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Contributo al corso residenziale indetto dal consorzio per la alta formazione e lo sviluppo della ricerca scientifica in diritto amministrativo sul tema: “testo unico sull’ edilizia e la legge sul condono)”
Osimo 12-13 marzo 2004
La c.d. “SANATORIA GIURISPRUDENZIALE”
avv. Luigi Romanucci
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L’ordinamento giuridico italiano conosce e disciplina due tipi di sanatoria di abusi edilizi:
-la sanatoria c.d. ordinaria o di regime, già regolata dall’art.13 della legge 47/85, ora regolata, nel TU sull’edilizia, dagli artt. 36 (sanatoria di interventi, soggetti a permesso di costruire, realizzati senza permesso o in totale difformità da esso o con variazioni essenziali) e 37, commi 4, 5 e 6 (sanatoria di interventi soggetti a semplice d.i.a.);
-ed il condono edilizio (sanatoria straordinaria, regolata da leggi speciali).
Grosso modo, la diversità sostanziale tra le due figure di sanatoria sta nel fatto che, con la sanatoria ordinaria, sono sanabili gli interventi conformi agli strumenti urbanistici ed edilizi del tempo in cui gli interventi furono eseguiti e del tempo in cui è stata presentata la domanda di sanatoria (c.d. “doppia conformità”); mentre, col condono edilizio, sono sanabili, entro certi limiti temporali, qualitativi e quantitativi, tutti gli abusi edilizi, conformi o non conformi alla strumentazione urbanistica ed edilizia di tutti i tempi.
Entrambe le figure di sanatoria comportano, a determinate condizioni, l’estinzione delle sanzioni amministrative e delle sanzioni penali.
[In realtà, l’ordinamento conosce e disciplina anche altre figure di sanatoria, esclusivamente amministrativa, per così dire “minore” in quanto riferita ad opere edilizie di cui la norma primaria dispone la rimozione, ma che, per ragioni di economia, la norma secondaria ne consente la conservazione, subordinandola al pagamento di una somma di danaro corrispondente al valore delle opere abusivamente realizzate: art.34 (interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire) e art.38 (interventi eseguiti in base a permesso annullato): qui, addirittura, la norma attribuisce al versamento della somma i medesimi effetti del permesso di costruire in sanatoria di cui all’art.36; non si capisce perché gli stessi effetti non siano dichiarati per la fattispecie regolata nell’art.34].
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Ma il mondo giuridico conosce una terza figura di sanatoria edilizia: la c.d. “sanatoria giurisprudenziale”, così chiamata perché introdotta, nel sistema, dalla giurisprudenza amministrativa. Essa afferma la legittimità del rilascio del titolo abilitativo fondato sulla conformità dell’intervento edilizio alla normativa urbanistica vigente al momento della domanda di rilascio del titolo, indipendentemente dalla normativa vigente al tempo dell’esecuzione dell’opera.
La sua comparsa risale ad epoca antecedente all’art.13 della legge 47/85 (CdS, V, 27 agosto 1966, n.968, in Cons. Stato 1966, I, 1455; id., 5 novembre 1968, n. 1405, in Riv. Giur. Edil. 1968, 1458; id., 14 marzo 1972, n.168, ivi 1972, I, 512 e Giur. It. 1972, III, I, 484, con nota di A.M. Sandulli; Ad. plen. 17 maggio 1974, n. 5, in Foro It. 1975, III, 106; CdS, V, 8 luglio 1977, n.755, in Cons. Stato 1977, I, 1197; id., 26 luglio 1984, n.578, in Giust. civ. Rep. 1984, v. Edilizia 340; Tar Lazio, 13 marzo 1984, n.1110, in TAR 1984, I, 2470; CdS, V, 25 marzo 1986, n. 193, in Cons. Stato 1986, I, 312).
La ratio socio-economica di tale indirizzo si fondava sulla considerazione della inutilità (o irragionevolezza) di una sanzione demolitoria riguardo ad un’opera che potrebbe essere realizzata nuovamente, identica, in quanto conforme alle previsioni urbanistiche attuali. La ratio giuridica veniva ricondotta ai principi generali (art.97 Cost.), quali quelli della logicità e dell’economia dell’azione amministrativa.
