Indice:
- Il fatto
- I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
- Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
- Conclusioni
Il fatto
La Corte di Appello di Brescia, disponendo la correzione di un errore materiale contenuto nel dispositivo di una sentenza del Tribunale di Brescia, confermava al contempo la predetta sentenza con la quale gli imputati erano stati condannati – ritenuto il vincolo della continuazione per i seguenti reati: A) art. 6-ter della legge n. 401 del 1989; B) art. 6-bis della legge n. 401 del 1989; C) art. 5 della legge n. 152 del 1975.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso il provvedimento emesso dai giudici di seconde cure due, dei tre imputati, tramite i propri difensori, proponevano un unico ricorso per Cassazione con cui deducevano i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 6-ter della legge n. 401 del 1989 avendo la difesa precisato che la contestazione avrebbe dovuto essere riferita al solo porto di una bandiera e non anche di cinture, come sarebbe stato possibile evincere dal complesso delle informative di polizia giudiziaria presenti in atti e come confermato dal testo delle sentenze di primo e secondo grado, dovendosi addebitare il riferimento alle cinture ad un mero refuso, rilevando al contempo che: a) alla luce del testo della norma applicata nel caso di specie, il reato ascritto agli imputati non sarebbe stato realizzato, per la mancanza di un concreto pericolo per le persone, dal momento che i ricorrenti si sarebbero limitati a tenere in mano una bandiera arrotolata composta da asta e vessillo, come emergerebbe dalle stesse fotografie allegate alla informativa e, dunque, un oggetto di per sé non idoneo ad offendere e lecitamente trasportabile dai tifosi nel corso di manifestazioni sportive; b) l’art. 4, decimo comma, della legge n. 110 del 1975 prevede una scriminante per l’utilizzo di bandiere nel corso di pubbliche manifestazioni; c) non vi sarebbero state in atti prove relative ad un utilizzo improprio o pericoloso delle predette bandiere da parte dei ricorrenti, limitandosi gli stessi a tenerle in mano; 2) erronea applicazione dell’art. 6-bis della legge n. 401 del 1989 rilevando, anche in questo caso, l’assenza di un concreto pericolo per le persone creato dal lancio di fumogeni da parte dei ricorrenti; 3) vizio di motivazione in relazione all’art. 163 cod. pen. per non avere la Corte territoriale motivato la mancata concessione dei benefici di legge richiesti, in particolare, la sospensione condizionale della pena.
Ciò posto, il terzo imputato, per il tramite del suo difensore, proponeva anch’esso ricorso per Cassazione, prospettando le seguenti censure: I) violazione degli artt. 6-ter della legge n. 401 del 1989 e 25, comma 2, Cost., nonché vizi della motivazione, nella parte in cui la sentenza affermava che il mero possesso di una cintura integra il delitto in contestazione, a nulla rilevando la concreta offensività del fatto poiché, ad avviso del ricorrente, non sarebbe possibile qualificare in astratto una semplice cintura come oggetto pericoloso o idoneo ad offendere, trattandosi di comune accessorio di abbigliamento il cui mero possesso non è vietato in nessun luogo o circostanza, neppure qualora, al posto di essere indossata, sia tenuta in mano arrotolata, rilevandosi contempo che, nonostante soltanto l’art. 6-bis della legge n. 401 del 1989 richieda la creazione di un concreto pericolo per le persone, anche nel caso di applicazione dell’art. 6-ter della legge n. 401 del 1989- come nel caso di specie – debba essere accertata una effettiva concretizzazione del rischio per poter ritenere integrato il reato di pericolo astratto contestato, pena la violazione del principio di offensività in concreto; II) violazione dell’art. 131-bis cod. pen., oltre al vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità, dal momento che, secondo la difesa, i giudici di merito avrebbero illegittimamente escluso la fattispecie astratta contestata al ricorrente dal novero dei reati cui sarebbe applicabile l’esimente de qua e tale conclusione sarebbe contraddetta anche dall’intervento normativo del 2019 con cui il legislatore ha espressamente escluso dall’ambito applicativo della norma i delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive; modifica non applicabile ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore, fermo restando che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la semplice condotta di tenere in mano una cintura arrotolata non equivarrebbe all’intenzione di volerla usare come tirapugni tenuto conto altresì del fatto che, sempre ad avviso del legale, il ricorrente non sarebbe affatto un soggetto aduso a condotte violente di alcun tipo, vantando un unico precedente per guida in stato di ebrezza mentre l’occasionalità della condotta contestata e la presumibile volontà di emulare altri soggetti più esperti e disinvolti, oltre alla giovane età del ricorrente, avrebbero dovuto condurre i giudici di appello ad applicare la richiamata causa di non punibilità.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Per quanto attiene il primo ricorso esaminato, esso era dichiarato inammissibile.
