L’uso personale di stupefacenti nel TU 309/90

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Sia la L. 395/1923, sia il Codice Rocco del 1930 non prevedevano e non punivano, in una fattispecie tipica, l’uso personale di stupefacenti. In effetti, tanto nella predetta normazione del 1923 quanto in quella del 1930, la tossicomania, sotto il profilo della ratio, era qualificata alla stregua di una malattia psico-fisica. Soltanto la L. 1041/1953 sanzionava la detenzione di droghe ed il consumo, personale o meno che fosse. Dopo anni di incertezze ermeneutiche, la L. 685/1975 affermò la punibilità tassativa dello spacciatore, mentre non era considerato come perseguibile il tossicodipendente colto in possesso di una “modica quantità” di sostanza illecita.
Per approfondire: La disciplina dei reati in materia di stupefacenti

Indice

1. L’uso personale prima di Consulta n. 32/2014


Il difetto principale della L. 685/1975, tuttavia, consisteva nel fatto che il Legislatore aveva omesso di indicare parametri qualitativi e, soprattutto, quantitativi ai fini di un’interpretazione univoca e certa dei lemmi “modica quantità”; sicché, come sempre, il Magistrato del merito era investito dell’ingrato compito esegetico di riempire tale lacuna in sede giurisprudenziale. Entro tale confuso scenario, dopo ben dodici anni di aporie ermeneutiche, Cass., sez. pen. VI, 8154 del 1987 stabilì che “non può ritenersi modica una quantità di sostanza stupefacente che superi il fabbisogno del detentore tossicomane per un tempo superiore a tre giorni, e ciò seppure il possessore alleghi di dover soggiornare per un tempo maggiore [dei tre giorni] in località ove è difficile reperire la droga”. Essenziale risultò pure, due anni dopo, Cass., sez. pen. VI, n. 7544 del 1989, a norma della quale, nell’analisi della modica quantità, “deve emergere con chiarezza lo stato di tossicodipendenza del soggetto, e anche il numero di dosi attive medie ricavabili dal quantitativo rinvenuto”. Ciononostante, le due summenzionate Sentenze del 1987 e del 1989 non risolvevano la problematica della “provvista” per suo personale. In secondo luogo, Cass., sez. pen. VI, 8154 del 1987 e Cass., sez. pen. VI, 7544 del 1989 fornivano una qualificazione “quantitativa” della modica quantità, senza considerare l’altrettanto importante profilo della “qualità” dello stupefacente. P.e., sotto il profilo medico-legale, esistono quantitativi di sostanze senza dubbio “modici”, ancorché assai pericolosi per l’incolumità psicofisica dell’assuntore.
La ratio della “modica quantità” prestava il fianco ad un’eccessiva ipertrofia giurisprudenziale, fino a quando la L. 162/1990 sostituì tale principio con quello più certo di “dose media giornaliera”, ponderalmente predefinita, per le varie sostanze, in un apposito decreto ministeriale. Nei Lavori Preparatori della L. 162/1990 si affermava che “il consumatore di sostanze stupefacenti […] va considerato un malato da curare, e quindi non deve essere soggetto ad alcuna sanzione penale; ma il suo comportamento è comunque contrario ai principi della convivenza sociale, e, pertanto, va sottoposto alle sanzioni amministrative di cui all’ Art. 75 [L. 162/1990]”.
