La cancellazione dal registro delle imprese della società non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato

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Il fatto

La Corte di Appello di Bologna confermava integralmente una sentenza con la quale il Tribunale di Modena, all’esito del giudizio abbreviato, riconosceva gli imputati responsabili del reato di lesioni colpose, con violazione della disciplina antinfortunistica, entrambi in veste di legali rappresentanti di una s.r.l., a sua volta era reputata responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies, comma 3, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., e condannava, da un lato, gli imputati alla pena di giustizia, condizionalmente sospesa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, con assegnazione alla stessa di provvisionale, dall’altro, la società alla sanzione pecuniaria stimata di giustizia.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure, tramite il difensore, sia gli imputati, che la società, proponevano ricorso per Cassazione.

In particolare, per quanto concerne gli imputati, venivano dedotti i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 546 e 598 cod. pen. per non avere la sentenza esposto, ad avviso dei ricorrenti, i motivi di diritto su cui la decisione era fondata e le ragioni per cui non erano state ritenute attendibili le circostanze addotte dalla Difesa in ordine alla insussistenza della violazione dell’art. 111 del d.lgs. n. 81 del 2008; 2) mancanza o mera apparenza o manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza in riferimento alla risposta al tema, posto dalla Difesa nell’ultima parte del primo motivo di appello, circa la imprevedibilità della condotta dell’infortunato dal momento che, ad avviso dei ricorrenti, il dubbio sulla esatta dinamica dei fatti avrebbe dovuto condurre i Giudici di merito all’assoluzione; 3) difetto di motivazione per avere escluso il riconoscimento della particolare tenuità del fatto e delle attenuanti generiche sulla base di considerazioni stimate dalla difesa illogiche, contraddittorie ed avulse dagli effettivi risultati probatori

Ciò posto, per quanto invece riguarda la società, erano prospettate le susseguenti doglianze: I) omessa declaratoria di estinzione dell’illecito – sollecitata in appello – in ragione della documentata cancellazione della società dal registro delle imprese, cancellazione che, come affermato da dottrina e giurisprudenza (si richiamava al riguardo Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019) sarebbe da assimilare, quanto ad effetti, alla morte della persona fisica, rilevandosi al contempo che l’errore sarebbe peraltro duplice spostando la responsabilità debitoria per la sanzione applicata all’ente in capo alle persone fisiche, come se si fosse trattato di una qualsiasi esposizione debitoria; II) violazione degli artt. 546 e 598 cod. pen. per non avere la sentenza esposto, ad avviso della società ricorrente, i motivi di diritto su cui la stessa era fondata e le ragioni per cui non sono state ritenute attendibili le circostanze addotte dalla Difesa in ordine alla insussistenza della violazione dell’art. 111 del d.lgs. n. 81 del 2008.

La posizione assunta dalla Procura generale

Il Procuratore Generale della Suprema Corte, nella sua requisitoria scritta, chiedeva che venisse dichiarato inammissibile il ricorso degli imputati mentre domandava l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alla conferma della condanna della società per estinzione dell’illecito a seguito di estinzione della società, richiamando il precedente di legittimità di Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019. 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Gli Ermellini ritenevano prima di tutto necessario affrontare partitamente il ricorso nell’interesse dell’ente e quello nell’interesse degli imputati, partendo da quest’ultimo.

Orbene, i giudici di piazza Cavour evidenziavano a tal proposito che, a loro avviso, l’intero ricorso degli imputati, come evidenziato dal P.G. nella sua requisitoria, al di là del (solo) apparente richiamo alla violazione di legge, era costruito in fatto, in maniera avversativa e mirava ad una – inammissibile – ricostruzione alternativa dei fatti e ad una rilettura delle risultanze probatorie auspicabilmente diverse da quella fatta propria dai Giudici di merito nella doppia conforme mentre le due sentenze, secondo consolidato insegnamento di legittimità, andavano lette e valutate congiuntamente atteso che il «giudice di legittimità, ai fini della valutazione della congruità della motivazione del provvedimento impugnato, deve fare riferimento alle sentenze di primo e secondo grado, le quali si integrano a vicenda confluendo in un risultato organico ed inscindibile» (Sez. 5, n. 14022 del 12/01/2016; in conformità, tra le numerose altre, Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003; Sez. 6, n. 11878 del 20/01/2003; Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997; Sez. 3, n. 4700 del 14/02/1994).

