Dopo l’accesa discussione degli ultimi giorni, il 25 febbraio scorso il Senato ha approvato con voto di fiducia il testo sulle unioni civili e sulla disciplina delle convivenze.
Non si sono ancora placate le polemiche tra chi nel Governo dichiara trionfalmente vittoria (nonostante il voto abbia rivelato una nuova maggioranza parlamentare a sostegno dell’Esecutivo) e chi si schiera in modo anacronistico e pregiudiziale dalla parte del c.d. “potere spirituale” per mera strategia politica, quand’ecco che un nuovo disegno di legge in materia di diritto di famiglia sta già scatenando critiche, è il caso di dirlo, a destra e a manca: si tratta dell’Atto del Senato n. 2253 “Modifiche all’articolo 143 del codice civile, in materia di soppressione dell’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi”, di iniziativa parlamentare, prima firmataria la senatrice Laura Cantini, presentato in data 25 febbraio 2016 e annunciato nella seduta ant. n. 582 del 25 febbraio 2016.
Secondo i firmatari del d.d.l., l’obbligo reciproco di fedeltà tra i coniugi sarebbe il retaggio culturale di una visione superata e vetusta del matrimonio e il Giudice non dovrebbe fondare la pronuncia di addebito della separazione sulla mera inosservanza di tale obbligo.
Come spesso accade, però, ancora una volta la politica è in ritardo su temi su cui la giurisprudenza si è già da tempo pronunciata.
E’ un consolidato orientamento della Suprema Corte il principio secondo cui la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, particolarmente grave in quanto di regola rende intollerabile la prosecuzione della convivenza, giustifica ex se l’addebito della separazione al coniuge responsabile, a meno che non risulti che comunque non abbia avuto incidenza causale nel determinare la crisi coniugale, in quanto già preesisteva una mera convivenza formale.
A tal proposito, in tema di separazione dei coniugi a seguito della compromissione del rapporto coniugale per la relazione adulterina di uno dei coniugi, la recente sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, n. 16172 del 15 luglio 2014, ha confermato che “… grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà.”. Pertanto, la violazione dell’obbligo di fedeltà tra coniugi non è, di per sé, un motivo sufficiente per chiedere l’addebito della separazione all’altro coniuge: il coniuge tradito ha l’onere di provare che la condotta infedele sia stata fondamentale per la crisi matrimoniale, mentre il coniuge fedifrago ha l’onere di provare che la crisi matrimoniale fosse antecedente al tradimento.
Ancora, la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, n. 929 del 17 gennaio 2014, ha sostenuto che “(…) nonostante la pronuncia di addebito non si possa fondare sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 cod. civ. pone a carico dei coniugi, essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, il venir meno all’obbligo di fedeltà coniugale, particolarmente attraverso una relazione extraconiugale nel cui ambito sia stata generata prole, rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.”. Anche in questo caso, quindi, si ribadisce il principio per cui la violazione del dovere di fedeltà è una circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge fedifrago soltanto qualora, nel caso specifico, tra infedeltà e crisi coniugale sussista un nesso causale dimostrato attraverso una scrupolosa valutazione del comportamento complessivo di entrambi i coniugi.
Tali sentenze non fanno altro che ribadire un principio giurisprudenziale ormai maggioritario, come si può dedurre dalla lettura della sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, n. 8512 del 12 aprile 2006: “… l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, onde la riferita infedeltà può essere causa (anche esclusiva) dell’addebito della separazione solo quando risulti accertato che ad essa sia, in fatto, riconducibile la crisi dell’unione, mentre il relativo comportamento (infedele), se successivo al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non è, di per se solo, rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia (di addebito) del genere di quella sopraindicata (Cass. 28 ott. 1998, n. 10742; Cass. 7 sett. 1999, n. 9472; Cass. 9 giu. 2000, n. 7859; Cass. 18 sett. 2003, n. 13747).”
Sempre in tema di separazione personale, pronunciandosi sull’addebito per violazione dell’obbligo di fedeltà, già la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, n. 20536 del 24 ottobre 2005, è stato stabilito che “In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’articolo 143 del Cc pone a carico dei coniugi, essendo invece necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale. La reiterata violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, tanto più se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.”. Orbene, leggendo l’ultima parte della sentenza, si può concludere che al coniuge infedele non può essere addebitata la separazione se la crisi coniugale è preesistente alla condotta fedifraga ed il rapporto matrimoniale risulta essere già da tempo, de facto, una mera convivenza formale dei coniugi.
Già all’inizio degli Anni Duemila, la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. I, n. 7859 del 9 giugno 2000, aveva stabilito il principio secondo cui “… deve ritenersi comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio la violazione, in assenza di una consolidata separazione di fatto, dell’obbligo della fedeltà coniugale, che costituisce una regola di condotta imperativa (art. 143 comma 2 cod. civ.), oltre che una direttiva morale di particolare valore sociale, e che assume una gravità ancora maggiore allorché venga attuata in maniera reiterata o, addirittura, attraverso una stabile relazione extraconiugale. (…) Solo eccezionalmente, qualora risulti, attraverso un’indagine rigorosa e penetrante ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, l’irrilevanza di una tale violazione per mancanza di un nesso di causalità con la crisi coniugale, irrimediabilmente già in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale, può escludersi l’addebitabilità, trattandosi in tal caso di comportamenti successivi al determinarsi di tale situazione.” Ergo, la separazione coniugale può essere addebitata al coniuge che abbia violato l’obbligo di fedeltà soltanto se il rapporto coniugale non sia entrato in crisi già in precedenza.
Concludendo, ai fini dell’addebitabilità della separazione per violazione dell’obbligo di fedeltà, il Giudice di merito deve accertare se sussista un rapporto di causalità tra la condotta fedifraga ed il verificarsi dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza, oppure se la violazione del dovere previsto dall’art. 143 c.c. sia avvenuto quando era già maturata una situazione di crisi del vincolo coniugale.
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