Quanto alla prima doglianza, gli Ermellini rilevavano che, in ordine al profilo dell’idoneità della bandiera a costituire oggetto finalizzato all’offesa, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 6-ter della legge n. 401 del 1989, costituisce possesso di oggetti contundenti o comunque atti ad offendere nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, ovvero in quelli di sosta, transito ecc. dei soggetti interessati, anche quello che attiene a strumenti di uso comune, idonei ad essere utilizzati per l’offesa alla persona, e la cui detenzione risulti ingiustificata in relazione alla naturale destinazione degli oggetti stessi e alle circostanze di tempo e di luogo in cui è accertata (Sez. 3, n. 3945 del 17/12/2014), rilevandosi al contempo che, con riguardo a fattispecie diversa da quella in esame, è stato espresso il principio – applicabile anche in materia di porto di aste di bandiera nelle pubbliche manifestazioni, in quanto oggetti finalizzati ad offendere – secondo cui, in tema di armi, anche un oggetto appuntito, utilizzato come strumento di offesa, costituisce arma impropria ai fini dell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 585, comma secondo, cod. peri., considerato che qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all’offesa, ma in concreto utilizzato per procurare lesioni personali, rientra nel novero delle armi improprie, giacché il porto dell’oggetto cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione per essere utilizzato come arma (Sez. 5, n. 49582 del 26/09/2014).
Orbene, ad avviso del Supremo Consesso, in applicazione di tali principi, la Corte di Appello aveva precisato le circostanze concrete in base alle quali si può ritenere che la detenzione di una bandiera, arrotolata attorno all’asta con nastro adesivo, fosse espediente adottato dai tifosi al fine di rendere il bastone maggiormente idoneo all’offesa.
Ciò posto, pure il secondo motivo, con il quale la difesa si doleva dell’erronea applicazione dell’art. 6-bis della legge n. 401 del 1989, era stimato inammissibile perché, per la Corte di legittimità, sostanzialmente diretto ad ottenere una rivalutazione del merito della responsabilità penale.
A fronte di ciò, era invece ribadito che il delitto di lancio di materiale pericoloso in occasione di manifestazioni sportive, di cui all’art. 6-bis, comma primo, della legge n. 401 del 1989, è reato di pericolo concreto, per la cui configurabilità non è richiesto che si verifichino le ulteriori conseguenze (“danno alle persone” o “ritardo rilevante dell’inizio, sospensione, interruzione o cancellazione della manifestazione sportiva”) previste dalla norma incriminatrice, che costituiscono tutte ipotesi di delitto aggravato dall’evento (Sez. 3, n. 7869 del 13/01/2016) osservandosi al contempo come siffatti principi non erano stati contestati in punto di diritto dalla difesa mentre, nel caso di specie, ad avviso degli Ermellini, la Corte distrettuale aveva ben evidenziato cHe, secondo quanto era dato desumere dall’analisi dei fotogrammi, l’atteggiamento incuriosito e, in alcuni casi, provocatorio dei tifosi, proprio in direzione dell’area verso la quale i ricorrenti, dopo qualche minuto, avevano tirato il fumogeno, lascia intendere chiaramente come in tale settore fosse già presente una rappresentanza della tifoseria ospite mentre, diversamente ragionando, sempre per i giudici di piazza Cavour, non sarebbe stato spiegabilr in direzione di chi o di che cosa sarebbe stata rivolta quella curiosità e sarebbero stati addirittura manifestati gesti di scherno.
Si riteneva, pertanto, la motivazione della sentenza adeguatamente logica e coerente nella parte in cui stimava integrato quel pericolo concreto per l’incolumità altrui richiesto dalla norma ai fini dell’integrazione del reato de quo senza che fosse necessaria la verificazione di ulteriori conseguenze.
