L’omologazione dell’accordo di composizione della crisi di sovraindebitamento

DS redazione 02/03/16

L’articolo 7 della L. 3/2012 stabilisce che il debitore, non necessariamente persona fisica, in stato di sovraindebitamento può proporre ai propri creditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi, un accordo di ristrutturazione dei debiti che preveda la soddisfazione dei crediti sulla base di un piano. Una volta raggiunto, l’accordo andrà omologato. Come?

Ai sensi dell’articolo 12, comma 2, L. 3/2012 il giudice omologa l’accordo e ne dispone l’immediata pubblicazione. Prodromiche all’omologa sono talune verifiche da parte del giudice:

  1. in primo luogo, il giudice è tenuto a verificare la persistenza dei requisiti di ammissibilità alla procedura;
  2. verifica che non siano stati disposti atti in frode ai creditori da parte del debitore;
  3. dovrà accertare se l’accordo è stato raggiunto con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti;
  4. dovrà, altresì, verificare l’idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili nonché dei creditori privilegiati, salvo per questi ultimi diverso accordo;
  5. dovrà verificare la sussistenza di eventuali contestazioni promosse dai creditori o da altri interessati che possano, in qualche modo, mutare l’oggetto del giudizio di omologa.

Le contestazioni potranno riguardare la fattibilità del piano, la capacità del debitore di adempiere alle obbligazioni assunte nella proposta, il calcolo delle adesioni, la quantificazione dei crediti ai fini del computo della percentuale dei consensi, la carenza di legittimazione al voto del creditore, l’esclusione di alcuni crediti per irritualità della manifestazione del consenso, ecc. Sotto l’aspetto procedurale le contestazioni non possono essere proposte direttamente al giudice, ma debbono essere indirizzate all’Organismo di composizione della crisi che provvederà a trasmetterle al giudice delegato.

Il giudice, preso atto delle contestazioni sollevate ed esaminatele, laddove queste riguardino la convenienza dell’accordo, potrà procedere all’omologa soltanto qualora escluda che la liquidazione del patrimonio del debitore non consentirebbe il soddisfacimento del credito dell’opponente in misura superiore a quella prevista dal piano (c.d. giudizio di crown down).

Fatta eccezione per l’ipotesi in cui siano intervenute contestazioni che impongono al giudice delegato una valutazione di merito, in tutti gli altri casi questi dovrà limitarsi a riscontrare la legit­timità del procedimento e la fattibilità dell’accordo.

All’udienza per l’omologazione partecipa anche il debitore per garantire il contraddittorio, specie in presenza di contestazioni. A tal fine, il giudice per consentire al debitore l’esercizio del diritto di difesa dovrà concedergli un termine per il deposito di memorie difensive anche con l’eventuale indicazione di mezzi istruttori. Ai sensi del comma 3 bis del medesimo articolo 12 l’omologazione deve intervenire nel termine di sei mesi dalla presentazione della proposta. Il termine viene consi­derato perentorio e ciò al fine di evitare che i diritti dei creditori vengano compressi per un tempo indefinito, ne consegue che ove venga superato la domanda decade e viene meno anche l’effetto protettivo dell’inibitoria di cui al comma 2, lett. c) dell’articolo 10.

Il giudizio si conclude con il decreto di omologa o di diniego dell’omologa e gli effetti si producono dal momento in cui è stata effettuata la pubblicità dell’omologazione. Il decreto è reclamabile innanzi al Collegio entro dieci giorni dalla sua notificazione, in applicazione dell’articolo 739, comma 2, c.p.c. e secondo le regole già descritte al paragrafo 4.1. cui si rinvia. Occorre qui solo specificare che i soggetti legittimati sono certamente i creditori che, ad esempio, abbiano promosso contestazioni e sicuramente il debitore nel caso di diniego dell’omologa.

Una volta omologato, l’accordo diviene obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità della proposta (ex articolo 10, comma 2, lett. a)) e del decreto di ammissione alla procedura, ma non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti di coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso, né determina novazione delle obbligazioni, salvo che non sia diversamente stabilito nella proposta.

I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto dell’accordo, i quali cosituiscono una sorta di patrimonio separato, destinato alla soddisfazione dei creditori anteriori e protetto da un vincolo di destinazione che determina l’inefficacia relativa degli atti pregiudizievoli compiuti dal debitore e l’improcedibilità di azioni esecutive o cautelari sui beni medesimi (articolo 12, comma 3, ul. p.). Sono, quindi, consentite azioni esecutive o cautelari da parte di tale tipologia di creditori dirette a colpire beni diversi da quelli vincolati dal piano.

Poiché il debitore conserva la disponibilità del proprio patrimonio, non determinando l’omologa un suo spossessamento, egli dovrà adempiere personalmente alle obbligazioni contenute nella proposta e provvedere al pagamento integrale dei creditori impignorabili se previsto nel piano dei crediti privilegiati.

Il successivo comma 4 stabilisce che l’obbligatorietà dell’accordo omologato viene meno in caso di risoluzione dell’accordo stesso o di mancato pagamento dei crediti impignorabili, nonché dei crediti relativi alle risorse proprie dell’UE, all’IVA e alle ritenute operate e non versate.

L’accertamento del mancato pagamento di tali crediti è chiesto al tribunale con ricorso da decidere in camera di consiglio, ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.

Il reclamo avverso il conseguente provvedimento “si propone al tribunale e del collegio non può far parte il giudice che ha pronunciato il provvedimento”.

DS redazione

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