La Cassazione chiarisce taluni aspetti del delitto di calunnia: vediamo quali

    Indice:

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 368)

1. Il fatto 

La Corte di Appello di Lecce, in parziale riforma di una sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, assolveva un imputato dal reato di calunnia, limitatamente ad uno specifico episodio, tra quelli contestati, per insussistenza del fatto, confermando nel resto la condanna alla pena di anni due di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale, per gli altri episodi ascrittigli.

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento emesso dalla Corte territoriale salentina proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge, mancanza della motivazione in merito alla applicabilità dell’art. 49 cod. pen., nonché contraddittorietà della motivazione; 2) violazione dell’art. 43 cod. pen. e di vizio di motivazione con riferimento all’elemento psicologico del reato; 3) violazione dell’art. 81 cod. pen. in relazione all’omessa rideterminazione del trattamento sanzionatorio; 4) violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche.


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3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era stimato inammissibile in quanto fondato su motivi reputati, in parte, non consentiti e, in parte, generici e manifestamente infondati.

Ciò premesso, i primi due motivi, esaminati congiuntamente in quanto tra loro (considerati) logicamente connessi, erano per l’appunto ritenuti inammissibili perché, per la Corte di legittimità, essi erano generici, meramente reiterativi dei medesimi motivi di appello e volti a sollecitare una diversa lettura delle risultanze processuali, estranea al perimetro del giudizio di legittimità.

Detto questo, si osservava a tal proposito che, secondo la costante giurisprudenza della Cassazione, la calunnia è un reato di pericolo che si realizza con una condotta tale da creare il concreto rischio di inizio di un’indagine, sia che venga realizzata con una falsa denunzia che con la simulazione di tracce del reato e, quindi, non è necessario che vi sia l’effettivo avvio di un’indagine ma, laddove ciò non avvenga, occorre valutare se, nel caso concreto, la condotta fosse del tutto inidonea a creare il rischio di inizio di un procedimento penale come, ad esempio, allorché la falsa accusa abbia ad oggetto fatti manifestamente e a prima vista inverosimili o incredibili per le circostanze in cui è effettuata, per i modi in cui è espressa e per l’assoluta inattendibilità del suo contenuto, sì che l’accertamento della sua infondatezza non abbisogni di alcuna indagine e, dunque, in tali casi, l’azione si rivela sostanzialmente priva dell’attitudine a ledere gli interessi protetti a norma dell’art. 49 cod. pen. (Sez. 6, n. 26177 del 17/03/2009).

Ai fini della configurabilità del reato di calunnia non è, di conseguenza, necessario l’inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile, cosicché soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare – perché in contrasto con i più elementari principi della logica e del buon senso – la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, è da ritenere insussistente l’elemento materiale del delitto di calunnia (Sez. 2, n. 14761 del 19/12/2017; Sez. 6, n. 10282 del 22/01/2014).

Orbene, per gli Ermellini, la sentenza impugnata aveva fatto buon governo di tali coordinate ermeneutiche avendo chiarito, con motivazione (stimata) immune da vizi logici o giuridici, la portata calunniosa degli esposti e della querela presentati dall’imputato.

Oltre a ciò, la Suprema Corte riteneva come i giudici di secondo grado avessero correttamente escluso

l’inverosimiglianza o il carattere grottesco o assurdo del contenuto delle accuse in quanto tali accuse erano stato formulate in termini dettagliati e con richiami alla giurisprudenza di legittimità e, pertanto, così facendo, sempre ad avviso del Supremo Consesso, la Corte territoriale aveva buon governo del principio di diritto secondo cui, in tema di calunnia, l’elemento soggettivo, che deve estendersi alla consapevolezza di esporre al rischio di un procedimento penale l’accusato che si sa innocente, è evidenziato dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l’azione criminosa, dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto ai fini dell’accertamento del dolo (Sez. 6, n. 21204 del 03/04/2013) posto che la consapevolezza del denunciante in merito all’innocenza dell’accusato è esclusa nel caso – non ricorrente nella fattispecie in esame – in cui la supposta illiceità del fatto denunziato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte di una persona, di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (Sez. 6 , n. 12209 del 18/02/2020).

