Avv. Pier Paolo Muià – Dott.ssa Ludovica Giancola
Cassazione civile, sez. III, Sentenza del 08.07.2020, n. 14258
Fatto
Nella sentenza oggetto di commento, la III Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha affrontato il tema della responsabilità della struttura sanitaria, contrattuale o extracontrattuale, nei confronti dei prossimi congiunti del paziente che abbia subito un danno a causa dell’omessa vigilanza da parte della struttura medesima.
Nel caso di specie, i ricorrenti avevano adito il Tribunale di Pavia per chiedere il risarcimento dei danni da menomazione del rapporto parentale conseguenti al decesso dovuto al suicidio del proprio genitore, affetto da grave malattia mentale, nei confronti della Struttura Sanitaria ove il defunto si trovava ricoverato. In proposito, i figli ritenevano addebitabile alla Struttura la responsabilità per non aver impedito il suicidio del proprio congiunto (che si era lasciato precipitare volontariamente da una finestra del nosocomio) , in considerazione dei pregressi clinici del genitore che spesso era stato ricoverato nel medesimo nosocomio a causa di un quadro di schizofrenia paranoide. Pertanto, ad avviso dei ricorrenti, la Struttura Ospedaliera aveva tutte le informazioni necessarie per approntare le cautele del caso. Più precisamente, i ricorrenti avevano esperito un’azione risarcitoria, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c., invocando quindi una responsabilità contrattuale della struttura anche nei loro confronti, in ragione del contatto sociale qualificato che gli stessi parenti hanno avuto con la struttura sanitaria: secondo gli attori, ciò derivava dal fatto che si era instaurato un rapporto contrattuale tra la stessa struttura e il paziente (loro congiunto), con conseguenti effetti protettivi – derivanti dal rapporto contrattuale struttura-paziente – anche nei confronti dei soggetti terzi (cioè i figli del paziente). In entrambi i gradi di giudizio di merito, però, le domande attoree erano state rigettate dalle corti territoriali; ragione per cui i congiunti ricorrevano alla Corte di cassazione.
La decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, nel pronunciarsi sulle censure avanzate dai figli del defunto sulla sentenza della corte di appello, ha evidenziato che l’azione proposta dai congiunti doveva essere esperita ai sensi dell’art. 2043 c.c. e non degli artt. 1218 e 1228 c.c. come, al contrario, sostenuto dai ricorrenti.
Questi ultimi, infatti, ritenevano inquadrabile la fattispecie concreta in quella del c.d. contatto sociale qualificato, con conseguente configurazione della responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e ritenevano altresì applicabile la normativa della prevista alla L. 8 marzo 2017, n. 24 (Legge Gelli-Bianco), pur essendo il fatto avvenuto precedentemente alla stessa. In proposito, la Corte ha richiamato la propria precedente giurisprudenza ribadendo la ormai pacifica irretroattività della Legge Gelli-Bianco. Dopo diche, gli Ermellini hanno altresì respinto la doglianza dei familiari del defunto, a prescindere dall’irretroattività o meno della Gelli-Bianco. Infatti, i familiari avevano invocato un autonomo diritto al risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, richiamando la teoria del “contatto sociale qualificato” e, dunque, invocando una responsabilità di natura contrattuale della struttura nei confronti dei congiunti, con la conseguente applicazione del regime probatorio maggiormente favorevole.
Sul punto, tuttavia, la Corte Suprema ha ribadito il principio secondo cui la struttura ospedaliera deve certamente ritenersi responsabile contrattualmente dei danni cagionati al paziente dei quali egli stesso chieda il risarcimento, ma ciò non può estendersi ai suoi congiunti in ordine al danno da menomazione o perdita del rapporto parentale, soprattutto nel caso in cui sia lo stesso paziente a togliersi la vita. Sul punto, la Corte ha richiamato un proprio precedente del 2012 secondo cui il rapporto contrattuale deve intendersi intercorrente tra la struttura ed il ricoverato, mentre per i parenti del de cuius vige il principio della responsabilità aquiliana.
