La vicenda
L’Agenzia delle Entrate ricorreva avverso la sentenza della Corte d’Appello di Lecce che confermava le statuizioni di primo grado in cui il giudice aveva dichiarato estinti i crediti vantati dall’INPS e dall’INAIL, oggetto di plurime cartelle esattoriali, per intervenuta prescrizione quinquennale maturata successivamente alla notifica delle cartelle stesse e prima della notifica dell’intimazione di pagamento e dell’iscrizione ipotecaria.
La Corte d’Appello riteneva applicabile la prescrizione quinquennale anche dopo che i crediti fossero divenuti irretrattabili, richiamando la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 23397/2017 con la quale veniva stabilito che i crediti vantati dalla Pubblica Amministrazione (Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL ecc…), si prescrivessero nel termine breve di cinque anni, tranne nel caso in cui la sussistenza del credito fosse stata accertata con sentenza passata in giudicato o decreto ingiuntivo, o comunque un provvedimento giurisdizionale definitivo e non un atto amministrativo, privo dell’attitudine ad acquistare efficacia di giudicato.
Con un unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduceva la violazione dell’art. 2946 c.c., nonché dell’art. 49 del D.P.R. 602/1973 e degli artt. 19, comma 4, e 20, comma 6 del D.Lgs. 112/1999, in quanto la sentenza impugnata avrebbe, a suo dire, applicato il termine quinquennale di prescrizione al posto del termine ordinario decennale, nonostante si trattasse di crediti iscritti a ruolo ed oggetto di cartelle di pagamento non impugnate dal debitore.
La questione
La prescrizione breve (5 anni) è applicabile anche nelle ipotesi in cui la definitività dell’accertamento del credito derivi da atti diversi rispetto a una sentenza passata in giudicato? Nello specifico bisogna stabilire, nei casi in cui il contribuente non impugni giudizialmente un atto accertativo proveniente dalla Pubblica Amministrazione ovvero un provvedimento esattoriale dell’Ente della Riscossione, se tale scelta processuale produca solo l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito oppure consenta la conversione del termine di prescrizione breve in quello ordinario decennale.
La soluzione
La Corte di Cassazione con ordinanza n. 7409 del 17.03.2020 ha confermato le pronunce di primo e secondo grado dichiarando inammissibile il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, in quanto la Corte d’Appello aveva deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità.
La Suprema Corte, infatti, nella pronuncia in commento si rifà proprio all’unanime orientamento giurisprudenziale, consolidato con la pronuncia a Sezioni Unite n. 23397/2016, secondo cui la scadenza del termine per proporre opposizione avverso la cartella di pagamento, pur determinando la decadenza dall’impugnazione, produce come effetto unicamente l’irretrattabilità del credito contributivo, ma non determina la conversione del termine prescrizionale breve in quello ordinario decennale. La conversione si determinerebbe solo qualora intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la cartella di pagamento e l’avviso di addebito INPS hanno natura di mero atto amministrativo, perciò inidoneo ad acquisire efficacia di giudicato.
La Corte prosegue nel ragionamento specificando che, in tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario, non comporta il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato ad una disciplina specifica anche per quanto concerne il regime di prescrizione. Di conseguenza, in mancanza di un titolo giudiziale definitivo, che accerti con efficacia di giudicato l’esistenza del credito, continua a trovare applicazione anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina della prescrizione breve, al posto della regola sussidiaria della prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c.[1], ciò in perfetta aderenza alla natura di atto amministrativo che il ruolo riveste.[2]
Allo stesso modo secondo la Corte non assumerebbe alcun rilievo il richiamo agli artt. 19, comma 4, e 20, comma 6 del D.Lgs. n. 112/1999, nel punto in cui stabiliscono un termine prescrizionale decennale, posto che i giudici di legittimità hanno chiarito che tale termine è strettamente connesso al procedimento amministrativo per il rimborso di quote inesigibili.[3]
Riflessioni conclusive
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale quindi, l’omessa impugnazione di un procedimento accertativo o esattoriale, non determina la possibilità per l’atto amministrativo non impugnato di acquisire efficacia di giudicato, poiché tali atti sono espressione del potere di autoaccertamento e di autotutela della PA. Per questo motivo l’inutile decorso del termine perentorio per proporre opposizione, determina la decadenza dall’impugnazione, ma non produce alcun effetto di ordine processuale, derivandone l’inapplicabilità dell’art. 2953 c.c. in materia di prescrizione.[4]
Diversamente opinando, infatti, verrebbe frustrato il diritto di difesa del contribuente, costituzionalmente garantito dall’art. 24 della Carta Costituzionale, poiché lo stesso verrebbe assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato o comunque corrispondente al termine ordinario di prescrizione. Il lasso temporale di potenziale riscossione del credito erariale non può infatti diventare eccessivo e irragionevole.[5]
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Note
[1] Cass. 31352/2018 del 04.12.2018.
[2] Cass. 14301/2009 del 19.06.2009.
[3] Cass. SS.UU. n. 23397/2016 del 17.11.2016; Cass. 31352/2018 del 04.12.2018.
[4] Cass. SS.UU. n. 25790/2009.
[5] Corte Costituzionale sentenza n. 280/2005.
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