Purtroppo, il referendum popolare del 1993 abrogò i limiti quantitativo-ponderali contenuti nella ratio della “dose media giornaliera”. Il risultato fu una nuova apertura alla totale discrezionalità del Magistrato del merito. In effetti, a prescindere da ulteriori dettagli, il principio ponderale-matematico, predisponendo valori predefiniti, limitava il potere interpretativo assoluto del giudice e forniva un metodo esegetico maggiormente conforme all’indispensabile ideale della “certezza del Diritto” e, per conseguenza, a quello della “certezza della pena”.
Soltanto la L. 49/2006 è seriamente intervenuta per limitare la “troppo libera” interpretazione dell’AG. Ovverosia, venne introdotta la QMD (quantità massima detenibile) tabellarmente e numericamente predefinita. Dunque, l’uso “non esclusivamente personale” veniva, finalmente, fatto dipendere da una QMD di carattere algebrico, dunque non soggetta ad iperboliche distorsioni ermeneutiche. Pur se, rimaneva precettiva anche la ratio legata alla “qualità” della sostanza, come dimostra l’egualmente essenziale aggravante ex lett. e) comma 1 Art. 80 TU 309/90 ([Le pene sono aumentate …] se le sostanze stupefacenti o psicotrope sono adulterate o commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva”).
Tuttavia, nella Giurisprudenza di legittimità, non è tutt’oggi nitida la distinzione tra, da un lato, l’”uso non esclusivamente personale” e, dall’altro lato, la “detenzione per cessione a terzi”. Nemmeno Sezioni Unite Biondi del 2012 hanno risolto la problematica, pur se, a parere di chi redige, i parametri algebrico-quantitativi rimangono estremamente utili, specialmente al fine di limitare un’iperattività interpretativa giurisprudenziale che finisce per ledere l’autonomia nomogenetica riservata al solo Legislatore. P.e., aspramente e negativamente critica risulta Cass., sez. pen. VI, 17899 del 2008, a parere della quale “la L. 49/2006, pur avendo distinto tra uso personale consentito ed uso non esclusivamente personale vietato, non contiene elementi di sostanziale novità rispetto alla disciplina previgente, che sanzionava penalmente la detenzione di sostanze stupefacenti che […] non fosse finalizzata all’uso personale”. Chi scrive non concorda con i toni apodittici ed estremistici di Cass., sez. pen. VI, 17899 del 2008, in tanto in quanto la scelta de jure condendo della QMD ha notevolmente dissipato i troppi dubbi precedenti degli operatori. L’essenziale, secondo chi commenta, è affiancare sempre e comunque la ratio “quantitativa” a quella “qualitativa”, non meno importante e decisiva. In effetti, anche Cass., sez. pen. IV, 21 giugno 2013, n. 27346 invita a non estremizzare il criterio della quantità, giacché “questo parametro [ponderale] non va considerato singolarmente ed isolatamente, sicché non è sufficiente la sussistenza [del solo] superamento dei limiti tabellarmente previsti, affinché la condotta di detenzione sia penalmente rilevante: pur in presenza di quantità non esigue, il giudice può e deve valutare se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere un uso non esclusivamente personale”. Come si può notare, Cass., sez. pen. IV, 21 giugno 2013, n. 27346 invita l’interprete ad una costante e seria “contestualizzazione”, in tanto in quanto il Magistrato del merito non deve essere ridotto ad un doganiere munito del solo bilancino di precisione. Oltretutto, si consideri pure che Consulta 32/2014 ha stravolto tutti i predetti parametri utilizzabili ai fini della distinzione tra detenzione per suo personale (Art. 75 TU 309/90) e detenzione per fini di cessione a terzi, come p. e p. ex Art. 73 TU 309/90.

