (cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale), in sostituzione dell’azione comune. Trattandosi di strumenti più diretti e più vincolanti, essi dovrebbero rivelarsi più efficaci nel contesto del terzo pilastro riorganizzato. La "decisione-quadro" è utilizzata per ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Essa può essere proposta su iniziativa della Commissione o di uno Stato membro e deve essere adottata all’unanimità. Vincola gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi da impiegare a tal fine. La "decisione" viene invece utilizzata per conseguire qualsiasi altro obiettivo che non sia il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. La decisione è vincolante, e le misure necessarie per darvi attuazione a livello dell’Unione europea sono adottate dal Consiglio a maggioranza qualificata.
[12]Con l’espressione ‘Terzo Pilastro’ si vogliono richiamare le norme del Titolo VI del Trattato per la costituzione della Unione europea che reca la seguente intestazione “ Disposizioni relative alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale “. Il Secondo Pilastro è rappresentato, invece, dalle norme del Titolo V del T.U.E. recante “ Disposizioni concernenti una politica estera e di sicurezza comune “. Il Primo Pilastro fa riferimento ai diritti in senso stretto della Comunità europea.
[13] Gazzetta ufficiale n. C 223 del 19/09/2002 “ Nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, il Consiglio europeo approva il principio del reciproco riconoscimento che, a suo parere, dovrebbe diventare il fondamento della cooperazione giudiziaria nell’Unione tanto in materia civile quanto in materia penale. Il Consiglio europeo ritiene che tale principio debba applicarsi sia alle sentenze sia alle altre decisioni delle autorità giudiziarie. Il punto 33 delle conclusioni sottolinea inoltre che il rafforzamento del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle sentenze e il necessario ravvicinamento delle legislazioni faciliterebbero la cooperazione fra le autorità, come pure la tutela giudiziaria dei diritti dei soggetti giudicati”. Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo: riconoscimento reciproco delle decisioni definitive in materia penale (COM(2000) 495 ” il principio di reciproco riconoscimento si basa sulle nozioni di equivalenza e di fiducia reciproca. Di conseguenza, una decisione dell’autorità di uno Stato membro può essere accettata in quanto tale in un altro Stato. Il riconoscimento reciproco procede spesso di pari passo con un determinato grado di armonizzazione dell’attività degli Stati membri, ma può anche rendere inutile tale armonizzazione. La Commissione definisce poi il tipo di decisioni contemplate nella sua comunicazione: si tratta di decisioni di diritto penale (insieme di norme che prevedono delle sanzioni o delle misure di reinserimento) aventi carattere definitivo (vale a dire decisioni dei tribunali e di determinate autorità amministrative, i risultati della mediazione tra vittima e autore del reato e i patteggiamenti tra gli indagati e i pubblici ministeri).”
[14] Ciò è quanto riportato dal Documento di lavoro redatto dalla Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo, in data 22.9.05
[15]. Indubbiamente, da più parti era stata ribadita la necessità di dovere elaborare un nuovo istituto giuridico in sostituzione alla estradizione che – nel corso degli anni – aveva evidenziato una serie di limiti – legati prevalentemente alla adozione di una procedura troppo macchinosa e burocratica – che finivano per enfatizzare la criminalità internazionale. Per una esaustiva analisi di tale istituto si rimanda a De Donato G., L’estradizione. Profili giuridici ed operative del sistema europeo e italiano. Documenti di giustizia, 2000
[16] La Convenzione europea di estradizione tra gli Stati membri risale al 13 dicembre 1957 ed è stata ratificata in Italia con la Legge 30 gennaio 1963 n. 300 diratifica ed esecuzione della convenzione europea di estradizione ( pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 28 marzo 1963, n. 84 ). Essa tutela la personalità dell’imputato e del condannato nei confronti dell’autorità giudiziaria. Il testo, in questione, attribuisce al Paese membro “la facoltà di rifiutare l’estradizione dei propri cittadini”, anche se questi siano stati incriminati o condannati. Viene, altresì, salvaguardato il principio di tassatività della legge penale, poiché la estradizione è subordinata alla commissione di una fattispecie che è qualificata quale reato anche dallo Stato membro in cui si trova la persona arrestata o condannata.
