La vicenda
La sentenza della corte di cassazione oggetto di esame nel presente contributo trae origine da un ricorso promosso da una signora e dai suoi familiari (in particolare, il di lei marito e i loro due figli) avverso una decisione della corte d’appello di Torino che aveva in parte rigettato la richiesta di risarcimento danni avanzata dai ricorrenti per un intervento di sostituzione delle valvole mitralica ed aortica che erano state in precedenza installate sulla signora. In particolare, dette valvole erano state installate sulla paziente / attrice nel 1987 e nel 2001 una equipe composta da diversi medici aveva eseguito un primo intervento di sostituzione delle suddette valvole, intervento al quale, nei successivi tre anni, erano seguiti altri interventi chirurgici e diverse complicanze che la paziente aveva ripetutamente lamentato.
In considerazione delle suddette complicanze, quindi, la paziente ed i suoi familiari convenivano in giudizio tutti i medici della equipe sanitaria e la struttura sanitaria medesima chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in considerazione dell’impianto di una valvola inadeguata rispetto alla situazione della paziente. La domanda formulata dagli attori aveva, quindi, ad oggetto da un lato il risarcimento del danno biologico, del danno morale e di quello esistenziale subito dalla signora e dall’altro lato il risarcimento del danno morale subito dal marito e ai due figli.
Il tribunale di primo grado rigettava le domande formulate dagli attori, compensando le spese di lite tra le parti. In ragione di ciò, lettori impugnavano la sentenza innanzi alla corte d’appello di Torino, la quale accoglieva parzialmente l’appello condannava sanitaria a risarcire agli attori l’importo di euro 54.000 per danno biologico per la mancata verifica della validità delle valvole installate, compensando per un terzo le spese di lite. In particolare, il giudice di merito aveva ritenuto che la accertata difettosità delle protesi doveva essere addebitata anche alla struttura sanitaria, in considerazione del fatto che quest’ultima non aveva provato di aver posto in essere le verifiche necessarie per assicurarsi che le protesi che i medici stavano per impiantare sulla paziente fossero effettivamente valide ed in considerazione altresì del fatto che, da un parallelo giudizio penale nel quale vi erano state delle condanne per corruzione connesse all’acquisto delle valvole medesime, vi era il dubbio che l’azienda sanitaria avesse scelto dette protesi con la consapevolezza che le medesime non erano le migliori. Tuttavia il giudice di merito rigettava la richiesta di risarcimento danni della paziente per i due successivi interventi che la stessa era stata costretta a subire dopo il primo intervento necessario per sostituire le valvole difettose installate e per le diverse complicanze che si erano verificate in considerazione proprio dell’intervento di impianto nonché la richiesta risarcitoria per il danno morale asseritamente subito dai ricorrenti, in quanto non era emerso che gli stessi avessero subito una lesione ai propri diritti fondamentali.
I ricorrenti hanno così impugnato la sentenza della corte d’appello di Torino lamentando che il giudice di secondo grado avesse omesso di prendere in considerazione le valutazioni formulate dal consulente tecnico d’ufficio e conseguentemente avesse condannato i convenuti solo per i danni di derivanti dal primo intervento chirurgico necessario a sostituire le valvole difettose ma non per gli altri interventi successivi e per le complicanze che la paziente aveva avuto.
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La decisione
La cassazione ha accolto il motivo di impugnazione promosso dai ricorrenti ed ha cassato la sentenza di secondo grado della Corte di Appello di Torino, in quanto i giudici di merito non hanno correttamente applicato i principi sull’onere della prova in materia di responsabilità sanitaria.
In particolare, gli ermellini sostengono che, in considerazione del fatto che durante il giudizio di merito i ricorrenti avevano non soltanto allegato, ma altresì provato la esistenza di un inadempimento imputabile ai convenuti ed astrattamente idoneo a far ritenere che gli interventi successivi al primo subiti dalla paziente e le complicanze avute da questa ultima fossero riconducibili all’impianto della valvola difettosa, l’onere probatorio contrario, cioè idoneo a dimostrare l’interruzione del nesso di causalità tra l’inadempimento e i danni, spettava alla struttura sanitaria e ai medici. Infatti, a tal proposito, la corte di cassazione ribadisce che in materia di responsabilità medica il paziente che chiede il risarcimento dei danni ha l’onere di provare il nesso causale tra danno e la condotta attiva o omissiva dei sanitari, mentre grava su quest’ultimi l’onere di provare il verificarsi di un evento imprevedibile e inevitabile idoneo ad interrompere detta nesso causale.
Poiché nel caso di specie, secondo la cassazione, non erano state provate le cause degli interventi chirurgici successivi al primo che erano stati effettuati sulla paziente, la regolamentazione dell’onere probatorio come sopra esposta comporta che gravi su i convenuti il compito di dimostrare che detti successivi interventi sulle valvole impiantate sulla paziente e le suddette complicane erano dipesi da cause imprevedibili ed inevitabili e comunque diverse dalla difettosità della valvola medesima.
In ragione della fondatezza del suddetto motivo formulato dai ricorrenti, la Corte di Cassazione ha così accolto il ricorso promosso dalla paziente e dai suoi familiari e conseguentemente ha cassato la sentenza di secondo grado impugnata, relativamente a detto motivo, ed ha altresì rinviato la causa alla corte di appello di Torino affinché questa ultima la decida, anche in ordine alla disciplina delle spese legali, tenendo conto dei principi in materia di onere della prova affermati e ribaditi dalla Corte Suprema.
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