2. La situazione normativa attuale


Dopo la confusione clamorosa di Consulta 32/2014, il Preambolo del DL 36/2014 aveva sottolineato che “è necessario superare la situazione di incertezza giuridica in ordine alla validità di tutti gli Atti adottati sulla base delle norme contenute nel TU 309/90 come modificato dalle norme censurate […] [e bisogna assicurare] la continuità della sottoposizione al controllo del ministero della salute delle sostanze aggiunte dopo l’entrata in vigore della L. 49/2006 […] ed il rispetto delle convenzioni internazionali in base alle quali erano state aggiornate le relative tabelle”. Anzi, a causa di Consulta 32/2014, come specificato da Cass., sez. pen. III, 10 luglio 2015, n. 40268, “si è verificata la caducazione della L. 49/2006, che fissava le direttive di carattere generale alle quali dovevano attenersi i decreti ministeriali di inserimento delle singole sostanze nel catalogo legale, [e ciò] comporta la conseguente caducazione di tali Atti amministrativi, integrativi del precetto di cui all’ Art. 73 TU 309/90”.
Il DL 36/2014 è stato convertito, con modifiche, nella L. 79/2014, la quale è tutt’oggi in vigore e dispone, ex Art. 75 TU 309/90, sanzioni solamente amministrative per l’uso personale, mentre, ex Art. 73 TU 309/90, sono previste sanzioni penalmente rilevanti se la detenzione reca fini di spaccio. Dunque, la disciplina dell’uso personale/non personale è ricavabile dal comma 1 Art. 73 TU 309/90, dal comma 1 Art. 75 TU 309/90 e, in terzo luogo, dal comma 1 bis Art. 75 TU 309/90, ovverosia:
1.     comma 1 Art. 73 TU 309/90
Chiunque […] comunque illecitamente detiene, fuori dalle ipotesi previste dall’Art. 75 TU 309/90 […] sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle I e III previste dall’Art. 14 TU 309/90, […] è punito [penalmente, ndr] con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 25.822 ad euro 258.228
2.     comma 1 Art. 75 TU 309/90
Chiunque, per farne uso personale […] comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope, è sottoposto […] a una o più delle […] sanzioni amministrative […]
3.     comma 1 bis Art. 75 TU 309/90
Ai fini dell’accertamento della destinazione ad uso esclusivamente personale della sostanza stupefacente o psicotropa o del medicinale di cui al comma 1, si tiene conto delle seguenti circostanze:
a) che la quantità di sostanza stupefacente o psicotropa non sia superiore ai limiti massimi indicati con DM del ministero della salute […] nonché della modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero ad altre circostanze dell’azione, da cui risulti che le sostanze sono destinate ad un uso non esclusivamente personale
b) che i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope elencate nella tabella dei medicinali, sezioni A, B, C e D non eccedano il quantitativo prescritto [ nella ricetta del medico]

3. La prova della destinazione allo spaccio (comma 1 Art. 73 TU 309/90)


Se si legge “a contrario” la lett. a) comma 1 bis Art. 75 TU 309/90, si evince che la sostanza illecita è detenuta per finalità di spaccio
1.     quando supera la QMD ex DM 11 aprile 2006 e ss.mm.ii
2.     quando le “modalità di presentazione” fanno manifestamente intuire il fine della cessione a terzi ex comma 1 Art. 73 TU 309/90
Tuttavia, più sensibile alla ratio della “contestualizzazione” risulta Cass., sez. pen. IV, 11 gennaio 2018, n. 7191, a parere della quale “la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogniqualvolta la condotta non appaia indicativa della immediatezza del consumo, dev’essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto”. E’ più che evidente che l’interpretazione “contestualizzatrice” di Cass., sez. pen. IV, 11 gennaio 2018, n. 7191 invita l’operatore alla corretta applicazione dell’Art. 133 CP, in tema di gravità oggettiva e soggettiva dell’infrazione. Pertanto, di nuovo, la Suprema Corte, in tale Precedente del 2018, esorta a rifuggire la figura irrealistica e, financo, ridicola, di un Magistrato-calcolatrice.
D’altra parte, anche molte altre Sentenze della Cassazione, nel contesto dell’“uso non personale” ex Art. 73 TU 309/90, hanno ribadito, negli Anni Duemila, la non precettività assoluta ed assolutizzante della “quantità esigua” detenuta. P.e. Cass., sez. pen. VI, 19 settembre 2013, n. 39977 asserisce che “il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto […] non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale”. In effetti, secondo Cass., sez. pen. VI, 19 settembre 2013, n. 39977, si deve valutare pure l’eventuale costituzione di una “provvista ad uso personale”. Interessante è pure Cass., sez. pen. III, 15 gennaio 2019, n. 10949, per la quale “la detenzione di quantità inferiori ai limiti indicati nel DM 11 aprile 2006 e ss.mm.ii. non costituisce un dato di per sé decisivo ai fini dell’esclusione della rilevanza penale della condotta (la destinazione allo spaccio [ex comma 1 Art. 73 TU 309/90]), che si ricava, invece, da [altri elementi del fatto […] L’esclusione della destinazione della droga ad un uso strettamente personale ben può essere ritenuta dal giudice anche in forza di ulteriori circostanze dell’azione”. Quindi, anche Cass., sez. pen. III, 15 gennaio 2019, n. 10949 sottolinea la basilarità di tutti i parametri ex lett. a) e b) comma 1 bis Art. 75 TU 309/90. Senza poi contare l’ altrettanto importante Art. 133 CP


