E’ un po’ di tempo che sentiamo parlare dell’esigenza di approvare una legge che garantisca la possibilità di accedere agli atti della pubblica amministrazione liberamente, senza dover dimostrare l’interesse diretto al documento e, cosa importante, a costo zero per i cittadini.
Sentiamo parlare di “Freedom for Information Act” (FOIA), in vigore negli Stati uniti e in tantissimi stati europei, ma non in Italia.
Quando il Parlamento ha approvato la legge 7 agosto 2015, n. 124 meglio nota come “legge Madia”, sembrava che il FOIA-Italia da lì a breve si sarebbe concretizzato. Ma è andata diversamente. La legge all’articolo 7 delega il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi integrativi e correttivi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, individuando come principi e criteri direttivi il riconoscimento della libertà di informazione attraverso il diritto di accesso, anche per via telematica, di chiunque, indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni.
Nella lettura del testo non può non saltare subito all’occhio una gigantesca contraddizione: la legge Madia non ha previsto alcuna delega integrativa e/o correttiva del Capo V -Accesso ai documenti amministrativi- della legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo. La delega è specifica per il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, in materia di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei principi e criteri direttivi stabiliti dall’articolo 1, comma 35 della legge 6 novembre 2012, n. 190.
In sostanza, il Capo V della legge 241/190 che disciplina l’accesso agli atti amministrativi non si può integrare e coordinare con il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 che ha introdotto l’istituto dell’Accesso Civico (art. 5 e seguenti), una strategia legislativa davvero singolare, sicuramente all’opposto dei concetti base del “Freedom for Information Act”.
Con queste premesse, cosa ci si poteva aspettare dal decreto attuativo, in questi giorni all’esame delle competenti Commissioni di Camera e Senato?
Ma facciamo un passo indietro.
Una prima articolata critica alla bozza di decreto è arrivata dal Consiglio di Stato, Sezione consultiva per gli atti normativi, Parere n. 343 del 18 febbraio 2016.
I tecnici di Palazzo Spada fra le tante obiezioni sollevate, si soffermano in particolare sulla disposizione che introduce il silenzio rigetto (vedi comma 5 dell’articolo 6 che modifica l’articolo 5 del dlgs 33/2013) nella stessa legge che, paradossalmente, dovrebbe garantire trasparenza totale da parte della pubblica amministrazione. Ma non basta, il cittadino destinatario del silenzio rigetto per vedere riconosciute le proprie ragioni può solo agire in giudizio, con i relativi costi da sostenere che tutti ben conosciamo.
Vale la pena leggere per esteso la censura del Consiglio di Stato:
“(…) una valorizzazione adeguata del diritto di conoscenza rende necessario, a fronte dell’attribuzione ai singoli cittadini del diritto di richiedere informazioni alle amministrazioni, il corrispondente obbligo di queste ultime di indicare gli eventuali motivi posti a base dell’eventuale diniego di accesso, conformemente a quanto accade nel F.O.I.A. statunitense, senza limitarsi alla laconica previsione “Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta”, con la conseguenza che al richiedente non resta che presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale. Si verificherebbe, così, il paradosso che un provvedimento in tema di trasparenza neghi all’istante di conoscere in maniera trasparente gli argomenti in base ai quali la P.A. non gli accorda l’accesso richiesto: ciò rappresenterebbe un evidente passo indietro rispetto alla stessa legge n. 241 del 1990 e al generale obbligo di motivazione dalla stessa previsto. Il cittadino, destinatario della “semplificazione” normativa consistente nella possibilità di conoscere atti, documenti, informazioni, anche in assenza di un interesse qualificato e di una specifica giustificazione, tornerebbe così alla “complicazione” di partenza: decorsi invano trenta giorni, non gli resterebbe che l’onerosa incombenza di agire in giudizio per vedere riconosciute le proprie ragioni, senza peraltro conoscere quelle per cui l’amministrazione gli ha negato determinate informazioni”.
Ci si chiede allora, ma è davvero poi così importante approvare il più velocemente possibile il Freedom for Information Act? la risposta non può che essere affermativa, ma il testo approvato nel Consiglio dei Ministri del 20 gennaio 2016 deve essere profondamente modificato.
