Qualche dubbio può sorgere, però, se l’abitazione del condomino viene destinata a casa di riposo o casa famiglia per anziani.
La posizione della Cassazione
Secondo i giudici supremi, è vero che le comunità alloggio per anziani devono possedere i requisiti edilizi previsti proprio per gli alloggi destinati a civile abitazione; tuttavia si deve considerare che le medesime comunità alloggio si connotano come strutture a ciclo residenziale, le quali prestano servizi socioassistenziali ed erogano prestazioni di carattere alberghiero. Ne consegue che residenze assistenziali rivolte agli anziani, in forma di case di riposo, case famiglia o anche comunità alloggio non possono essere ammesse se una clausola regolamentare impone di destinare gli appartamenti ad uso di civile abitazione o di studi o uffici professionali privati oppure vieta di adibire gli stessi a stanze ammobiliate d’affitto, pensioni e locande. Tale conclusione – ad avviso della Cassazione – non risulta né contrastante con il significato lessicale delle espressioni adoperate nel testo negoziale, né contraria a logica o incongrua (Cass. civ. sez. VI, 14/05/2018, n. 11609).
Questa conclusione rende del tutto erroneo individuare una differenza, con conseguenze giuridiche, tra albergo e casa di riposo, fondata sulla pretesa durata dei rapporti con la clientela. Infatti, il riferimento alla durata “abituale” del rapporto tra cliente dell’albergo e cliente della casa di riposo, è una argomentazione di sola valenza commerciale ma non certo giuridica. In sostanza, l’oggetto principale dell’attività della casa di riposo, è quello ricettivo alberghiero, al quale si aggiungono altri specifici servizi e non v’è dubbio che tale elemento debba ritenersi decisivo ai fini di una corretta comprensione della fattispecie. Le case famiglia si differenziano semplicemente per la gestione famigliare che, in genere, non prevede una grande quantità di ospiti.
Condominio e diritto costituzionalmente garantito di beneficiare dell’assistenza socio-sanitaria
Secondo una recente decisione di merito, ogni anziano (e, prima ancora, ogni persona) che abiti all’interno del condominio ha il diritto costituzionalmente garantito di beneficiare dell’assistenza socio-sanitaria necessaria a salvaguardare la propria salute.
Nel caso di specie, una clausola di natura contrattuale del regolamento condominiale vietava di utilizzare le unità immobiliari del caseggiato per l’esercizio di professioni e mestieri capaci di arrecare danno all’igiene, alla tranquillità e al decoro del centro residenziale.
Una condomina, però, utilizzava l’appartamento come casa famiglia per anziani. Altra condomina allora si rivolgeva al Tribunale per chiedere che fosse accertata la violazione del regolamento e, conseguentemente, la convenuta fosse condannata a non utilizzare l’abitazione per attività illecite. Il Tribunale, nel rigettare la domanda, aveva notato, tra l’altro che, salvo prova contraria (non fornita dall’attrice), l’attività di casa famiglia non poteva considerarsi, di per sé, come una sicura fonte di danno all’igiene, alla tranquillità e al decoro del condominio (Tribunale 30 settembre 2021 n. 15142).
L’opponibilità a terzi delle clausole che impediscono case famiglia in condominio
Le clausole limitative del diritto di destinazione delle singole unità immobiliari rientrano nella categoria delle servitù (reciproche) atipiche con la conseguenza che l’opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti (cioè quelli successivi al primo acquirente che ha acquistato direttamente dal costruttore-venditore) deve essere regolata secondo le norme proprie delle servitù, non essendo, invece, sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale contenuto nel rogito di acquisto.
Di conseguenza, qualora tali clausole limitative siano inserite nel regolamento predisposto dal costruttore venditore, originario unico proprietario dell’edificio, con le note di trascrizione del primo atto di acquisto di un’unità immobiliare e delle clausole che limitano l’uso delle abitazioni dei singoli condomini (creando vincolo reale reciproco), si determina l’opponibilità di quelle servitù, menzionandovi tutte le distinte unità immobiliari, cioè ciascuno dei reciproci fondi dominante e servente; successivamente, in occasione delle vendite delle altre unità immobiliari, non sarà sufficiente richiamare il regolamento di condominio, ma sarà necessaria un’ulteriore trascrizione per le clausole che impongono le servitù.
In assenza di tale trascrizione, queste disposizioni del regolamento, che stabiliscono i limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono altrimenti soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d’acquisto.
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