L’operatore socio sanitario, il demansionamento e l’abuso di professione

L’OSS negli ultimi decenni è soggetto a due grandi rischi: il demansionamento e l’abuso di professione. Un fenomeno che investe trasversalmente ed indirettamente numerose e svariate strutture di rango socio assistenziale, ma anche ricadenti specificatamente nella fattispecie delle residenze per anziani nonché delle strutture sanitarie sia pubbliche sia private.

 

È utile affrontare, tenendo a mente l’odierno Servizio Sanitario Italiano, la figura professionale dell’operatore socio sanitario e le correlate questioni dell’abuso di professione e del demansionamento[1].

Un fenomeno che investe trasversalmente ed indirettamente numerose e svariate strutture di rango socio assistenziale, ma anche ricadenti specificatamente nella fattispecie delle residenze per anziani nonché delle strutture sanitarie sia pubbliche sia private. Parimenti il suddetto ricade – da intendersi per le persone fisiche – anche sugli operatori gestiti dalle numerose cooperative sociali presenti su tutto il territorio nazionale; a causa – in primis – di una cronica – ed oserei dire patologica – penuria di personale, oltre che di fisiologici problemi organizzativi intrinseci alle singole strutture ospedaliere.

Una cronicità tale, dunque, che va a detrimento della tutela nonché della salvaguardia e del benessere dell’utente, con il solo precipuo scopo di incrementare i piani di lavoro per favorire, a loro volta, i piani di risparmio per le strutture.

Pertanto, urge domandarsi, nell’ottica dell’esatta individuazione delle precise mansioni della figura professionale dell’OSS, se ci si trovi dinnanzi ad un lavoro che possa arrecare un vero e proprio danno biologico all’operatore (da intendersi anche l’usura, lo stress e la fatica derivanti dal lavoro che quotidianamente viene a svolgersi) oppure se ci si trovi davanti ad un progetto di  politica aziendale (oseremmo dire “aziendalistica”), dove si ritiene prioritario il risparmio e la massimizzazione dei soli profitti.

A tal proposito, concordemente a quanto sovra argomentato, emerge un ulteriore fenomeno che crea un vulnus nella figura professionale dell’operatore e cioè l’abuso di professione; il quale risulta essere quel principale strumento che contribuisce fattivamente a porre in serio rischio la salute di coloro che si pongono alle cure di tali professionisti. Tale implicazione è dovuta al fatto che gli stessi operatori siano esposti a continui – e continuativi – rischi di ritorsioni (da aggiungersi alle numerose ed ulteriori pressioni psicologiche di vario genere subite) sul lavoro, nel caso in cui non svolgessero anche compiti avulsi dallo loro sfera professionale e dalle loro competenze.

Difatti, gli stessi spesse volte sono tenuti ad adempiere a specifici compiti prettamente infermieristici (il cui preciso profilo professionale dell’infermiere è disciplinato dal DM 739/94)[2], che ormai malsanamente rientrano nella “normale routine” come competenze dell’OSS; comportandone una  reiterata assunzione di gravi rischi, anche di rilevanza penale (ne sono di esempio le seguenti condotte: ECG, esecuzioni di stik glicemici, esecuzioni emogas, rilevazione dei parametri vitali, effettuazione di unità insulinica sotto cute, parnaparina sotto cute, la somministrazione della metformina, cateterismo vescicale, terapia orale, broncoaspirazione ecc).

Parimenti al fenomeno dell’abuso di professione, sussiste il demansionamento[3]: sostanzialmente, un grave problema (quasi del tutto nella prassi ignorato) che, combinato all’effetto della de-capitalizzazione del lavoro, alle connesse restrizioni imposte dalle strutture sanitarie, che contribuisce a porre l’operatore nella “scomoda” situazione del mobbing[4].

