In primo ed in secondo grado, un pubblico ufficiale[1] veniva ritenuto colpevole del delitto di peculato per aver reiteratamente utilizzato il fax dell’ufficio a scopi privati. In appello, si escludeva che la fattispecie potesse rientrare nella meno grave imputazione di peculato d’uso, giacché le energie utilizzate per la trasmissione del fax, ad avviso dei giudici, non potevano essere restituite. Il reo, allora, ricorreva per Cassazione deducendo l’insussistenza del reato per mancanza di un apprezzabile danno patrimoniale alla Pubblica Amministrazione e contestava, altresì, l’errata qualificazione del fatto di reato, ritenendo configurabile il peculato d’uso (art. 314 c. 2 c.p.).
La Suprema Corte, nella decisione in commento, esclude che la condotta posta in essere dal reo rientri nella fattispecie di cui all’art. 314 c. 1 c.p. Infatti, affinché si realizzi il peculato occorre un’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico ufficiale, il quale deve comportarsi uti dominus con la res detenuta per ragioni d’ufficio, tanto che il bene debba considerarsi estromesso dal patrimonio del suo effettivo titolare. Orbene, nel caso di specie, non è ravvisabile la perdita della res da parte della P.A., giacché il soggetto agente lo ha solo distratto temporaneamente dall’uso al quale era destinato. Gli ermellini, in proposito, richiamano la pronuncia a Sezioni Unite del 2 maggio 2013 n. 19054 in materia di impiego improprio del telefono d’ufficio: le energie o gli impulsi elettronici necessari per le conversazioni non sono suscettibili di appropriazione, in quanto non costituiscono oggetto della previa disponibilità della parte, pertanto non può parlarsi di peculato tout court[2]. L’impiego episodico del fax da parte del soggetto agente non ha determinato l’inversione del dominio del bene, tale condotta, quindi, non integra il peculato e, stante l’inoffensività del fatto, non si ritiene configurabile neppure il peculato d’uso. Per integrare la fattispecie di cui all’art. 314 c. 2 c.c., infatti, secondo la consolidata giurisprudenza, occorre che la condotta cagioni in capo alla Pubblica Amministrazione un apprezzabile danno patrimoniale o leda la funzionalità dell’ufficio[3]. Ad avviso della Suprema Corte, nel caso di specie, residua l’ipotesi di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.). Tale fattispecie ha natura sussidiaria, in quanto rileva solo allorché il fatto non costituisca più grave reato. La condotta del reo si identifica con un abuso funzionale qualificato dal fatto di aver impiegato i mezzi di cui disponeva per ragioni d’ufficio a scopi differenti da quelli per i quali l’esercizio di tale potere è concesso e per motivazioni volte a procurare un vantaggio patrimoniale per sé o per altri[4]. Per integrare il reato, non è sufficiente il mero abuso della qualità, ma occorre il concreto utilizzo delle funzioni da parte del soggetto, il quale deve abusare di esse[5] per ragioni difformi dalla natura della funzione ad egli attribuita; pertanto, qualora il pubblico ufficiale agisca al di fuori di tali funzioni, in reato de quo non risulta configurabile[6].
In particolare, la Corte sottolinea che «integra il delitto di abuso d’ufficio la condotta del pubblico dipendente di indebito uso del bene che non comporti la perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’avente diritto»[7].
Nella fattispecie in oggetto, è indubbio che l’uso del fax d’ufficio sia avvenuto per scopi privati in violazione dei doveri di correttezza e lealtà imposti al pubblico ufficiale; il soggetto agente ha scientemente abusato degli strumenti d’ufficio per procurarsi un indebito vantaggio[8] (velocizzare le pratiche infortunistiche che gestiva con il suocero) e, pertanto, risulta ravvisabile il reato di cui all’art. 323 c.p. Nondimeno, nella vicenda in commento, l’abuso d’ufficio risulta prescritto essendo maturato il termine prescrizionale; la Corte, pertanto, annulla senza rinvio la sentenza impugnata giacché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
[1] Il reo ricopriva la qualifica di agente scelto della Polizia di Stato presso un istituto ospedaliero ed aveva impiegato il fax per inviare la documentazione relativa a pratiche infortunistiche al suocero, con il quale collaborava.
[2] Lo stesso percorso delibativo è seguito dalle molteplici pronunce afferenti all’abusivo utilizzo della connessione Internet; ex pluribus Corte di Cassazione, 8 agosto 2013, n. 34524.
[3] Siffatto principio è ribadito nella sentenza Corte di Cassazione, sez. IV, 03 aprile 2015 n. 14040, in materia di uso dell’auto di servizio per motivi privati, in cui si precisa che: «il raggiungimento della soglia della rilevanza penale presuppone comunque l’offensività del fatto, che nella ipotesi del peculato d’uso si realizza, secondo l’insegnamento di questa Suprema Corte, con la produzione di un apprezzabile danno al patrimonio della p.a. o di terzi, ovvero attraverso una condotta in concreto lesiva della funzionalità dell’ufficio (in tal senso, v. Sez. 6, n. 5006 del 12/01/2012, dep. 09/02/2012, Rv. 251785; v., inoltre, Sez. 6, n. 7177 del 27/10/2010, dep. 24/02/2011, Rv. 249459)».
[4] In senso conforme, vedasi Corte Cass., sent. 4 maggio 2011 n. 20094 afferente all’uso del fax dell’ufficio per scopi privati, la quale qualifica la condotta di cui all’art. 323 c.p. in questi termini: «la condotta si identifica con l’abuso funzionale, cioè con l’esercizio delle potestà e con l’uso dei mezzi inerenti ad una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali l’esercizio del potere è concesso, e finalizzate, mediante attività di rilevanza giuridica o comportamenti materiali, a procurare un vantaggio patrimoniale per sé o per altri ovvero ad arrecare ad altri un ingiusto danno»
[5] Vedasi L. DELPINO, Manuale di diritto penale. Parte Speciale, Napoli, Simone, 2014, 100 ss.
[6] Così R. GIOVAGNOLI, Studi di diritto penale. Parte Speciale, Milano, Giuffrè, 2008, 161 ss.
[7] In tal senso vedonsi Corte Cass., sez. VI, 13 marzo 2009 n. 14978; Corte Cass., sez. VI, 9 aprile 2008 n. 31688; Corte Cass., sez. VI, 12 dicembre 2000 n. 381
[8] Il reato di abuso d’ufficio, dopo la riforma operata dalla legge 16 luglio 1997 n. 234, è stato trasformato da reato di pericolo a reato di danno. Per integrare il delitto, pertanto, occorre l’effettiva produzione del vantaggio ingiusto o del danno ingiusto. In tal guisa si è voluto incentrare il reato sulla tutela del patrimonio della P.A. piuttosto che sul suo prestigio. Per un approfondimento, L.DELPINO, Manuale di diritto penale. Parte Speciale, cit.
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