Un caso di accesso agli atti impedito ad giornalista per una importante inchiesta giornalistica, confermato da un tribunale amministrativo regionale, può ben spiegare l’urgente necessità di approvare un vero FOIA-Italia.
Un giornalista ha inoltrato al Ministero dell’Economia e delle Finanze (MISE) una richiesta di accesso agli atti ai sensi della legge n. 241 del 1990, con la quale ha chiesto l’ostensione di tutti i contratti c.d. “derivati” stipulati dal Ministero con ben diciannove distinte banche e istituti finanziari e in via subordinata, l’esibizione dei tredici contratti derivati attualmente in vigore tra lo Stato italiano da una parte e banche ed istituti finanziari dall’altra, nei quali è presente la clausola di recesso anticipato.
Il giornalista ha motivato la richiesta di accesso, in forza del diritto di cronaca e d’informazione posizione costituzionalmente garantita ex art. 21 della Costituzione, dichiarando di avere avviato un’inchiesta giornalistica finalizzata ad una corretta informazione all’opinione pubblica circa l’impiego dei contratti “derivati” e i relativi rischi per la finanza pubblica.
In assenza di riscontri da parte dell’Amministrazione interessata ed essendo trascorso il termine di trenta giorni dalla presentazione dalla richiesta, il giornalista, ha promosso ricorso al TAR Lazio Roma contro il diniego tacito di accesso ai suddetti documenti.
La terza sezione del TAR Lazio Roma con sentenza n. 13250, del 24 novembre 2015, ha respinto il ricorso del giornalista, facendo presente che in merito alla delicata tematica dei rapporti tra i limiti del diritto di accesso e l’esercizio del diritto di cronaca giornalistica, avente fondamento costituzionale, se è vero che non si può equiparare la posizione di una testata giornalistica o di un operatore della stampa a quella di un qualunque soggetto giuridico per quanto attiene al diritto di accesso ai documenti amministrativi, nondimeno non è consentito dilatare l’ambito applicativo della normativa di tipo garantista di cui all’art. 22 della legge n. 241 del 1990. Il numero dei documenti variamente chiesti in ostensione dal giornalista nonché la genericità della richiesta avanzata (era stata chiesta l’ostensione di 13 contratti derivati!!) alle Amministrazioni complessivamente coinvolte nella vicenda lasciano intravedere secondo i giudici del TAR Lazio, un intento che si pone al di fuori della portata della norma di cui al citato art. 22, e cioè quello di esercitare un controllo generalizzato sull’attività della P.A.; ammettere in tal caso il diritto di accesso equivarrebbe a introdurre, sempre secondo i Giudici amministrativi, una inammissibile azione popolare sulla trasparenza dell’azione amministrativa.
Di tutt’altro avviso era stata la posizione della sezione seconda bis sempre del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio Roma nella sentenza n. 4909 del 2015. Infatti, in questo caso i Giudici amministrativi avevano sottolineato, seppur in fattispecie completamente differenti, che la legge n. 241 del 1990, nella parte novellata dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 10 della legge 18 giugno 2009, n. 69, conferisce al “diritto” di accesso, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, valore di “principio generale dell’attività amministrativa” al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.
In conclusione, per superare le resistenze della pubblica amministrazione alla totale conoscenza di qualsiasi atto in suo possesso, appare oggi più che urgente approvare il Freedom for Information Act con le dovute modifiche e integrazioni indicate dal Consiglio di Stato, e in particolare coordinando ed integrando le disposizioni del d.lgs 33/2013 con le norme della legge 241/190.
Per quanto riguarda la necessità d’individuare una soluzione alternativa veloce e a costo zero per il cittadino all’obbligo di agire in giudizio contro il rigetto esplicito o tacito all’accesso, può essere ripresa la procedura già esistente per FOIA-Ambiente (articolo 7 del d.lgs 15 2005 accesso incondizionato per le tematiche ambientali), ovvero, il richiedente a cui gli viene negato l’accesso, può chiedere il riesame del diniego, secondo la procedura stabilita all’articolo 25, comma 4, della stessa legge n. 241 del 1990, al difensore civico competente per territorio, nel caso di atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, o alla Commissione per l’accesso di cui all’articolo 27 della citata legge n. 241 del 1990, nel caso di atti delle amministrazioni centrali o periferiche dello Stato.
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