Il demansionamento, però, è anche di derivazione istituzionale, essendone di esempio: il blocco del turn-over, dei contratti, il sotto dimensionamento degli organici, la compressione dei minuti di assistenza, il rapporto squilibrato nel numero tra professioni diverse, il costo zero, il precariato, la disoccupazione, il blocco dei salari sono tutti figli della de- capitalizzazione del lavoro.

Con ciò si giunge ad intus-legere il cittadino come un semplice numero, una pratica alquanto “gravosa” da risolvere nel più breve tempo possibile. Un mal costume che genera la “malasanità”, dove l’emergenza viene anche usata come strumento giustificativo per rendere più agevole e plausibile la riduzione dei posti letto in un disegno strategico di politiche sanitarie; utilizzandola per risolvere problemi di ordine economico.

Sarebbe forse eccessivamente tranciante, ma fortemente esplicativo ed intuitivo, descrivere il SSN con le seguenti parole del Minghetti: «sono altri che comandano, la struttura stessa te lo fa capire, come avviene in tutte le strutture “totalizzanti” e burocratiche. Non sempre è colpa dei singoli; è la logica nosocomiale a essere così»[5].

In virtù di ciò, si generano ordini di servizio che applicano linee guida nelle quali si prevede che l’operatore socio sanitario debba svolgere i seguenti compiti, in assistenza indiretta, come: la deragnatura con scovolo, lo spolvero arredi, il lavaggio manuale dei pavimenti, l’accurata pulizia dei sanitari, dei rivestimenti, della rubinetteria, delle docce, dei wc/bidet, l’uso della macchina lavasciuga o il lavaggio a mano dei pavimenti, la scopatura a secco, l’apertura finestre e chiusura finestre, la pulizia delle spazzole usate, il cambio sacchi della spazzatura e raccolta al piano, la pulizia delle cucine ecc.). Tutto ciò ha creato e crea forti ripercussioni sui pazienti, riducendo forzatamente ed obbligatoriamente i tempi di assistenza diretta agli stessi.

Inoltre, a causa di carenza di personale, accade giornalmente casi in cui, di notte, su 60 ospiti ci sia un solo operatore (OSS) ed altrettanto un solo infermiere su 120/180 ospiti. Difatti oggigiorno accade di avere ospiti nelle strutture sanitarie non autosufficienti che spesso vengono trascurati a causa, appunto, della carenza di personale OSS; facendo sì che l’operatore debba continuamente optare alla situazione che risulta essere la più emergenziale, dovendone valutare perfino le svariate priorità.

Capita, spesso, di trovare i pazienti in condizioni di estremo disagio ed abbandono: completamente sporchi di feci, medicazioni sporche, pazienti distesi sul pavimento nudi, senza contare gli ospiti che necessitano di assistenza continua ed hanno necessità di essere costantemente sorvegliati.

A tal proposito la Federazione Nazionale delle Professioni Sanitarie e Socio Sanitarie, denominata con l’acronimo M..I.G.E.P., denuncia:

–          le modalità che sono adottate nei confronti dell’OSS, poiché è arduo comprendere la cornice professionale entro la quale gli stessi debbano agire e parimenti la complessità derivante dalla totale assenza di compiti definiti; inducendo le strutture ad interpretare in modo erroneo – o meglio dire capzioso –  il recepimento dell’Accordo Stato Regioni del 2001;

–          le modalità e i tempi di assistenza diretta al paziente adottate da molte strutture, con rischi notevoli di aggravamento e complicazioni di salute per i ricoverati;

–          il mancato passaggio di qualifica di molti operatori in OSS e l’utilizzo dello stesso personale nel modo non coerente;

–          una formazione disomogenea, sul Territorio Nazionale, senza qualità formativa; causata quest’ultima da enti di formazione palesemente di dubbia qualità;

–          lo scarso controllo da parte delle autorità competenti (commissioni di vigilanza);

–          la mancanza di corsi di aggiornamento continuo.

Altrettanto, un aspetto molto grave che si evidenzia in molti contesti lavorativi, sono i conflitti ambientali e personali tra infermieri ed OSS e la mancanza di collaborazione in équipe.

