Il tema della cartolarizzazione delle sofferenze era già stato toccato in numerose occasioni dalla Suprema Corte, nella maggior parte dei casi riguardo a crediti di enti pubblici e in particolare dell’INPS, ma anche, per quanto in misura molto minore, di cospicui istituti di credito.
Sono pochissime invece le occasioni in cui al centro dell’attenzione si sono poste le sofferenze di un istituto di credito cooperativo. Tale considerazione unitamente alle peculiarità che contraddistinguono una particolare tipologia di banca, consiglia di dare attenzione a questo arresto.
Indice
- La cartolarizzazione del credito in sofferenza
- La legittimazione passiva del procuratore al recupero crediti
- Il credito e il rapporto contrattuale relativo
- La garanzia per i risparmiatori
- La distinzione tra contratto e credito
- La (mancata) specificità del credito cooperativo
- Le sofferenze della singola BCC e il ruolo del gruppo bancario
- Il regime fiscale degli oneri relativi al recupero crediti
- Destinazione delle somme derivanti dal recupero crediti
- La (mancata) valorizzazione dei rapporti interni al gruppo bancario
1. La cartolarizzazione del credito in sofferenza
La vicenda si era dipanata come segue, in sintesi.
STN Srl, una società di costruzioni, avendo stipulato con Banca Agrileasing Spa un contratto di leasing per una autogru, non pagava i relativi canoni.
Allorché la società viene posta in liquidazione, ICCREA Banca Impresa Spa, succeduta nel frattempo a Banca Agrileasing, ottiene dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo per i canoni non pagati e per la restituzione del bene strumentale oggetti del leasing. STN Srl, tramite i fideiussori, resiste al decreto, l’opposizione viene però respinta dal Tribunale.
ICCREA cede quindi il credito, assieme a altre sofferenze, a Dulcinea Securitisation Srl, un SPV, che a sua volta indica designa quale suo procuratore al recupero del detto credito Italfondiario Spa.
I fideiussori di STN Srl ricorrono in appello, a questo punto contro il decreto ingiuntivo in favore di Italfondiario Spa. La Corte di Appello accoglie il ricorso poiché qualifica il contratto quale leasing traslativo.
2. La legittimazione passiva del procuratore al recupero crediti
Italfondiario Spa ricorre per cassazione contro la decisione del giudice di appello.
Il ricorso si basa in primo luogo sulla considerazione che la società ricorrente, quale mero procuratore della società cessionaria del credito, risulta in carenza di legittimazione passiva.
La Corte di Cassazione, sez. III civ., con la sentenza 2 maggio 2022 nr 13735 ritiene di rigettare questo primo motivo poiché, godendo Italfondiario Spa della rappresentanza sostanziale del credito, non può non avere anche la rappresentanza processuale relativa, secondo un principio più volte ribadito dalla giurisprudenza di merito.
3. Il credito e il rapporto contrattuale relativo
Entrando nel merito, il ricorso fa presente che Dulcinea Srl, ai sensi dell’art. 58 del TUB e degli arttt. 1 e 4 della legge sulla cartolarizzazione, 130/1999, ha acquistato in blocco da ICCREA Banca Impresa Spa un portafoglio di crediti classificati a sofferenza, derivanti da contratti di natura bancaria e finanziaria stipulati nel corso del tempo, per poi incaricare Italfondiario Spa (tramite procura notarile) della riscossione di tali crediti e dei servizi di cassa.
Con un primo passaggio, pertanto, la cessionaria eredita il credito ma non il rapporto contrattuale con le relative passività che rimangono in capo alla cedente; con il secondo passaggio, la cessionaria costituisce un altro soggetto suo procuratore relativamente alla gestione del recupero di tale credito.
La Corte accoglie questo secondo motivo, poiché ritiene che la decisione della Corte di Appello abbia violato la normativa sulla cartolarizzazione dei crediti.
Riprende alla lettera una decisione di poco precedente della medesima sezione (sez. III civ. 20 agosto 2019 nr. 21843) fondata sul principio della separazione tra i crediti oggetto delle operazioni di cartolarizzazione e il patrimonio della società di cartolarizzazione, separazione che trova la propria ragione nella finalità rivestita da tale patrimonio, volto in via esclusiva a soddisfare i diritti incorporati nei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti e i costi dell’operazione di recupero. Data una simile netta separazione, il debitore ceduto non può proporre nei confronti del cessionario alcuna eccezione o domanda fondata sul rapporto col cedente. Tale principio con quanto ne consegue si troverebbe, secondo i giudici di legittimità, chiaramente enunciato dall’art. 3 c. 2 e dall’art. 1 c. 1 lett. b della l. 130/1999.
4. La garanzia per i risparmiatori
Gli ermellini si dicono persuasi di come anche solo ammettere la possibilità che il debitore ceduto possa opporre nei confronti del cessionario diritti derivanti dal suo rapporto col cedente significherebbe violare la netta distinzione tra le due posizioni; col risultato di scaricare i costi del rapporto tra il debitore e il cedente sui risparmiatori e sugli investitori che hanno acquisito i titoli emessi dal cessionario. Si tenga presente che tali risparmiatori si trovano già esposti al rischio non indifferente che i crediti cartolarizzati non vengano soddisfatti dai debitori.