Precisato ciò, anche la censura relativa al vizio di motivazione sulla mancata concessione della sospensione condizionale della pena era reputata inammissibile poiché, in tema di ricorso per Cassazione, non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato (ex plurimis, Sez. 5, n. 27202 del 11/12/2012) o che per la sua assoluta indeterminatezza e genericità doveva essere dichiarato inammissibile (ex plurimis, Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019; Sez. 2, n. 35949 del 20/06/2019; Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998), tenuto conto altresì del fatto che l’omesso esame di un motivo di appello da parte del giudice dell’impugnazione non dà luogo ad un vizio di motivazione rilevante a norma dell’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen. allorché, pur in mancanza di espressa disamina, il motivo proposto debba considerarsi implicitamente assorbito e disatteso dalle spiegazioni svolte nella motivazione in quanto incompatibile con la struttura e con l’impianto della stessa nonché con le premesse essenziali, logiche e giuridiche che compendiano la ratio decidendi della sentenza medesima (ex plurimis, Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019).
Terminata la disamina di questo ricorso, anche l’altro ricorso era considerato inammissibile, ritenendosi sia la prima censura, che la seconda, ambedue inammissibili.
In particolare, per quanto concerne quest’ultima doglianza, si osservava che, se la mancanza di specificità del motivo va ritenuta non solo per la sua indeterminatezza, ma anche per la mancata correlazione tra le ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato e, pertanto, è inammissibile il ricorso per Cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (ex plurimis, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019; Sez. 3, n. 44882 del 18/08/2014; Sez. 2, n. 29108 del 15/07/2011), dal canto suo, la Corte di Appello aveva ritenuto, confermando quanto già espresso dal Tribunale, come la condotta di utilizzo o di porto di strumenti atti ad offendere, in un contesto ad alto rischio per l’ordine pubblico e con possibili risvolti coinvolgenti anche l’incolumità fisica altrui, sia da ritenere maggiormente offensiva rispetto a condotte – quali quelle di mero travisamento – per le quali, nel medesimo procedimento, è stato ritenuto di concedere la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, fermo restando che l’accorgimento di utilizzare la cintura come una sorta di tirapugni, così da aumentare l’efficacia lesiva del colpo che si intende portare, per la Corte di legittimità, è significativo di una negativa attitudine allo scontro da strada così da essere di per sé ostativo al riconoscimento dell’esimente invocata.
Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse in quanto con essa si chiariscono taluni aspetti applicativi inerenti i reati di cui agli artt. 6-bis e 6-ter della legge n. 409/1981 ossia il reato di lancio di materiale pericoloso, scavalcamento e invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive e quello di possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive.
Difatti, in tale provvedimento, citandosi giurisprudenza conforme, quanto all’illecito penale preveduto dall’art. 6-bis della legge n. 409/1981, si postula che il delitto di lancio di materiale pericoloso in occasione di manifestazioni sportive, di cui all’art. 6-bis, comma primo, della legge n. 401 del 1989, è reato di pericolo concreto, per la cui configurabilità non è richiesto che si verifichino le ulteriori conseguenze (“danno alle persone” o “ritardo rilevante dell’inizio, sospensione, interruzione o cancellazione della manifestazione sportiva”) previste dalla norma incriminatrice, che costituiscono tutte ipotesi di delitto aggravato dall’evento mentre, per quanto concerne quello contemplato dall’art. 6-ter della legge n. 409/1981, si asserisce che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall’art. 6-ter della legge n. 401 del 1989, costituisce possesso di oggetti contundenti o comunque atti ad offendere nei luoghi in cui si svolgono manifestazioni sportive, ovvero in quelli di sosta, transito ecc. dei soggetti interessati, anche quello che attiene a strumenti di uso comune, idonei ad essere utilizzati per l’offesa alla persona, e la cui detenzione risulti ingiustificata in relazione alla naturale destinazione degli oggetti stessi e alle circostanze di tempo e di luogo in cui è accertata.
Tale pronuncia, quindi, può essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba verificare la sussistenza di una tra tali ipotesi di reato.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codeste tematiche giuridiche, dunque, non può che essere positivo.
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