Ulteriore aspetto che si vuole evidenziare in entrambe le professioni è la presenza di differenziati carichi di lavoro, di numerose forme di nevrosi, di ansia, di depressione, e quindi la totale assenza di comportamenti collaborativi.

L’altra nota dolente sono le modalità di assunzione e l’assenza di valutazioni circa la preparazione specifica dell’operatore soprattutto nei periodi di prova, portando in alcuni casi ad episodi di malasanità.

Una soluzione parrebbe rintracciarsi, essendovi un preciso atto d’indirizzo che indica l’OSS nell’area socio sanitaria, nel prossimo Contratto Nazionale di Lavoro. Difatti, la Federazione M.I.G.E.P. e i Sindacati hanno posto la necessità di un altro tavolo tecnico volto a definire la professione, le competenze, il reale fabbisogno e il ruolo dell’Operatore socio sanitario e riconfermare il ruolo di altre figure penalizzate (es. infermieri generici, puericultrici), emarginati dal sistema politico, operando comunque al fianco dell’OSS, in continua collaborazione; ma aventi i medesimi problemi di natura professionale ed ambientale.

Un assunto è utile affermare, precisando come al momento siano ancora del tutto mancanti concrete risposte che possano essere adeguate alla realtà del territorio ed ai suoi bisogni.

Pertanto, un buon funzionamento del Sistema Sanitario potrà essere solo garantito da una formazione adeguata e continuativa, che non sia solo rivolta ai lavoratori ed ai pazienti, ma anche ai familiari e alla collettività; in quanto è un diritto o meglio un diritto imprescindibile avere una sistema assistenziale umanamente migliore[6].

 


[1] Per approfondire la figura professionale dell’OSS: http://www.pianetaoss.it.

Definizione dell’OSS, precisamente individuata dalla Dott.ssa Adriana Colella: http://www.pianetaoss.it/materiale-area-psicologica-e-sociale/174-chi-e-loperatore-socio-sanitario

[2] Nel 1994 nasce ufficialmente anche in Italia la Professione Infermieristica propriamente detta. Ciò grazie al Decreto Ministeriale n. 739 che sancisce la nostra entrata ufficiale nel mondo delle professioni sanitarie. Da allora e grazie a tutte le battaglie vinte negli anni successivi l’Infermiere è diventato un essere pensante, dotato di una scienza e di una coscienza. Il profilo professionale dell’infermiere, composto da 3 articoli, ad oltre 20 anni dalla sua emanazione attraverso il DM 739/94, continua a svolgere il ruolo di pietra miliare della professione infermieristica.

E’ importante, in tale analisi, riportare l’art. 1, comma 3, del DM succitato:

L’Infermiere:

a) partecipa alla identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività;

b) identifica i bisogni di assistenza infermieristica della persona e della collettività e formula i relativi obiettivi;

c) pianifica, gestisce e valuta l’intervento assistenziale infermieristico;

d) garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico terapeutiche;

e) agisce sia individualmente sia in collaborazione con gli altri operatori sanitari e sociali;

f) per l’espletamento delle funzioni si avvale, ove necessario, dell’opera del personale di supporto;

g) svolge la sua attività professionale in strutture sanitarie pubbliche o private, nel territorio e nell’assistenza domiciliare, in regime di dipendenza o libero professionale.

[3] A tal proposito, è interessante approfondire la questione attraverso la sentenza del Tribunale di Pisa del 13/03/2001 circa il demansionamento, nonché il risarcimento del danno biologico ed alla professionalità.

[4] Per approfondire: http://www.nurse24.it/infermiere/mobbing-sanitario.html.

[5] Affermazione pronunciata dal Dott. Angelo Minghetti, Federazione Nazionale Migep.

Per approfondire si rimanda al seguente Sito Istituzionale del Migep: http://www.migep.it.

[6] Per approndire: http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=48709.

Dott. Martina Luigi Piero

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