Con la sentenza n. 24747 del 5 dicembre 2016 la Cassazione ha stabilito che la caparra può essere costituita attraverso la consegna di assegni bancari, salvo il buon esito degli stessi.
Nella situazione di fatto, due soggetti concludevano un contratto preliminare di compravendita, in base a cui veniva consegnato un assegno bancario – poi risultato scoperto – a titolo di caparra confirmatoria.
Il promettente venditore conveniva in giudizio la controparte per ottenere la condanna al pagamento della doppia caparra, o, subordinatamente, la risoluzione del contratto preliminare per grave inadempimento.
Il Tribunale accoglieva la domanda principale dell’attore, condannando al pagamento della doppia caparra. La Corte d’Appello, invece, rigettava la domanda principale e accoglieva la mera risoluzione ex art. 1453 cod.civ. del contratto preliminare.
La Cassazione, invece, accogliendo le soluzioni del Giudice di primo grado, ha annullato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello.
Richiamando espressamente la massima di cui alla precedente pronuncia n. 17749 del 30 luglio 2009, la Suprema Corte ha infatti ribadito che l’assegno bancario costituisce valido mezzo di pagamento per la conclusione del contratto di caparra confirmatoria ex art. 1385 cod.civ., in quanto “ai fini della prova del pagamento, quale fatto estintivo dell’obbligazione, è sufficiente che il debitore dimostri l’avvenuta emissione e la consegna del titolo“,
L’affermazione risulta particolarmente decisiva poichè la caparra confirmatoria ha natura di contratto reale, in quanto tale perfezionato solo in seguito alla dazione di una somma di denaro o di altra cosa fungibile. In questo senso, quindi, la consegna dell’assegno bancario, alla luce della natura cartolare dei titoli di credito, è considerata dalla Suprema Corte come sufficiente ad integrare la fattispecie. Secondo la Corte d’Appello, invece, in mancanza di provvista la caparra perderebbe “la funzione di rafforzamento del vincolo contrattuale” e il relativo contratto si dovrebbe considerare come mai concluso.
La sentenza non si sofferma sulla natura del pagamento con assegno, ma precisa solo che la “consegna del titolo deve considerarsi effettuata, salva diversa volonta’ delle parti, pro solvendo“, richiamando anche in questo caso Cass. n. 17749 del 30 luglio 2009. Vista la terminologia utilizzata, la Cassazione sembra quindi non porre in discussione la qualificazione dell’assegno bancario come prestazione diversa dall’adempimento ex art. 1197 cod.civ., così come già deciso con sentenza a SS.UU. del 4 giugno 2010, n. 13658.
In questo senso, pertanto, non è chiaro se la decisione possa interpretarsi nel senso che in generale la datio in solutum sia compatibile con l’istituto della caparra, e di conseguenza la stessa possa costituirsi anche con utilità diverse dal denaro e altre cose fungibili, o se invece – più prudentemente – l’equiparazione riguardi unicamente il denaro e i mezzi di pagamento come gli assegni. Sembra preferibile questa seconda impostazione, poichè è ormai opinione comune che l’assegno e il denaro siano mezzi di pagamento analoghi e concorrenti, ed anzi in base alla normativa c.d. “antiriciclaggio” di cui al d.lgs. 231/2007 i pagamenti in contanti al di sopra dei 3000 euro sono oggi vietati.
Deve invece escludersi che la cambiale possa considerarsi mezzo idoneo per costituire validamente una caparra, poichè ha natura di promessa di pagamento (Cass. 11 giugno 2014, n. 13243), ma non di mezzo di pagamento.
Resta da vedere, tuttavia, in che modo il prenditore possa tutelarsi in seguito al mancato pagamento dell’assegno. Al riguardo, la Cassazione specifica che, ove il pagamento dell’assegno non vada a buon fine, è ammessa a carico del creditore la prova del mancato incasso, “la quale, pur costituendo una prova negativa, non si risolve in una probatio diabolica, in quanto, avuto riguardo alla legge di circolazione del titolo, il possesso dello stesso da parte del creditore che lo ha ricevuto implica il mancato pagamento“. In altre parole, quindi, il creditore può dimostrare l’inadempimento della controparte producendo in giudizio l’assegno e, di conseguenza, la dimostrazione di non aver conseguito l’utilità economica di tale mezzo di pagamento. Naturalmente, ciò dovrà avvenire dopo aver posto l’assegno all’incasso, poichè, al contrario, il comportamento dovrà essere considerato contrario a buona fede (così Cass. 9 agosto 2011, n. 17127).
In definitiva, ai fini della conclusione del contratto di caparra confirmatoria la Cassazione considera idonea la consegna di un assegno bancario in luogo di una somma di denaro; ove tuttavia l’assegno risulti scoperto, il creditore potrà azionare il rimedio del recesso e richiedere la doppia caparra. Così decidendo la Suprema Corte ha implicitamente affermato che l’inadempimento cui si riferisce l’art 1385, 2° e 3°c., cod.civ., quindi, può essere riferito non solo al contratto collegato alla caparra (nel caso di specie, il preliminare di compravendita), ma anche alla caparra stessa. Quando però la caparra è pagata direttamente in contanti, tale inadempimento non è ipotizzabile, poichè il creditore consegue l’utilità economica del pagamento nell’esatto istante della conclusione del contratto; quando invece è costituita a mezzo di un assegno bancario, il cattivo esito del pagamento dello stesso esporrà il debitore alla sanzione prevista per l’inadempimento.
Ove non voglia esporsi a questo rischio, pertanto, il debitore potrà pagare la caparra sotto forma di un assegno circolare, il quale, pur avendo anch’esso natura di datio in solutum, garantisce tuttavia la provvista al creditore, essendo la banca obbligata in proprio (così Cass. SS.UU. 18 dicembre 2007, n. 26617).
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