[17]Gli accordi a livello comunitario di cui era stata fatto oggetto la estradizione possono essere riassunti facendo riferimento ai seguenti testi: convenzione europea di estradizione del 1957 e la successiva del 1978; accordo del 26.5.1989 tra i dodici Stati membri; la convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione del 1995; la convenzione relativa all’estradizione del 1996; le disposizioni dell’accordo di Schengen relative a tale istituto.
[18]La decisione quadro, pertanto, è il risultato del clima prodottosi a seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001; essa appare priva di un quadro costituzionale e, quindi, di una serie di garanzie e di libertà fondamentali. L’avere fondato il MAE sul solo principio della mutua fiducia senza individuare, al contempo, in modo chiaro le competenze in ambito penale così come senza avere creato una giurisdizione europea deputata a interpretare eventuali letture contrastanti delle leggi degli Stati membri, ha finito con il rendere il MAE un istituto giuridico fragile.
[19]L’avere previsto una sorta di ‘automatismo’ nella esecuzione del MAE senza dare la possibilità allo Stato membro che riceve la richiesta di poterla vagliare da parte delle proprie autorità giurisdizionali e/o politiche solleva non pochi dubbi sulla legittimità costituzionale della legge che ha recepito tale istituto, proprio a causa del sovvertimento di tale principio.
[20] I reati sono 32: terrorismo, tratta di esseri umani, corruzione, omicidio, razzismo, frode, ecc.
[21]La disciplina inerente le modalità di recepimento della normativa comunitaria da parte del nostro Paese è contenuta nella Legge n. 11/2005, recante “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”. L’adempimento degli obblighi derivanti all’Italia in quanto Stato membro della U.E., attengono ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. c) . “all’emanazione di decisioni- quadro e di decisioni adottate nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale”. Per una dettagliata analisi dei rapporti tra normativa internazionale e carte costituzionali si rimanda a Ruggeri A. Carte internazionali dei diritti, Costituzione europea, Costituzione nazionale: prospettive di ricomposizione delle fonti in sistema. www.forumcostituzionale.it
[22]Paciotti A.T., Mandato di arresto Europeo, www.studiolegalelaw.it; Galantini M.N., L’adattamento del mandato di arresto europeo nella legge attuativa della decisione quadro; Prime osservazioni sul mandato di arresto europeo, Il Foro Ambrosiano, 2002; Impalà F., La mise en oeuvre du mandat d’arret europèen dans le systeme juridique italien, www.giustiziasicilia.it; Chiavario M., Il mandato di cattura europeo mette a nudo le contraddizioni italiane, in Guida al Diritto – Il Sole 24 Ore, dicembre 2000; Selvaggi E., Il mandato di arresto europeo alla prova dei fatti, Cassazione penale, 2002.
[23]On. Pecorella secondo il qualeva considerato “inammissibile in base ai nostri principi costituzionali che una persona possa essere privata della libertà sine die, in assenza di una sentenza”; di opposto avviso fu l’On. Sinfisi, per il quale “si sono scambiate le regole interne del nostro sistema giudiziario, che sono state richiamate come regole universali, con la presunzione di essere l’unico sistema effettivamente democratico in Europa, mentre non è neppure ipotizzabile che uno Stato abbia la facoltà di sindacare sui limiti massimi di carcerazione preventiva previsti negli altri ordinamenti”.
[24]Analoga situazione conflittuale è stata riscontrata anche in altri Paesi membri quali la Polonia e la Germania.