Ciò posto, anche le doglianze in punto di mancato riconoscimento di una causa di non punibilità e di trattamento sanzionatorio erano reputate, oltre che generiche, non atte a confrontarsi puntualmente con le sentenze di merito.

Chiarito ciò, passando al ricorso della società, si premetteva che, a differenza delle persone fisiche, la richiesta di rinvio a giudizio della persona giuridica, in quanto atto di contestazione dell’illecito, interrompe il corso della prescrizione e lo sospende fino alla pronunzia della sentenza che definisce il giudizio, come previsto espressamente dall’art. 22, comma 4, del d.gs. n. 231 del 2001 (Sez. 4, n. 5121 del 18/11/2021; Sez. 6, n. 12278 del 15/01/2020; Sez. 3, n. 1432 del 01/10/2019; Sez. 5, n. 50102 del 22/09/2015; Sez. 2, n. 10822 del 15/12/2011).

Detto questo, i giudici di legittimità ordinaria osservavano che la soluzione offerta dalla sentenza impugnata alla questione della cancellazione, pacificamente avvenuta, della società de qua dal registro delle imprese, nel senso della irrilevanza della stessa, seppure succintamente argomentata, era, per la Corte, certamente corretta in diritto, sussistendo un precedente, di segno contrario, richiamato dalla s.r.l. ricorrente e dal P.G., di Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, secondo cui, in «tema di responsabilità da reato degli enti, l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente (nella specie cancellazione della società a seguito di chiusura della procedura fallimentare) determina l’estinzione dell’illecito previsto dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, ricorrendo un caso assimilabile alla morte dell’imputato» (principio richiamato nella parte motiva della recente sentenza di Sez. 5, n. 25492 del 27/04/2021).

I giudici di piazza Cavour, inoltre, oltre a citare siffatto principio di diritto, richiamavano anche parte della motivazione di questa pronuncia, e segnatamente il seguente iter argomentativo: «Il collegio ritiene che la cancellazione dell’Ente, nel caso in esame, impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata. Si rileva infatti, in via preliminare che l’art. 35 del D.lgs. n. 231 del 2001 estende all’ente le disposizioni relative all’imputato. Pertanto, nel caso in cui, come in quello di specie, si verifichi l’estinzione fisiologica e non fraudolenta dell’ente, correlata alla chiusura della procedura fallimentare, si vette in un caso assimilabile a quello della morte dell’imputato, dato che si è verificato un evento che inibisce la progressione del processo ad iniziativa pubblica previsto per l’accertamento della responsabilità da reato di ente ormai estinto, ovvero di una persona giuridica non più esistente.

Tale scelta interpretativa risulta confermata dal fatto che il testo legislativo regolamenta sole le vicende inerenti la trasformazione dell’ente, ovvero la fusione o la scissione (art. 70 d.lgs. n. 231 del 2001), ma non la sua estinzione, che dunque non può che essere trattata applicando le regole del processo penale (art. 35 d.lgs. n. 231 del 2001). Si ritiene dunque non importabile nel processo a carico dell’ente per l’accertamento della responsabilità da reato il principio espresso dalla giurisprudenza civile secondo cui la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese determina un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci che, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui sono soggetti “pendente societate”, ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione ovvero illimitatamente (Cass. civ. Sez. 5, Ordinanza n. 13386 del 17/05/2019, Rv. 653738; Cass. civ. Sez. 3, Ordinanza n. 20840 del 21/08/2018, Rv. 650423). Il trasferimento dei rapporti obbligatori in capo ai soci riconosciuto dalla giurisprudenza civile è infatti correlato alla necessità di tutelare l’interesse dei soggetti privati che vantano ancora pretese nei confronti dell’Ente; la natura pubblica del processo a carico della società previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001 è invece incompatibile con l’estinzione non fraudolenta dell’ente, ovvero con la cancellazione dal registro dalle imprese che consegue fisiologicamente alla chiusura della procedura fallimentare: tale evento produce infatti l’estinzione della persona giuridica “accusata” e, dunque, impedisce la prosecuzione del processo, salvo che tale cancellazione piuttosto che fisiologica sia invece fraudolenta, caso che imporrà la valutazione della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione “patologica”».