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4. Il parametro delle “altre circostanze dell’azione” e l’ uso personale o non personale della sostanza detenuta


La ratio delle “altre circostanze dell’azione” ( ult. cpv. lett. a comma 1 bis Art. 73 TU 309/90) è assai vaga sotto il profilo testuale; pertanto, si è resa necessaria la consueta esegesi integrativa di rango giurisprudenziale. Ecco qui di seguito catalogate alcune categorie elaborate dalla Suprema Corte:
 
1.     il peso lordo complessivo:
il peso lordo complessivo si riferisce al “grado di purezza” della sostanza. Alla luce della maggiore o minore purezza, si può determinare la lesività sanitario-tossicologica della partita di droga. D’altra parte, la tutela della salute pubblica rimane, nel TU 309/90, una ratio fondamentale, giacché tutelata ex comma 1 Art. 32 Cost. . Si consideri pure, in secondo luogo, che la detenzione di uno stupefacente molto “puro” è sintomatica di un grande e vasto narcotraffico. Viceversa, il pusher di quartiere, di solito, spaccia sostanze già tagliate, dunque meno psicoattive e, provvidenzialmente, meno idonee a generare overdoses
 
2.     il confezionamento frazionato:
Anche in tale fattispecie, un “sasso” intero denota una gravità tossicologica e, per conseguenza, penale maggiore. All’opposto, il piccolo spacciatore di quartiere ed il consumatore finale detengono quasi sempre “dosi frazionate”, magari riconducibili ad una modesta “provvista” destinata all’uso esclusivamente personale
 
3.     il possesso di droghe di più tipi.
Negli Anni Novanta del Novecento, la celebre Cass., sez. pen. IV, 20 febbraio 1995, n. 1639 affermava che “la destinazione della sostanza stupefacente all’esclusivo uso personale non può essere [ragionevolmente] ritenuta […] allorché il quantitativo a disposizione dell’imputato sia tutt’altro che irrilevante e sussistano altri dati, costituenti altrettanti indizi a favore della tesi della detenzione non per suo personale [ex comma 1 Art. 73 TU 309/90], come il contemporaneo possesso di più droghe”. Tale parametro di cui a Cass., sez. pen. IV, 20 febbraio 1995, n. 1639, negli Anni Duemila, è stato operativamente abbandonato, alla luce dell’odierna moda poli-tossicomanica di detenere e consumare, contemporaneamente, più di una tipologia di sostanza, magari mescolata con bevande alcoliche. Oggi è raro rinvenire tossicodipendenti dediti all’uso della sola eroina o della sola cocaina, come accadeva, viceversa, negli Anni Ottanta del Novecento.
 
4.     le condizioni economiche dell’imputato.
Secondo Cass., sez. pen. IV, 29 novembre 1994, n. 1181, si presume non detenuto per uso personale un ingente quantitativo di stupefacenti molto costoso e acquistato da un soggetto con un reddito personale o familiare scarso. Similmente, nella Giurisprudenza di merito, Tribunale di Bari, sez. II, 3 febbraio 2022, n. 183 reputa che “la destinazione delle sostanze ad un uso non esclusivamente personale può essere desunta dalla sproporzione tra le condizioni economiche [dello spacciatore] ed il quantitativo di sostanza, la suddivisione in dosi e la disponibilità di una somma ingente di banconote; quest’ultimo elemento evidenzia, verosimilmente, il provento di cessioni già effettuate [in epoca pregressa e professionalmente, ndr]
 
5.     la mancanza di una versione difensiva alternativa.
Secondo Cass., sez. pen. III, 18 gennaio 2018, n. 8422, “la valutazione [del GIP] sulla legittimità dell’arresto […] deve avere ad oggetto la configurabilità, in astratto, del reato per cui si è proceduto all’arresto e la sua attribuibilità alla persona arrestata, quali condizioni legittimanti la privazione della libertà personale […]. Un elemento indicatore della finalità di spaccio è [anche] la mancanza di una versione difensiva alternativa [unitamente alla] notevole quantità dello stupefacente ed allo stato di disoccupazione della persona arrestata”
 