Non vi è dubbio, infatti, che la struttura sanitaria sia legata da rapporto contrattuale al paziente ospite e che, dunque, abbia stipulato un contratto atipico di assistenza sanitaria da cui discendono una serie di prestazioni (tra cui la protezione del soggetto mancante di autotutela), in forza dell’artt. 1374 c.c., che la struttura deve erogare in favore del paziente medesimo. Tuttavia, il paziente rimane l’unica parte contrattuale e, in quanto tale, l’unico titolare di un autonomo diritto al risarcimento del danno di natura contrattuale, non dispiegando il negozio alcun effetto protettivo verso terzi, come invece sostenuto dai ricorrenti.
La Cassazione, nel caso in esame, dunque respinge l’affermazione del contratto con efficacia protettiva verso terzi, rilevando che l’efficacia protettiva verso terzi può sussistere solo nel caso in cui l’interesse di cui essi sono portatori risulti strettamente collegato a quello regolato dall’obbligazione assunta nei confronti del paziente, tanto da entrare nella causa comune del contratto stesso. In tal senso, in ambito di responsabilità medica, si richiama – quale contratto con effetti protettivi verso terzi – quello tra gestante e struttura sanitaria che scaturisce effetti protettivi nei confronti del nascituro.
In proposito, viene rilevato che la posizione del nascituro/neonato risulta protetta in ragione dell’esistenza di apposite disposizioni legislative (nello specifico la L. 22 maggio 1978, n. 194, la L. 30 dicembre 1971, la L. 9 dicembre 1977, n. 903), dalle quali si evince chiaramente la tutela progressiva approntata dal legislatore per la tutela dell’individuo sin dal concepimento, nonché del dettato costituzionale agli artt. 2, 30, 31, 32 e 37 Cost.
Conseguentemente, la struttura deve certamente ritenersi responsabile nei confronti della madre gestante ex art. 1218 c.c. nel caso in cui questa non riceva esattamente le prestazioni pattuite in contratto; oltre a ciò la corretta erogazione delle prestazioni sanitarie in favore del nascituro risponde ad interessi ulteriori, proprio in virtù delle tutele approntate dal legislatore, ovvero: quello del bambino a nascere sano e quello dell’intera famiglia che soffrirebbe le conseguenze negative delle sue cattive condizioni di salute. Pertanto, tutti i membri della famiglia hanno un interesse direttamente collegato alla corretta esecuzione del contratto, in considerazione del forte impatto che la nascita del figlio disabile comporterebbe per tutti. Tale asserzione, d’altronde, trova il proprio fondamento tanto a livello costituzionale quanto internazionale, come più volte rilevato dalla medesima Giurisprudenza di Legittimità.
In proposito, la sentenza in commento evidenzia che tanto il padre quanto i fratelli del nato disabile avranno un interesse giuridicamente autonomo e tutelato. Proprio questi ultimi, infatti, debbono ritenersi danneggiati, in ragione del fatto che i genitori del disabile avranno necessariamente una minor disponibilità nei loro confronti, dovendo dedicarsi a provvedere al figlio disabile, senza contare la diminuzione della serenità e distensione nel rapporto con i genitori in conseguenza del disagio patito.
Tuttavia, rileva la Corte che, al di fuori di questo particolare ambito, la figura del contratto con efficacia protettiva verso il terzo, nel campo della responsabilità per colpa medica, non può trovare applicazione per le pretese risarcitorie azionate iure proprio dai parenti del de cuius. Questo perché il paziente rimane l’unica parte della relazione contrattuale e, pertanto, la Corte non ritiene che i parenti possano vantare un interesse direttamente collegato alla corretta prestazione contrattuale. Dunque, gli Ermellini hanno ribadito – conformemente anche alle precedenti pronunce – che il diritto vantato autonomamente dai congiunti del de cuius nei confronti della struttura ospedaliera, per perdita del rapporto parentale, in caso di morte del paziente deve rientrare nell’alveo della responsabilità aquiliana con relativo termine prescrizionale quinquennale di cui all’art. 2947 c.c.
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