Ebbene, per la Suprema Corte, occorreva dissentire rispetto alla riferita impostazione ed alla conseguenza che se sono state tratte, per le seguenti considerazioni.

Si evidenziava prima di tutto che, pur volendo prescindere dalle implicazioni pratiche, agevolmente intuibili, discendenti dalla estrema facilità di cancellazioni “di comodo” dal registro delle imprese, con conseguente irresponsabilità per eventuali illeciti posti in essere nell’interesse o a vantaggio degli enti, e anche dalle difficoltà nell’accertamento «della eventuale responsabilità degli autori della cancellazione “patologica”» (così alla p. 5 della richiamata motivazione di Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019), per la Corte di legittimità, a non persuadere è la giustificazione su cui poggia il riferito ragionamento, cioè il parallelo estinzione dell’ente/morte della persona fisica dato che è agevole osservare che la sezione II del capo II della legge n. 231 del 2001 (artt. 28 e ss.) disciplina in maniera articolata le vicende trasformative dell’ente, prevedendo espressamente che in caso di trasformazione, fusione e scissione resta ferma la responsabilità per gli illeciti commessi anteriormente alla data della trasformazione (art. 28), sicchè l’ente risultante dalla fusione risponde dei reati dei quali erano responsabili gli enti partecipanti alla fusione (art. 29), che in caso di scissione resta ferma la responsabilità dell’ente scisso per i reati commessi (art.30, comma 1), che gli enti beneficiari della scissione, anche solo parziale, sono obbligati in solido al pagamento delle sanzioni dovute dall’ente scisso (art. 30, comma 2) e che in caso di cessione dell’azienda il cessionario rimane solidalmente obbligato (art. 33), tenuto conto altresì del fatto che, nel caso di trasformazione, di fusione o di scissione dell’ente originariamente responsabile, il procedimento prosegue nei confronti degli enti risultanti dalle vicende modificative o beneficiari della scissione, che partecipano al processo nello stato in cui si trova (art. 42).

Orbene, a fronte di ciò, per la Cassazione, il silenzio invece serbato dal legislatore circa le vicende estintive dell’ente non può indurre ad accontentarsi di un accostamento che appare essere solo suggestivo con l’estinzione della persona fisica, e ciò per una pluralità di motivi: a) in primo luogo, perché, in linea generale, le cause estintive dei reati sono notoriamente un numerus clausus, non estensibile; b) poi, perché quando il legislatore della responsabilità delle persone giuridiche ha inteso far riferimento a cause estintive degli illeciti, lo ha fatto espressamente, come all’art. 8, comma 2, della legge n. 231 del 2001, allorchè ha disciplinato l’amnistia, peraltro modellando la rinunziabilità alla stessa sulla falsariga della disciplina vigente per le persone fisiche, ed all’art. 67 della disciplina in esame, ove ha previsto la adozione di sentenza di non doversi procedere in due soli casi: quando il reato dal quale dipende l’illecito amministrativo dell’ente è prescritto; e quando la sanzione è estinta per prescrizione; c) inoltre, perché, essendo pacifico il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 11170 del 25/09/2014) secondo cui, in «tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001», non si comprende la ratio di un diverso trattamento della cancellazione della società, da cui discenderebbe l’estinzione dell’illecito amministrativo contestato all’ente, rispetto al caso di dichiarazione di fallimento, allorchè è expressis verbis prevista la esclusione dell’effetto estintivo; d) ancora, perché il richiamo che il difforme orientamento interpretativo opera all’art. 35 del d.lgs. n. 231 del 2011 (Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, p. 4 della motivazione) trascura che il rinvio operato dal legislatore alle disposizioni processuali relative all’imputato non è indiscriminato ma è solo «in quanto compatibili».