La tesi non era, ovviamente, condivisa da tutti i giudici, né da tutti gli studiosi, ma trovava, soprattutto nella Quinta Sez. del Consiglio di Stato, i suoi più strenui difensori e si stava affermando come tesi prevalente nell’ambito della giustizia amministrativa.
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L’art.13 della legge 47/85, introducendo nell’ordinamento una norma espressa in tema di sanabilità di abusi edilizi, condizionata alla verifica della “doppia conformità”, ha, naturalmente, riacceso il dibattito sulla ammissibilità della sopravvivenza della “sanatoria giurisprudenziale”.
Gli oppositori di questa sostengono che, nell’intenzione del legislatore, l’art.13, da un lato, ha raccolto l’esigenza d’ordine economico della conservazione di ciò che è conforme alle previsioni urbanistiche, quindi sostanzialmente legittimo, da altro lato, ponendo paletti fermi e precisi (la “doppia conformità”) alla sanabilità degli abusi formali, vuol essere una “norma di chiusura” nei confronti dell’abusivismo edilizio. Secondo questa tesi, dunque, dopo l’art.13 della legge 47, non vi sarebbe più spazio per la “sanatoria giurisprudenziale”.
Il punto di forza della tesi degli oppositori è il richiamo alla legalità e tipicità degli atti amministrativi.
Ma la tesi degli oppositori non ha convinto, sinora, i sostenitori della “sanatoria giurisprudenziale”. Soprattutto non è stato convito il Consiglio di Stato, che con ripetute decisioni, ha ribadito la validità sostanziale e la legittimità formale della “sanatoria giurisprudenziale” anche dopo ed in presenza dell’art.13.
Un quadro riassuntivo della più recente giurisprudenza amministrativa è utile per una conoscenza dello stato dell’arte del dibattito sul tema.
Cons. Stato, sez. V, 13 febbr. 1995, n.238 (Pres. Catallozzi, Est. Carboni, in Foro Amm., 1995, pag. 349, con nota critica di G. Terracciano): “La concessione in sanatoria è istituto dedotto dai principi generali attinenti al buon andamento ed all’economia dell’azione amministrativa, e consiste nell’obbligo di rilasciare la concessione quando sia regolarmente richiesta e conforme alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, anche se l’opera alla quale si riferisce sia già stata realizzata abusivamente; pertanto, tale generale istituto resta fermo anche successivamente alla previsione espressa dalla concessione in sanatoria di cui all’art.13, l. 28 febbraio 1985, n.47”.
Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2003, n. 6498 (Pres. Quaranta, Est. Carboni): “Il Collegio non può che confermare i propri precedenti, citati dall’appellante e dalla stessa sentenza, che ha dichiarato di non condividerli, secondo cui gli articoli 13 e 15 della legge 28 febbraio 1985, n.47, i quali richiedono, per la sanatoria rispettivamente delle opere eseguite senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l’opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’opera quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, sono disposizioni contro l’inerzia dell’amministrazione, e significano che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda”; ed ancora: “Tale regola non preclude il diritto ad ottenere la concessione in sanatoria di opere che, realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità provvede sulla domanda di sanatoria; non essendovi nessuna ragione di ritenere che l’ordinamento imponga di demolire un’opera prima di ottenere la concessione per realizzarla nuovamente”.
(Come risulta evidente dalla prima delle due proposizioni, di cui si compone tutta la motivazione della sentenza 6498/03, il giudice ha ribaltato l’interpretazione dell’art.13, inteso come “norma di chiusura” nei riguardi dell’abusivismo edilizio, per evidenziarne, invece, un ruolo di freno all’inerzia dell’amministrazione, poiché starebbe a significare che, “se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda”. In altre parole, l’art.13, anzichè condizionare la “sanatoria” alla sussistenza della doppia conformità, confermerebbe la tesi originaria, secondo la quale l’istituto della sanatoria edilizia di opere, abusivamente realizzate ma conformi alla disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della richiesta del titolo abilitativo, sarebbe un istituto di portata generale, che l’art.13 non avrebbe negato ma, addirittura, rafforzato).
