La Cassazione torna a pronunciarsi sul danno esistenziale, affermando che vanno risarciti tutti gli sconvolgimenti della vita subiti in seguito all’illecito, per cui compito del giudice è quello di accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore della persona si siano verificate, e provvedendo alla loro integrale riparazione.
Chiamati ad affrontare il caso di un giovane che, a causa di un grave incidente stradale cui erano conseguite lesioni gravissime (perdita dell’arto inferiore destro e dell’arto superiore sinistro), si era vista negata, sia in primo grado che in grado di appello, la richiesta di un risarcimento ampio, comprensiva altresì del «danno esistenziale», i Giudici della Suprema Corte hanno ribadito a chiare lettere il principio della integralità del risarcimento del danno, per cui nessuno degli aspetti di cui si compendia la categoria generale del danno non patrimoniale deve rimanere priva di ristoro, ove sia accertato nel caso concreto.
Con la sentenza del 30 giugno 2011, n. 14402, ricalcando un principio generale già affermatosi in materia (cfr. cd. sentenze gemelle del 2008), gli Ermellini hanno sottolineato come il danno non patrimoniale da lesione alla salute costituisca una categoria ampia e omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tener conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dal danneggiato, ma senza duplicare le poste risarcitorie attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, in modo che il danno biologico, il danno morale, quello alla vita di relazione e quello cosiddetto esistenziale siano valutati unitariamente nella voce del «danno non patrimoniale», garantendosi una «personalizzazione» del risarcimento il quale sia rapportato all’effettiva entità del danno subito.
La stessa giurisprudenza della Cassazione (sent. 12408/2011) ha di recente sottolineato come i valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano devono essere applicati su tutto il territorio nazionale, rappresentando essi un valore da ritenersi equo, ovvero in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare, come tali, in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l’entità in funzione della cd. personalizzazione del danno.
Premessa la consistenza del danno esistenziale nel pregiudizio del fare areddituale del soggetto che determina, pur senza degenerare in patologie medicalmente accertabili (danno biologico), una modifica peggiorativa della personalità da cui consegue uno sconvolgimento dell’esistenza, e in particolare delle abitudini di vita, con alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell’ambito della comune vita di relazione, viene riconosciuto il rilievo essenziale di tale profilo del danno non patrimoniale ai fini della determinazione dell’ammontare complessivo del risarcimento dovuto dal danneggiante. In tale prospettiva, la Cassazione in commento, pur riconoscendo che i parametri elaborati dal Tribunale di Milano costituiscono un valido e necessario criterio di riferimento ai fini della liquidazione omnicomprensiva del danno non patrimoniale, tuttavia afferma la necessità che il giudice di merito verifichi se detti parametri tengano conto anche dell’alterazione e del cambiamento della personalità del soggetto che si estrinsechi in uno sconvolgimento dell’esistenza. In caso contrario, il giudice deve procedere alla «personalizzazione» del danno, riconsiderando i parametri recati dalle tabelle di riferimento in ragione anche del profilo relazionale proprio del danno esistenziale, al fine di garantire l’integralità del ristoro spettante al danneggiato. (Anna Costagliola)
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