Pertanto, alla stregua delle considerazioni svolte, la Corte giungeva alla conclusione secondo cui l’estinzione della persona giuridica, nelle società di capitali, comporta che la titolarità dell’impresa passi direttamente ai singoli soci, non avendo luogo una divisione in senso tecnico, come si ricava dagli artt. 2493 e 2495, comma 3, cod. civ., disciplinanti, rispettivamente, la distribuzione ai soci dell’attivo e l’azione esperibile da parte dei creditori nei confronti dei soci, né può trascurarsi che lo scioglimento della società, la cui nascita integra un contratto di durata, opera ex nunc e quindi, se viene meno l’obbligo di esercitare l’impresa in comune, non vengono però meno i rapporti sorti nell’esercizio dell’impresa anteriormente allo scioglimento, tenuto conto altresì del fatto che la liquidazione della società avviene mediante conversione in denaro del patrimonio sociale.

In conseguenza, per la Suprema Corte, il punto che viene – sì – introdotto ma non adeguatamente sviluppato nelle sue implicazioni nell’interpretazione dalla quale gli Ermellini dissentivano nel caso di specie (Sez. 2, n. 41082 del 10/09/2019, pp. 4-5 della motivazione) e che invece ciò che risulta di decisiva importanza è che la cancellazione della società può certamente porre un problema di soddisfacimento del relativo credito ma non pone un problema di accertamento della responsabilità dell’ente per fatti anteriori alla sua cancellazione, responsabilità che nessuna norma autorizza a ritenere destinata a scomparire per effetto della cancellazione dell’ente stesso.

Occorreva, dunque, ad avviso del Collegio, affermare, in consapevole contrasto con il precedente di legittimità richiamato dalla s.r.l. ricorrente, il seguente principio di diritto: «la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato».

Ciò posto, così risolta la questione posta dalla società ricorrente con il primo dei due motivi di ricorso, quanto all’ulteriore doglianza era agevole osservare, per la Corte, analogamente a quanto rilevato rispetto all’impugnazione degli imputati – persone fisiche, che si trattava di ricorso costruito in fatto mediante affermazioni (stimate) avversative della ricostruzione effettuata dai Giudici di merito e che tendevano ad introdurre una – inammissibile – ricostruzione alternativa degli accadimenti ed una rilettura delle risultanze probatorie diversa rispetto a quella fatta propria nella doppia conforme, donde la manifesta inammissibilità del secondo motivo di ricorso.

Conclusioni

Con la decisione in esame, la Cassazione, in aperto contrasto con un precedente orientamento nomofilattico, afferma che la cancellazione dal registro delle imprese della società alla quale si contesti (nel processo penale che si celebra anche nei confronti di persone fisiche imputate di lesioni colpose con violazione della disciplina antinfortunistica) la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in relazione al reato di cui all’art. 590 cod. pen., che si assume commesso nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, non determina l’estinzione dell’illecito alla stessa addebitato.

Orbene, al di là della condivisibilità (o meno) delle considerazioni che hanno indotto gli Ermellini a formulare un indirizzo interpretativo diverso da quello espresso dalla stessa Cassazione in precedenza, sarebbe comunque opportuno che su tale questione intervenissero le Sezioni unite.

A fronte dell’esistenza di un orientamento nomofilattico, formatosi seppur nell’ambito di un singolo precedente, è infatti auspicabile, per una evidente necessità di certezza del diritto, che, ove sussistano le condizioni di legge per poterlo fare, si pronuncino le Sezioni unite e la speranza, per chi scrive, è che ciò avvenga il prima possibile.

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