Ovviamente, come appare dalla prima proposizione della sentenza qui sopra richiamata e dalla nota di G. Terracciano pubblicata dal Foro Amm. in calce alla sentenza n.238/95, la “sanatoria giurisprudenziale” non incontra entusiastiche condivisioni presso tutti i giuristi e neppure presso tutti i giudici amministrativi. Tra questi ultimi, si distingue Tar Veneto, che, già nel 1996, con sentenza n. 2200 del 23.12.1996 (decisione riformata dal CdS con la cit. sent. n.6498 del 21 ott. 2003), aveva scritto: “In tema di concessione in sanatoria, non si può aderire all’indirizzo della c.d. sanatoria giurisprudenziale, sia perché l’art. 13 l. n. 47 del 1985, intitolato «accertamento di conformità», prevede testualmente che la conformità deve sussistere «sia al momento della realizzazione dell’opera che al momento della domanda», sia perché diversamente si finirebbe per attribuire al legislatore una finalità premiale verso gli autori di abusi edilizi in senso sostanziale, atteso che essi verrebbero trattati allo stesso modo di coloro che abbiano realizzato, senza richiedere il previo rilascio del titolo integrativo, modifiche non in contrasto con le norme edilizie e comunque si legittimerebbe, di fatto, l’istituto della concessione a posteriori che rappresenta una contradictio in adiecto; nondimeno, pur non essendo l’abuso sanabile, non può essere ordinata ex art. 92 l.reg. n. 61/85 la demolizione dell’opera che risulti conforme agli strumenti medio tempore approvati”. (E’, però, importante rilevare che lo stesso g.a. veneto si è posto il problema del “paradosso” della demolizione dell’opera “che risulti conforme agli strumenti medio tempore approvati” e l’ha risolto, con involontaria contradictio in adiecto, negando l’ammissibilità della sanzione demolitoria: nel che, in buona sostanza, consiste la “sanatoria giurisprudenziale”).
Ancora, prima del deposito della sentenza 6498/03 del CdS di riforma della sua decisione del 1996, lo stesso Tar Veneto, con sentenza in forma semplificata del 20 febbr. 2003, n.1498, ha escluso l’applicabilità della “sanatoria giurisprudenziale”, con la seguente motivazione: “Considerato che è fondato ed assorbente il settimo motivo di ricorso. Invero l’Amministrazione è vincolata a negare la concessione in sanatoria, ex art.13 L.47/85 ed art. 97 l.r. 61/85, se manca la conformità agli strumenti urbanistici sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda, né può configurarsi alcuna ipotesi diversa di sanatoria (c.d. “giurisprudenziale”) che ricorrerebbe ogni qualvolta vi sia conformità alla sola normativa vigente al momento del rilascio della concessione, ma è in contrasto insuperabile con le disposizioni di legge sopra citate…”.
A fianco del Consiglio di Stato è schierato, invece, Tar Lombardia- Brescia (sent. 18 settembre 2002, n.1178 – Pres. Mariuzzo, Est. Tricarico), che, decidendo in tema di applicazione di una legge regionale sul recupero dei sottotetti lombardi, sopravvenuta rispetto al tempo dell’esecuzione di un intervento edilizio, ha espressamente dichiarato di fare “applicazione di quell’indirizzo giurisprudenziale che ritiene che la sanabilità di un’opera abusiva non possa che essere riguardata sul fondamento della normativa vigente, non potendo essere accettato il paradosso rappresentato dall’obbligo di dar corso alla demolizione di essa, salvo riconoscere successivamente la nuova realizzabilità della stessa opera edilizia”.
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Alcune considerazioni conclusive.
1. E’ indubbio il principio, richiamato nella nota del Terracciano cit., della legalità e della tipicità degli atti amministrativi. La tesi della “sanatoria giurisprudenziale” sembra priva di tali caratteri.