[25]Art. 1 Disposizioni di principio e definizioni
[26] Considerando del Preambolo della Decisione quadro, punto 5 :” L’obiettivo dell’Unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia comporta la soppressione dell’estradizione tra Stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie. Inoltre l’introduzione di un nuovo sistema semplificato di consegna delle persone condannate o sospettate, al fine dell’esecuzione delle sentenze di condanna in materia penale o per sottoporle all’azione penale, consente di eliminare la complessità e i potenziali ritardi inerenti alla disciplina attuale in materia di estradizione. Le classiche relazioni di cooperazione finora esistenti tra Stati membri dovrebbero essere sostituite da un sistema di libera circolazione delle decisioni giudiziarie in materia penale, sia intervenute in una fase anteriore alla sentenza, sia definitive, nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia “
[27] Art. 2 Garanzie costituzionali “ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. “
[28]S. Secchione: “La L. 22.4.2005 n. 69, sul mandato di arresto europeo, suscita forte preoccupazione nella parte in cui stabilisce che lo Stato italiano rifiuta l’estradizione quando l’ordinamento dello Stato estero non prevede termini massimi di custodia cautelare. Si tratta di una disposizione – rigida ed esclusiva della legge italiana – che trascura l’efficacia e il civismo di certi meccanismi in uso in altri Paesi, come quello della verifica periodica delle esigenze cautelari…” Di analogo avviso il Procuratore Generale della Repubblica di Milano, Relazione inaugurale per l’apertura dell’anno giudiziario, Milano, 15.1.2005, la "costruzione di uno spazio giuridico europeo e delle relative istituzioni nonché il rafforzamento di ogni forma di cooperazione tra ordinamenti" costituiscono, ormai, strumenti di base per migliorare la qualità ed efficacia dell’azione di contrasto, a livello internazionale, di tali forme di reato.
[29]Tribunale di Bolzano, sezione per il riesame, Ordinanza del 28.7.2005, che rappresenta la prima decisione adottata da un giudice italiano sul mandato di arresto europeo. Il caso in questione riguardava il reato di detenzione di stupefacenti commesso in Austria da parte di cittadino italiano. Riferendosi alla L. n. 69/05 ha affermato trattarsi “di una legge sofferta e contorta che ha cercato, senza riuscirvi, di conciliare normative di paesi in cui i diritti dell’imputato sono talvolta inferiori a quelli del cittadino italiano di cinquant’anni orsono…e in cui la pena viene applicata con rigidità ignote al nostro sistema e non consone con i nostri principi costituzionali…non vi è articolo della legge che non lasci intravedere ipotesi di severa incostituzionalità, sia per la violazione di diritti primari del cittadino italiano, sia per l’indeterminatezza di molte norme le quali non hanno considerato che le stesse espressioni possono assumere significato diverso in altro ordinamento giuridico;…”
[30]Caianiello e Vassalli, Parere sulla proposta di decisione-quadro sul mandato di arresto europeo, Cassazione penale, a. 2002. per un esame approfondito di tali impostazioni critiche si rimanda a Mambriani A., op. cit.
[31]C. Cassazione, sentenza n. 451/13.9.05 “l’autorità giudiziaria italiana è tenuta a controllare che sussista la motivazione in ordine al provvedimento cautelare con il quale è stato emesso il mandato di arresto europeo…ed alle esigenze cautelari che si assumono sussistenti..,il controllo affidato all’autorità giudiziarai di esecuzione sia limitato alla sussistenza della motivazione, cui deve essere equiparata la mera apparenza della stessa, dovendo il mandato di arresto europeo essere fornito di argomentazioni adeguate e controllabili.”