Il percorso concettuale delineato dalla decisione della Suprema Corte appare molto lineare e trova un sicuro fondamento nella lettera e nella mens della legge sulla cartolarizzazione dei crediti in sofferenza.
La sentenza oggetto qui di attenzione non manca di dichiarare esplicitamente di volersi inserire in un filone ormai consolidato di decisioni di legittimità tutte fondate nel principio della separazione tra il patrimonio della società di cartolarizzazione e i crediti cartolarizzati.
5. La distinzione tra contratto e credito
Si potrebbe dire ampliando la visuale ma, ritengo, senza minimamente forzare il senso di tali decisioni, che la vera separazione affermata dalla Suprema Corte è quella tra il credito e il contratto donde deriva. Il credito può quindi seguire una strada del tutto autonoma e che non coinvolge il rapporto contrattuale originario.
Tale netta distinzione, per quanto limpida e affascinante sul piano intellettuale, potrebbe però essere una soluzione non applicabile a qualsiasi contesto, a qualsiasi fattispecie concreta. Operando un taglio netto tra contatto e credito si rischia infatti di obliterare le tipicità del contratto da cui comunque il credito trae origine, come appare molto evidente del caso del credito cooperativo.
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6. La (mancata) specificità del credito cooperativo
Con la sentenza in oggetto, la Suprema Corte non fa altro che applicare tale linea ormai sicura e collaudata a un caso di specie in cui l’istituto bancario originariamente coinvolto nel rapporto contrattuale e quindi cedente il credito fa riferimento al contesto del credito cooperativo.
I giudici di cassazione non mostrano di tenere minimamente in conto tale dato oggettivo e procedono, riprendendo appunto schemi consolidati, come se si trattasse di un istituto di credito privo di particolari specificità.
Va invece tenuto conto di una caratteristica fondamentale che definisce l’operatività degli istituti di credito cooperativo, ivi compreso di quelle società che pure specializzate in attività di credito particolari quali appunto il leasing, rientrano comunque a pieno titolo nell’ambito del credito cooperativo.
Tale caratteristica è la mutualità, che si concretizza nell’impegno a fornire beni e servizi in primo luogo ai soci e comunque a condizioni che senza penalizzare l’istinto di credito realizzino comunque un valore ideale di solidarietà. Così il Codice Civile, art. 2511 (come modificato dall’art. 10 della l. 99/2009) e il Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio 1435/2003, art. 1 c. 3.
Si tenga inoltre presente che l’attività dell’istituto di credito cooperativo, ai sensi dell’art. 35 c.1 TUB, deve venire esercitata in prevalenza a favore dei soci.
La giurisprudenza di merito non aveva mancato, seppure in altri contesti, di cogliere e valorizzare lo scopo mutualistico del credito cooperativo (Sez. I civ., 25 settembre 1999, nr. 10602); in questa sede invece, forse appunto per la pregnanza dell’impegno a tenere distinti contratto e credito, tale specificità appare trascurata.
7. Le sofferenze della singola BCC e il ruolo del gruppo bancario
Tale linea volta a non prendere in considerazione la specificità del credito cooperativo nel contesto della cartolarizzazione delle sofferenze caratterizza del resto già da anni le decisioni della Corte di Cassazione.
La sentenza della Sez. VI civ., 16 maggio 2017, nr. 12198, prende in considerazione il ricorso presentato da Banca Padovana di Credito Cooperativo contro la decisione del Tribunale di Padova che ne aveva respinto il ricorso contro il decreto di esecutività dello stato passivo di Seldis Lavori Srl, debitore dell’istituto che però non si vedeva ammesso tra i creditori della procedura fallimentare.
Nel frattempo, Banca Padovana di Credito Cooperativo aveva ceduto il credito in oggetto insieme a altri crediti in sofferenza, per complessivi 650 milioni di euro, al Fondo di Garanzia del Credito Cooperativo. Tale osservazione è di non poco momento, al di là degli aspetti strettamente formali legati alla cartolarizzazione delle sofferenze, poiché si è trattato del primo intervento di salvataggio di un istituto di credito cooperativo a opera del gruppo bancario in cui si trova inserito.
Senza tenere conto di questo aspetto, la Suprema Corte rigetta rapidamente il ricorso, rifacendosi in modo sintetico a precedenti decisioni (in particolare la sentenza della Sez. I Civ., 6 agosto 2009, nr. 17998), per cui la cessione del credito nel contesto di una operazione di cartolarizzazione ha una funzione solutoria indiretta.
Il giudice di legittimità non conferisce rilevanza alcuna agli aspetti peculiari del credito cooperativo e in particolare al fatto che il singolo istituto di credito non può venire autorizzato a esercitare l’attività bancaria se non aderisce a un gruppo bancario (art. 33 c. 1 bis TUB); per cui il fare part del gruppo, con l’intersecarsi di relazioni, impegni e garanzie reciproche che ne consegue, non appartiene alla libera scelta dell’impresa ma è una condizione necessaria perché questa possa operare.
