L’Amministrazione Finanziaria può scegliere il metodo di accertamento nei limiti di quanto previsto dalla legge, ma se le risultanze del metodo prescelto sono irragionevoli e incongrue, e conducono a un concreto pregiudizio sostanziale del contribuente, la scelta del metodo è sindacabile.
Decisione: Sentenza n. 2873/2017 Cassazione Civile – Sezione V
Classificazione: Amministrativo, Tributario
Parole chiave: #accertamento, #metodoanalitico, #metodoinduttivo, #ricorso, #fulviograziotto, #scudolegale
Il caso.
Una SAS, e di conseguenza i suoi soci per il reddito loro imputato per trasparenza, si vedevano rettificare il reddito a seguito del disconoscimento di costi per quasi cinque milioni di euro.
La società operava quasi esclusivamente nel settore degli appalti pubblici, e l’Ufficio aveva applicato il metodo di accertamento analitico anziché quello induttivo, pur in presenza di contabilità inattendibile.
Dopo il ricorso, rigettato in primo grado, e il rigetto dell’appello proposto dai contribuenti, gli stessi ricorrono in Cassazione, che accoglie il ricorso.
La decisione.
Il ricorso si fondava su un unico motivo: veniva dedotta, «ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 d.P.R. n. 600 del 1973, 3 e 53 Cost. nonché 21-octies della legge n. 241 del 1990, la ricorrente si duole della scelta del metodo di ricostruzione del reddito d’impresa operata dall’Amministrazione finanziaria, che ha fatto ricorso a quello analitico pur sussistendo le condizioni poste dall’art. 39 d.P.R. n. 600 del 1973 per procedervi con metodo induttivo, lamentando anche i risultati irragionevoli ed incongrui restituiti dall’applicazione di quel metodo, tali da integrare anche una violazione dei principi costituzionali di uguaglianza e di capacità contributiva di cui agli artt. 3 e 53 Cost. A tale ultimo riguardo sostiene che l’operata rettifica del reddito d’impresa ha determinato una redditività del 37%, assolutamente irragionevole nell’ambito dell’edilizia pubblica in cui operava la società e che la stessa Agenzia delle entrate in occasione del contraddittorio aveva indicato – per aziende similari – nella misura del 4% (pag. 37 del ricorso). A detta dei ricorrenti, percentuali ancora minori risultavano dall’Osservatorio dei lavori pubblici dell’Umbria, dai dati elaborati da una società di ricerca sui bilanci depositati presso la CCIAA di Perugia, dai parametri e studi di settore. »
La Suprema Corte ritiene il motivo fondato.
Il Collegio dapprima precisa che «L’orientamento giurisprudenziale di legittimità in tema di accertamento delle imposte sui redditi è assolutamente consolidato nel ritenere insindacabile il potere dell’amministrazione finanziaria, se esercitato nell’ambito delle previsioni di legge, di scegliere discrezionalmente il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto e, pertanto, la parte contribuente, in assenza (secondo Cass. n. 8333 del 2012), non ha titolo a dolersi della scelta operata (cfr. Cass. n. 19258 del 2005; n. 20837 del 2005; n. 13430 del 2012; n. 8333 del 2012; n. 16980 del 2015; v. anche Cass. n. 13350 del 2009)».
Fatta tale precisazione, però, la Cassazione riconosce che, nel caso di specie, «considerando il risultato restituito dall’applicazione di quel metodo (in termini di percentuale di redditività determinata considerando un utile di circa € 4.800.000,00 che la società avrebbe ricavato da circa € 13.000.000,00 di fatturato nell’anno in verifica – v. ricorso pag. 33), non può escludersi che i contribuenti abbiano subito un concreto pregiudizio dalla scelta metodologica operata dall’amministrazione finanziaria, apparendo irragionevole ed incongrua, alla stregua dei dati riferiti dai contribuenti, l’applicazione di una percentuale di ricavi del 37% ad un’impresa operante quasi esclusivamente nel settore degli appalti pubblici».
La conclusione a cui giunge il Collegio èanche corroborata dal fatto che «tale ultima circostanza, confermata dal contenuto del processo verbale di constatazione (riportato per autosufficienza a pag. 6 del ricorso) in cui si afferma che i committenti della società in verifica erano e dalla quale gli stessi verificatori hanno fatto conseguire la ; dalla riscontrata sussistenza di gravi, numerose e ripetute inesattezze ed omissioni, anche formali, con duplicazione anche di talune registrazioni, rilevate nelle scritture contabili (v. ricorso, pag. 8), tali da potersi ritenere assolutamente inattendibili; dalla evidente discrasia emergente tra la percentuale di ricarico applicata nel caso di specie alla società verificata e quelle, invece, desumibile dai dati dall’Osservatorio dei lavori pubblici dell’Umbria, pubblicati nel bollettino ufficiale di quella regione, dai dati elaborati da una società di ricerca sui bilanci depositati presso la CCIAA di Perugia, dai parametri e studi di settore per imprese di medie dimensioni operanti nel settore dei lavori pubblici, ma soprattutto da quella (pari al 4%) che la stessa Agenzia delle entrate, in sede di contraddittorio, aveva ritenuto congruo per aziende similari a quella verificata; da tutte queste circostanze, dall’amministrazione finanziaria neanche contestate, deve trarsi il convincimento della assoluta incongruenza delle risultanze della verifica».