Il problema, a parere di chi scrive, sta nella lettura dell’art.13: se si tratta, cioè, di “norma di chiusura” nei confronti dell’abusivismo edilizio (come ritengono i negatori della “sanatoria giurisprudenziale”), o se, invece, si tratta (come ritiene il CdS) di disposizione volta a riaffermare un istituto di portata generale, che antepone, alla legalità formale, la sostanziale conformità dell’intervento edilizio alla normativa vigente al momento della richiesta del titolo sanante.
Comunque sia, la “sanatoria giurisprudenziale”, più che fondata su una interpretazione analogica o estensiva della legge, sembra doversi considerare una “creazione” giurisprudenziale, volta a colmare un vuoto dell’ordinamento. (Ma non sarebbe la prima volta che la giurisprudenza compie operazioni di lifting dell’ordinamento giuridico: basti pensare alla figura della “accessione invertita”, che ha rovesciato un principio, antico quanto il diritto romano, della “superficies solo cedit”).
Del resto, come si è visto, i giudici amministrativi hanno richiamato principi generali, quali quelli del buon andamento e dell’economia dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), importanti quanto quelli della tipicità e della mera legalità degli atti amministrativi.
2. Spezzata la lancia in favore della “sanatoria giurisprudenziale”, resta il problema del “sanzionamento” che ad essa deve, in ogni caso, accompagnarsi.
2.a) Sembra scontato che la “sanatoria giurisprudenziale” non potrebbe avere lo stesso effetto depenalizzante che la legge attribuisce alla sanatoria ordinaria (ed al condono edilizio); onde dovrebbe ritenersi, in ogni caso, perseguibile penalmente l’abuso edilizio, anche dopo il rilascio della “sanatoria giurisprudenziale”. Ciò sta a significare che la “sanatoria giurisprudenziale” è altra cosa dalla sanatoria ordinaria, poiché, mentre questa consente, a chi ha le disponibilità, di avventurarsi abbastanza tranquillamente su una strada di abuso “formale”, al termine della quale, salvo imprevisti, pagando ciò che c’è da pagare, si potrà ottenere il titolo abilitativo ed estintivo di ogni illecito amministrativo e penale, la “sanatoria giurisprudenziale” espone, in ogni caso, l’abusivista alla sanzione penale, che rappresenta una ragione di deterrenza (salva la prescrizione) altrettanto efficace quanto quella della sanzione amministrativa.
Sorge, però, il problema del rapporto tra sentenza di condanna penale per la contravvenzione edilizia e l’ordine di demolizione che il giudice penale dovrebbe impartire (comma nono dell’art.21 del TU) e che, secondo una giurisprudenza consolidata, lui stesso dovrebbe eseguire, in presenza di un provvedimento amministrativo di “sanatoria giurisprudenziale”. Quid iuris? Forse la via d’uscita l’offre Cass., sez. III, 16-04-2002, che scrive: “Gli ordini di demolizione dell’opera abusivamente edificata e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, emessi con sentenza penale di condanna passata in giudicato, possono essere sospesi o revocati solo se risultino assolutamente incompatibili con atti amministrativi della autorità competente, e che abbiano conferito all’immobile altra destinazione o abbiano provveduto alla sua sanatoria”.
2.b)Per quanto riguarda la “sanzione amministrativa”, chi scrive ritiene che, in mancanza di diversa previsione di legge, la “sanatoria giurisprudenziale” debba essere assoggettata al versamento di una somma non inferiore a quelle previste negli artt. 36 e 37 del TU.
3. E’ chiaro che i problemi pratici, quale quelli qui sopra accennati, potranno trovare soluzione soddisfacente soltanto se la “sanatoria giurisdizionale” verrà riconosciuta, anche al di fuori della giurisdizione amministrativa, come “istituto generale”.
Meglio se il legislatore statale o regionale, quest’ultimo, ovviamente, nei limiti della propria competenza concorrente, decidesse di dire una parola chiara al riguardo. Anche per evitare che le amministrazioni locali si trincerino dietro una applicazione meramente formalistica della legge e che, da questa timida posizione, si produca un contenzioso che potrebbe ridondare a danno dei bilanci comunali.
li 10 marzo 2004 avv. Luigi Romanucci
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