Chiarito ciò, i giudici di piazza Cavour osservavano inoltre come, in considerazione della pluralità di denunce presentate in tempi diversi e presso diverse Autorità, nonché del loro contenuto, fosse stata, inoltre, legittimamente ravvisata una pluralità di reati, facendosi presente, al riguardo, che la proposizione di plurime denunce contenenti false accuse depositate presso più autorità ed in luoghi distinti dà luogo ad una pluralità di reati, dovendosi escludere l’identità del fatto nel caso in cui la reiterazione della condotta avvenga con modalità spazio-temporali diverse (Sez. 6, n. 13416 del 08/03/2016), tenuto conto altresì del fatto che, quanto allo scritto del 19 settembre, sempre ad avviso della Cassazione, non sussisteva un interesse concreto del ricorrente a dolersi della sua omessa valutazione posto che, pur essendo stata riconosciuta la continuazione tra i diversi episodi di calunnia, in concreto era stata applicata solo la pena base nel minimo edittale previsto dall’art. 368 cod. pen. cosicché, in caso di accoglimento della doglianza, sarebbero potuti conseguire effetti in malam partem per il ricorrente con l’eventuale applicazione dell’aumento ai sensi dell’art. 81 cod. pen. per tale episodio criminoso.

Il terzo motivo, a sua volta, era reputato parimenti inammissibile in quanto manifestamente infondato atteso che la Corte territoriale aveva, per la Corte di legittimità, correttamente giustificato la mancata riduzione del trattamento sanzionatorio in considerazione del fatto che il Giudice di primo grado aveva calcolato la sola pena base per il reato di calunnia, nel minimo edittale, senza operare alcun aumento a titolo di continuazione, così come anche il quarto motivo non superava, per la Cassazione, il vaglio di ammissibilità in quanto (stimato) aspecifico e privo di adeguato confronto con le argomentazioni della sentenza impugnata che aveva escluso la sussistenza di elementi di segno positivo ponendo, di contro, l’accento sull’assenza di alcuna forma di resipiscenza da parte del ricorrente, ribadendosi, a tal proposito, che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis cod. pen. disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017) visto che le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere del reo, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (cfr. Sez. 2, n. 9299 del 07/11/2018).

L’inammissibilità dei motivi di ricorso, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, precludeva dunque, per la Corte di legittimità, la possibilità di rilevare e dichiarare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000), fermo restando che, all’inammissibilità del ricorso, se ne faceva seguire pure la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre che il pagamento della somma di euro tremila da versare in favore della cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso ricorrente avesse proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000). 

4. Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante in quanto sono ivi chiariti molti aspetti concernenti il delitto di calunnia.

Difatti, in tale pronuncia, si affermano, sulla scorta di un precedente orientamento nomofilattico, o meglio, vengono ribaditi, i seguenti principi di diritto: 1) la calunnia è un reato di pericolo che si realizza con una condotta tale da creare il concreto rischio di inizio di un’indagine, sia che venga realizzata con una falsa denunzia che con la simulazione di tracce del reato e, quindi, non è necessario che vi sia l’effettivo avvio di un’indagine ma, laddove ciò non avvenga, occorre valutare se, nel caso concreto, la condotta fosse del tutto inidonea a creare il rischio di inizio di un procedimento penale come, ad esempio, allorché la falsa accusa abbia ad oggetto fatti manifestamente e a prima vista inverosimili o incredibili per le circostanze in cui è effettuata, per i modi in cui è espressa e per l’assoluta inattendibilità del suo contenuto, sì che l’accertamento della sua infondatezza non abbisogni di alcuna indagine e, dunque, in tali casi, l’azione si rivela sostanzialmente priva dell’attitudine a ledere gli interessi protetti a norma dell’art. 49 cod. pen.; 2) ai fini della configurabilità del reato di calunnia non è necessario l’inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, occorrendo soltanto che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l’esercizio dell’azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile, cosicché soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare – perché in contrasto con i più elementari principi della logica e del buon senso – la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, è da ritenere insussistente l’elemento materiale del delitto di calunnia; 3) in tema di calunnia, l’elemento soggettivo, che deve estendersi alla consapevolezza di esporre al rischio di un procedimento penale l’accusato che si sa innocente, è evidenziato dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive che definiscono l’azione criminosa, dalle quali, con processo logico deduttivo, è possibile risalire alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto ai fini dell’accertamento del dolo (posto che la consapevolezza del denunciante in merito all’innocenza dell’accusato è esclusa nel caso – non ricorrente nella fattispecie in esame – in cui la supposta illiceità del fatto denunziato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi e seri tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte di una persona, di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza.

Tale provvedimento, quindi, proprio alla luce dei plurimi principi di diritto ivi richiamati, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba verificare se il delitto di cui all’art. 368 cod. pen. sia effettivamente configurabile.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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