La Suprema Corte invece considera il rapporto concretamente stabilitosi nel caso di specie tra la Banca Padovana di Credito Cooperativo e il Fondo di Garanzia del gruppo bancario alla stregua di un qualsiasi rapporto tra cedente e cessionario nel contesto della cartolarizzazione delle sofferenze.
Non valorizza la dinamica interna al gruppo bancario cooperativo, l’impegno di una società del gruppo per salvare le banche in difficoltà; non tiene conto del fatto che tale impegno a risanare la situazione aziendale, senza che da ciò possano derivare aspettative di rimborso dello strumento di capitale, è dettato dalla Banca d’Italia, con la rilevantissima circolare 285 (p. III, cap. 5, sez. II, 3.2).
La cartolarizzazione in oggetto si configura come un intervento necessitato, senza per questo dovere rischiare di determinare una esposizione oltre modo rischiosa, e non come una scelta ispirata da criteri di profitto.
Trattarla alla stregua di queste significa configurarne un trattamento in sostanza iniquo, se l’equità “in paribus causis paria iura desiderat” e correlativamente tratta in modo diverso situazioni apparentemente analoghe ma differenti.
8. Il regime fiscale degli oneri relativi al recupero crediti
Con una dinamica simile a quella che segna il caso ora esposto, ancorché non determinata da particolari condizioni di angustia dell’istituto di credito cooperativo, la Banca Irpina di Credito Cooperativo cede a Securis, società costituita all’interno del gruppo bancario di credito cooperativo appositamente per essere veicolo della gestione delle sofferenze, alcuni crediti in sofferenza. Contestualmente si obbliga a provvedere, in nome e per conto della cessionaria, alle relative operazioni di recupero, quali possano o debbano essere, dietro compenso forfettario per le spese e gli oneri sostenuti.
L’Agenzia delle Entrate, contrariamente a quanto dichiarato da Banca Irpina, ritiene di conteggiare tali oneri ai fini del calcolo dell’IRPEG e dell’IRAP e invia una cartella all’istituto di credito, che resiste, fino a che la Commissione Tributaria Regionale della Campania avalla l’operato dell’Agenzia delle Entrate, sulla base del fatto che tali oneri fiscali relativi ai crediti e al loro recupero erano passati a carico della cessionaria in seguito alla cartolarizzazione, e che la banca cedente agiva ormai quale mandataria della cessionaria.
9. Destinazione delle somme derivanti dal recupero crediti
La BCC Irpina ricorre per cassazione, basandosi sull’art. 15 del contratto di servicing sottoscritto con Securis, che (derogando alla previsione dell’art. 1720 C. C.) pone a carico della banca cedente tutti gli oneri non coperti dal rimborso forfettario. Ciò è stato stabilito tra le parti a tutela della società veicolo, ossia della cessionaria, dal momento che appare aleatoria la possibilità di vedersi rifondere le spese dell’attività gestoria legata come è al buon esito ossia al recupero dei crediti oggetto della cartolarizzazione.
La Corte di Cassazione (sez. V civ., 29 dicembre 2017, nr. 31122) rigetta il ricorso sulla base di una interpretazione del contratto diversa da quella avanzata dalla ricorrente. A parere dei giudici di legittimità infatti la clausola allegata nel ricorso prevede solo che i crediti in oggetto vengano posposti a altri, che risultano privilegiati, ma non per questo vengono meno. Emerge qui, anche se il testo della sentenza non lo valorizza, il riferimento all’art. 7 del D. L. 18/2016, convertito dalla l. 49/2016, che fissa un rigoroso ordine di priorità tra voci al cui pagamento sono destinate le somme derivanti dal recupero dei crediti ceduti.
10. La (mancata) valorizzazione dei rapporti interni al gruppo bancario
La Suprema Corte non prende qui in considerazione le specificità del gruppo di credito cooperativo e in particolare la solidarietà tra componenti del gruppo e tratta le società coinvolte nel caso di specie alla stregua di qualsiasi altro istituto di credito e SPV.
Al contrario, il rapporto delineatosi tra BCC Irpina e Securis, società entrambe componenti il gruppo bancario, si configura quale meccanismo di sostegno intra gruppo
In conclusione, colpisce l’impegno della Suprema Corte a normalizzare il credito cooperativo. Non prende minimamente in considerazione le caratteristiche fondamentali della sua operatività (il mutualismo e l’orientamento prevalente ai soci), gli interventi di salvataggio nei confronti d componenti del gruppo in difficoltà, i meccanismi di sostegno tra componenti del gruppo.
Il punto non è se da questa mancata considerazione derivi in concreto, nei casi di specie all’esame del giudice di merito, un orientamento favorevole agli istituti di credito cooperativo. Quali ne siano gli esiti sostanziali, emerge in tutta la sua pregnanza la non disponibilità della Corte di Cassazione a considerare le peculiarità di un modello differente di banca per volerne invece appiattire gli esponenti a un modello standardizzato e valido per tutti
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