Non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito.
Il caso.
Il Tribunale pronunciava decreto d’ingiunzione a saldo negativo di un rapporto di conto corrente e di tre rapporti di finanziamento a rimborso rateale. Deducevano gli opponenti che la banca non aveva mai ottemperato all’obbligo di rendiconto, né aveva tenuto conto dei pagamenti in acconto da essi eseguiti a mezzo di assegni circolari e di cambiali e che non era possibile che il credito azionato fosse lievitato fino all’importo ingiunto. Il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo opposto, ma la Corte di Appello riformava la sentenza gravata e condannava i correntisti, i quali ricorrevano in Cassazione.
La decisione.
Il conto corrente di corrispondenza è caratterizzato dall’esplicazione di un servizio di cassa, in relazione alle operazioni di pagamento o di riscossione di somme da effettuarsi, a qualsiasi titolo, per conto del cliente e tale prestazione, fornita dalla banca, costituisce oggetto di un mandato (Cass. 5 dicembre 2011, n. 25943; Cass. 15 dicembre 1970, n. 2685; Cass. 10 febbraio 1982, n. 815). Propriamente, infatti, il contratto di conto corrente bancario, o di corrispondenza, ha natura di contratto innominato misto, in cui concorrono gli elementi del mandato (che hanno rilievo preminente nella determinazione della sua struttura e disciplina, come si ricava dal richiamo alle norme sul mandato contenuto nell’art. 1856 c.c. per tutte le operazioni regolate in conto corrente) ed elementi di altri negozi (così Cass. 21 dicembre 1971 n. 3701).
Secondo il Supremo Collegio, tanto non basta, tuttavia, a far credere che il rendiconto della banca per l’attività prestata in esecuzione del contratto trovi la sua disciplina nella regola posta dall’art. 1712 c.c. (approvazione del mandato in assenza di risposta, anche in caso di discostamento dalle istruzioni). Vero è invece che, in tema di conto corrente bancario, ha fondamento applicativo l’art. 1832 c.c., cui fa rinvio l’art. 1857 c.c. (approvazione che non eslcude la contestazione per errori di calcolo).
La Corte, in passato, aveva ritenuto che proprio alla luce di tale disposizione sia corretto credere che l’invio periodico degli estratti conto esaurisca, in relazione al periodo considerato, l’obbligo della banca di rendere il conto al cliente: con la conseguenza che ove questi abbia approvato, anche tacitamente, l’estratto conto ricevuto, non vi è più titolo per richiedere, in un secondo momento, altre forme di rendiconto relative al medesimo periodo (Cass. 22 maggio 1997 n. 4598). Appare dunque evidente che la banca è inadempiente all’obbligo di rendicontare il cliente sull’andamento del rapporto, ove non consti che abbia trasmesso allo stesso gli estratti conto ad esso relativi.
Nè la banca può sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito (Cass. 25 novembre 2010, n. 23974; in senso conforme: Cass. 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. 10 maggio 2007, n. 10692).
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