Sulla base di tali considerazioni, poi, la Suprema Corte precisa anche che l’accoglimento del ricorso «non costituisce un “travalicamento della giurisdizione nell’ambito di poteri discrezionali della PA”, ma è espressione del legittimo sindacato del giudice tributario che “ben può tener conto ai fini della decisione della metodologia adottata per la raccolta degli elementi utilizzati per la rettifica quando le emerse risultanze appiano incongrue rispetto alla situazione” concreta».
La Cassazione, quindi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale per una rivalutazione della vicenda attenendosi ai principi indicati.
Osservazioni.
La Cassazione ribadisce che l’Ufficio è libero, in presenza dei presupposti di legge, di scegliere il metodo di accertamento, ma non se il contribuente abbia subito un «pregiudizio sostanziale» dalla scelta metodologica operata dall’Amministrazione Finanziaria, che porti a risultanze della verifica assolutamente incongruenti e irragionevoli.
Disposizioni rilevanti.
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 29 settembre 1973, n. 600
Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi
Vigente al: 16-03-2017
TITOLO IV – ACCERTAMENTO E CONTROLLI
Art. 39 – Redditi determinati in base alle scritture contabili
Per i redditi d’impresa delle persone fisiche l’ufficio procede alla rettifica:
a) se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio, del conto dei profitti e delle perdite e dell’eventuale prospetto di cui al comma 1 dell’articolo 3;
b) se non sono state esattamente applicate le disposizioni del titolo I, capo VI, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni;
c) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta in modo certo e diretto dai verbali e dai questionari di cui ai numeri 2) e 4) del primo comma dell’articolo 32, dagli atti, documenti e registri esibiti o trasmessi ai sensi del numero 3) dello stesso comma, dalle dichiarazioni di altri soggetti previste negli articoli 6 e 7, dai verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti o da altri atti e documenti in possesso dell’ufficio;
d) se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche di cui all’articolo 33 ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa nonché dei dati e delle notizie raccolti dall’ufficio nei modi previsti dall’articolo 32. L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purchè queste siano gravi, precise e concordanti.
In deroga alle disposizioni del comma precedente l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma:
a) quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione;
b) LETTERA ABROGATA DAL D.LGS. 9 LUGLIO 1997, N.241;
c) quando dal verbale di ispezione redatto ai sensi dell’art. 33 risulta che il contribuente non ha tenuto o ha comunque sottratto all’ispezione una o più delle scritture contabili prescritte dall’art. 14 ovvero quando le scritture medesime non sono disponibili per causa di forza maggiore;
d) quando le omissioni e le false o inesatte indicazioni accertate ai sensi del precedente comma ovvero le irregolarità formali delle scritture contabili risultanti dal verbale di ispezione sono così gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilità sistematica. Le scritture ausiliarie di magazzino non si considerano irregolari se gli errori e le omissioni sono contenuti entro i normali limiti di tolleranza delle quantità annotate nel carico o nello scarico e dei costi specifici imputati nelle schede di lavorazione ai sensi della lettera d) del primo comma dell’art. 14 del presente decreto.
d-bis) quando il contribuente non ha dato seguito agli inviti disposti dagli uffici ai sensi dell’articolo 32, primo comma, numeri 3) e 4), del presente decreto o dell’articolo 51, secondo comma, numeri 3) e 4), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
d-ter) in caso di omessa presentazione dei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell’applicazione degli studi di settore o di indicazione di cause di esclusione o di inapplicabilità degli studi di settore non sussistenti, nonché di infedele compilazione dei predetti modelli che comporti una differenza superiore al 15 per cento, o comunque ad euro 50.000, tra i ricavi o compensi stimati applicando gli studi di settore sulla base dei dati corretti e quelli stimati sulla base dei dati indicati in dichiarazione. 115
Le disposizioni dei commi precedenti valgono, in quanto applicabili, anche per i redditi delle imprese minori e per quelli derivanti dall’esercizio di arti e professioni, con riferimento alle scritture contabili rispettivamente indicate negli articoli 18 e 19. Il reddito d’impresa dei soggetti indicati nel quarto comma dell’art. 18, che non hanno provveduto agli adempimenti contabili di cui ai precedenti commi dello stesso articolo, è determinato in ogni caso ai sensi del secondo comma del presente articolo.
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