Siamo alle solite, inizia la stagione estiva e con essa, l’ennesima riforma della giustizia civile presentata come la soluzione dell’ultima ora alla crisi sistemica dell’economia nazionale. Inevitabilmente, ciò significa anche la “certificazione” del fallimento riguardante tutti i precedenti interventi decisi dai legislatori (competitivi, della crescita, etc.) succedutisi nel corso degli anni, all’incessante ritmo di una riforma del processo civile all’anno. Il fondamento obiettivo di tale osservazione dal punto di vista squisitamente razionale è molto semplice: se le precedenti misure fossero risultate davvero efficaci – a cominciare da quelle introdotte dal legislatore della competitività negli anni 2005-2006, senza dimenticare quelle del 2009 (calendario del processo, testimonianza scritta, processo sommario di cognizione, filtro in Cassazione, soltanto per citarne alcune), 2010 (mediazione obbligatoria per le controversie civili e commerciali), 2011 (semplificazione dei riti) e 2012 (filtro in Appello, nuova legge Pinto) – sempre dal punto di vista squisitamente “razionale” non è difficile giungere alla conclusione che non ci sarebbe stato alcun bisogno per il legislatore del “fare” di intervenire nuovamente sulla giustizia civile. Allo stesso modo è innegabile che – nonostante l’endorsement delle istituzioni rappresentative del potere giudiziario – tutte le misure (comprese le ultime di recentissima approvazione) siano caratterizzate da un comune elemento: riforma della giustizia civile a “costo zero”.
A bene vedere, si continua a perseverare sul piano squisitamente legislativo, modificando e disfacendo di continuo tutto quello che è possibile fare a “costo zero”, a cui non è sfuggita la stessa riformulazione dei parametri dei compensi degli avvocati (anch’essa oggetto di rivisitazione nel corso del 2013) – sovente additati di fronte all’opinione pubblica come i presunti responsabili dei ritardi in cui versa la giustizia civile – ignorando la possibilità di ricercare altrove la possibile soluzione alla crisi sistemica in cui versa ormai da anni la giustizia civile.
Infatti, tutti i legislatori e governi succedutisi nel corso degli anni hanno di fatto ignorato l’eccezionale necessità di valutare seriamente l’introduzione di risorse umane e tecnologiche in grado di fare “fronte comune”, in misura adeguata e non meramente “simbolica”, alla risoluzione di una situazione divenuta ormai eccezionale di emergenza nazionale, quale è quella attuale della giustizia civile.
In verità sembra che tale argomento – indubbiamente comportante l’assunzione di un significativo onere economico-finanziario a carico del bilancio dello Stato – costituisca un vero e proprio tabù del nostro tempo, al punto che nessuno nelle dorate “stanze dei bottoni” si è mai preoccupato di indicarlo come una soluzione per uscire dall’impasse perenne della parossistica inadeguatezza della durata del processo civile.
Purtroppo, di riforma in riforma, appare ormai sempre più evidente come sia proprio questa – piuttosto che la riforma annuale a “costo zero” della giustizia civile – la vera soluzione ai mali che attanagliano il processo civile, come del resto sembra di leggere nei contributi pubblicati da studiosi ed illustri accademici della materia qui considerata.
Aggiungasi che un ulteriore dato significativo su cui riflettere potrebbe essere quello che consideri davvero – opportunamente pesandoli “idealmente” sulla bilancia della Dike – i vantaggi (presunti) che deriverebbero dal continuare a seguire la strada delle riforme annuali a “costo zero” della giustizia civile con gli svantaggi (concreti) che tale volontà comporta (ed incontrovertibilmente di fatto ha comportato siano ad oggi), anche sul piano delle stesse aspettative economicamente valutabili da parte degli utenti nazionali ed internazionali del particolare “servizio” di cui si discorre in queste pagine, essenziale anche per la convivenza civile dei consociati.
Forse, piuttosto che limitarsi ad introdurre misure “tampone” od a riproporre quelle frutto di un recente passato (mediaconciliazione) sia pure con correttivi che rischiano di creare soltanto confusione ed ulteriori occasioni di conflitto sul piano processuale – tutte accomunate dall’improbabile raggiungimento del desiderato effetto deflattivo dei processi civili (in corso e di nuova instaurazione) – sarebbe il momento di cominciare seriamente ad interrogarsi se non sia il caso di scegliere una strada davvero innovativa costituita dall’investire adeguatamente in risorse (anche umane), sia pure con tutti gli oneri economici che l’adozione di tale soluzione comporta, piuttosto che proseguire con la solita politica del “rattoppo” apportato di continuo ad un impianto normativo ormai divenuto vetusto ed al tempo stesso “saturo” per i continui interventi ad horas del legislatore, spesso non omogenei tra di loro ed anzi, a volte anche in grado di generare imbarazzanti situazioni di veri e propri conflitti tra norme succedutesi nel tempo.
Del resto, tale situazione sembra difficilmente evitabile quando l’unico imperativo del nostro tempo è sempre maggiormente contraddistinto dall’obbligo di “fare” anche male, purchè si faccia e presto, anzi subito, tanto il resto sono problemi la cui risoluzione spetta ai medesimi utenti – rectius: loro rappresentanti – del servizio Giustizia, che, parafrasando il titolo di una vecchia canzone suona come “tutto il resto è noia”.
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