6.     il ritrovamento di strumenti idonei al taglio.
A parere di Cass., sez. pen. III, 2 febbraio 2021, n. 9177, “il ritrovamento di strumenti idonei al taglio è circostanza di elevato significato” ed è prova di una detenzione non per solo uso personale. Analoga osservazione vale pure per la presenza, nella dimora o nel luogo di operatività del pusher, di barattoli, bilancini di precisione e ritagli di plastica idonei al confezionamento in dosi della sostanza. Del pari, Cass., sez. pen. IV, 29 novembre 1994, n. 1181 afferma che “costituiscono indici della destinazione allo spaccio la qualità di tossicodipendente [dello spacciatore], le condizioni economiche dell’imputato, l’accertato compimento pregresso di fatti sintomaticamente rivelatori di propensione allo spaccio, le modalità della custodia e del frazionamento della sostanza ed il ritrovamento di strumenti idonei al taglio”. In effetti, raramente il singolo tossicomane acquista un “sasso” da tagliare personalmente
 
7.     le modalità di custodia dello stupefacente.
Cass., sez. pen. IV, 6 febbraio 1996, n. 1355 precisa che “le modalità di custodia […] rivelano la destinazione della droga, unitamente ad altre circostanze, considerando che è più comprensibile nascondere lo stupefacente posseduto”. A parere di chi redige, in Cass., sez. pen. IV, 6 febbraio 1996, n. 1355, sono fondamentali i lemmi “unitamente ad altre circostanze”, in tanto in quanto le “modalità di custodia” sono sintomatiche ancorché non decisive, poiché esse vanno valutate anche nel contesto di altri, ulteriori parametri
 
8.     il trasporto.
A norma di Cass., sez. pen. III, 20 febbraio 2013, n. 28919, “il trasporto è rilevante quando l’imputato assuma il ruolo di corriere; diversamente, qualora il soggetto detenga la droga per uso personale e, contestualmente, la porti con sé, il trasporto resta assorbito nella condotta di detenzione a fini individuali”

5. Il parametro delle “modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti” (lett. a) comma 1 bis Art. 73 TU 309/90)


Dopo trentatré anni dall’entrata in vigore del TU 309/90, la Giurisprudenza di legittimità ha elaborato decine e decine di interpretazioni afferenti alla ratio delle “modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti”. D’altra parte, era inevitabile il formarsi di una fiorente Giurisprudenza attorno ad un concetto nebuloso se limitato alla sola interpretazione letterale.
Basilare, tra le centinaia di Precedenti selezionabili, è forse Cass., sez. pen. I, 3 agosto 1993, n. 7570, ovverosia: “in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, non costituendo più reato – a seguito delle abrogazioni disposte con DPR 171/1993 – la detenzione per uso personale, il giudice è obbligato ad accertare caso per caso la destinazione reale della sostanza detenuta. Al riguardo, allorché le risultanze processuali non offrano già sicuri elementi di prova dell’attività di spaccio dell’imputato, l’organo procedente dovrà fondare il suo giudizio su elementi che solo in parte sono determinabili in astratto e che, a titolo indicativo, possono così sintetizzarsi:
1.     eventuale stato di tossicodipendenza dell’imputato e suo grado [di uncinamento, ndr]
2.     contesto ambientale in cui l’imputato vive ed eventuali rapporti con soggetti implicati nel traffico di stupefacenti
3.     capacità patrimoniale dell’imputato in rapporto alla quantità e qualità di stupefacente detenuto ed ai prezzi di mercato
4.     quantità e qualità dello stupefacente detenuto in rapporto alle esigenze personali dell’imputato, alla sua età ed al ragionevole periodo di sopravvivenza
5.     quantità e qualità dello stupefacente in rapporto al processo di naturale scadimento degli effetti droganti ed alle difficoltà di conservazione per un tempo particolarmente lungo
Il giudice, inoltre, dovrà tenere conto di ogni altra circostanza che si riveli utile, in concreto, a dimostrare o ad escludere che l’imputato abbia, in tutto o in parte, destinato allo spaccio la sostanza stupefacente di cui è in possesso”.
Come si nota, di nuovo, Cass., sez. pen. I, 3 agosto 1993, n. 7570 invita il Magistrato del merito ad una contestualizzazione quasi ossessiva. Cass., sez. pen. I, 3 agosto 1993, n. 7570 è volutamente generica, in tanto in quanto molto o, forse, tutto dipende dalle “circostanze” del singolo “caso concreto”. Nulla è predeterminabile con criteri algebrici.