[32] C. Cassazione, sez. 6, sentenza n. 16542/2006: “ Allo stato della legislazione, questa Corte di legittimità deve affermare che sussiste una condiziona ostativa, espressamente voluta dalla legge nazionale, che vieta di dar corso al mandato di arresto europeo e di consegnare … all’autorità del Regno del Belgio. Rientra nell’esclusiva competenza del legislatore stabilire se quella condizione ostativa, vincolante ed insuperabile per la giurisdizione, non debba essere rimeditata, valutando se – nel processo di progressiva formazione dell’Unione europea e nel rispetto dell’equilibrato bilanciamento dei principi stabiliti dagli artt. 10, 11, 13, 26 e 27 della Costituzione italiana – non possano ritenersi equipollenti alla previsione legislativa italiana di limiti massimi di carcerazione preventiva i meccanismi di controllo periodico sopra indicati, che in altri ordinamenti europei assicurano concretamente la ragionevole durata della detenzione preventiva, anche al fine di evitare, sul piano giuridico, l’insorgenza di difficoltà nei rapporti tra l’Italia e gli altri membri dell’Unione il cui ordinamento non prevede limiti massimi di custodia cautelare e, sul piano fattuale, l’individuazione dell’Italia come privilegiato rifugio degli imputati al fine di sottrarsi più agevolmente alle ricerche delle autorità giudiziarie dei predetti paesi. “
[33]C. Cassazione, Sez. unite, sentenza 30 gennaio-5 febbraio 2007, n. 4614, attraverso la quale è stata chiamata a esprimersi dalla Sesta sezione penale della Corte di Cassazione, a sua volta chiamata a giudicare – a seguito di ricorso avente ad oggetto una sentenza della Corte di Appello.
[34]Per un commento alla sentenza si rimanda a quanto scritto su Guida al Diritto – Il Sole 24 Ore da: Negri G., Arresto europeo senza barrire; Selvaggi E., Recuperata una soglia di ragionevolezza; Frigo G., Annullare la garanzia del limite massimo sconfina nelle prerogative del legislatore.
[35]Cassaz., Sez. unite, sent. N. 4614/7 « Osserva la Sesta sezione che detta norma contiene una peculiare condizione ostativa alla consegna di un imputato o di un condannato raggiunto da un mandato di arresto europeo, non contemplata non solo dalla decisione-quadro del Consiglio dell’Unione europea del 13 giugno 2002…ma neppure dalla procedura estradizionale, come regolata dalla Convenzione europea del 13 dicembre 1957”.
[36]Cassaz., Sez. unite, sent. N. 4614/07 « Secondo la Sezione rimettente, in alternativa a questa soluzione interpretativa, potrebbe invece privilegiarsi una diversa esegesi della norma ‘meglio rispondente tanto alle indicazioni provenienti dalla decisione-quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 quanto alle premesse di fondo di carattere politico, istituzionale e culturale di tale decisione e della legge nazionale che le ha dato attuazione.”
[37] Sentenza della Corte (Grande Sezione), 3 maggio 2007, «Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale – Artt. 6, n. 2, e 34, n. 2, lett. b), UE – Decisione quadro 2002/584/GAI – Mandato d’arresto europeo e procedure di consegna tra Stati membri – Ravvicinamento delle normative nazionali – Soppressione del controllo della doppia incriminazione – Validità» Nel procedimento C-303/05, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 35 UE, dall’Arbitragehof (Belgio) con decisione 13 luglio 2005, pervenuta in cancelleria il 29 luglio 2005, nel procedimento.
[38]A tale proposito nel dispositivo della citata decisione si legge che “…la ratio di garanzia insita in questa norma si realizza anche quando il limite massimo di custodia cautelare sia posto dalla legge non in modo diretto, ma mediato attraverso la previsione di un controllo da instaurarsi entro un tempo inderogabile predeterminato dalla legge; sempre che, ove il controllo non sia effettuato, o conduca a un risultato negativo circa la necessità di mantenere lo status custodiae, si determini la automatica liberazione dell’imputato “.
[39]art. 13, c. 5, Cost.: “ La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva “.
[40]Cassaz., Sez. unite, sent. N. 4614/07 « …il Consiglio d’Europa, nella sua recente Raccomandazione sull’uso della custodia preventiva…presa in considerazione solo per la fase antecedente la sentenza di primo grado, sottolineava la primaria necessità che gli Stati si dotassero di sistemi di continuous reviews della perdurante necessità della custodia at regular intervals, reputando a tal fine insufficienti, i sistemi basati soltanto sulla previsione del maximum periods…”.
[41]In questo caso si è registrata una limitazione del ruolo e dei poteri delle assise parlamentari a favore di una maggiore incisività dei poteri dell’autorità giudiziaria, con il risultato di avere ridotto gli spazi della democrazia.
[42] Riondato S., op. cit.
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