6. Altri parametri di distinzione tra uso personale e finalità di spaccio


Nella Prassi forense quotidiana, il Magistrato del merito deve faticare non poco al fine di analizzare correttamente e seriamente tutti i parametri ex lett. a) e b) comma 1 bis Art. 73 TU 309/90. Lo dimostra, del resto, l’ampiezza ermeneutica financo eccessiva di Cass., sez. pen. I, 3 agosto 1993, n. 7570 (ut supra).
D’altra parte, tale ginepraio esegetico è riconosciuto anche da Cass., sez. pen. VI,  29 gennaio 2008, n. 17899, ossia “leggi e Giurisprudenza richiedono un accertamento complesso su tutte le circostanze del fatto (quantità, certo, ma anche frazionamento, tossicodipendenza, modalità di custodia, possesso di particolari strumenti …) Non ci si può nascondere, però, che […] i parametri delle circostanze dell’azione effettivamente conoscibili dal giudice sono quasi sempre pochi o nulli […], per cui la determinazione della pena si basa, di fatto, su pochi fra i dati di cui, ai sensi dell’Art. 133 CP, il giudice dovrebbe tener conto”. Entro tale desolante panorama, si consideri pure che il tipico spacciatore di quartiere è, di solito, straniero, disagiato, recidivo e completamente refrattario alla riabilitazione carceraria teoricamente esposta nel comma 3 Art. 27 Cost. .
Pertanto, uno dei pochi parametri certi è quello della QMD tabellarmente prestabilita. Oltretutto, in ogni caso, un conto è il “peso lordo” della sostanza, mentre un altro conto è la “quantità di principio attivo”, che richiede analisi tossicologiche lunghe e dispendiose.
Altro non resta, dunque, che affidarsi ai principi ex Art. 133 CP. A tal proposito, in effetti, Cass., SS.UU., 28 maggio 1997, n. 4 torna, stancamente eppur necessariamente, a ripetere che “in materia di stupefacenti, la valutazione in ordine alla destinazione della droga, ogniqualvolta la condotta non appaia indicativa dell’immediatezza del consumo, dev’essere effettuata dal giudice di merito tenendo conto di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto [ex Art. 133 CP], secondo parametri di apprezzamento sindacabili, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione”. A fronte di tali incertezze croniche, Cass., sez. pen. IV, 11 gennaio 2018, n. 7191 ribadisce che “il dato quantitativo è quello determinante; anche perché è, di fatto, l’unico parametro disponibile in molte situazioni”. La ratio della QMD è prioritaria ed essenziale anche in Cass., sez. pen. VI, 17 gennaio 2013, n. 9723, giacché “il considerevole numero di dosi ben può essere ritenuto un indice della destinazione della droga ad un uso non esclusivamente personale”. Analogamente, Cass., sez. pen. III, 2 ottobre 2012, n. 43496 ripete anch’essa che “il considerevole numero di dosi ricavabili ben può essere ritenuto un indice della destinazione della droga ad un uso non esclusivamente personale”. A correggere l’eventuale ipertrofia precettiva della ratio ponderale, tuttavia, è giunta Cass., sez. pen. IV, 18 gennaio 1994, n. 2534 in tema di “provvista”, nel senso che “una volta accertato l’esclusivo uso personale dello stupefacente posseduto dall’imputato, [per la scorta] non esiste alcun limite quantitativo, oltre il quale la detenzione dovrebbe ritenersi illecita e, quindi, penalmente perseguibile. Del pari, Cass., sez. pen. IV, 16 aprile 2008, n. 31103 nega la valenza assoluta ed assolutizzante del criterio ponderale, perché rimane sempre e comunque necessaria una “valutazione complessiva”, non limitata al solo superamento della QMD. P.e., l’ingente quantità potrebbe essere ricondotta ad una “provvista per uso personale” nel lungo periodo (Cass., sez. pen. VI, 6 marzo 2013, n. 11025)

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Dott. Andrea Baiguera Altieri

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