- L’articolo 41-bis comma 2-quater lettera e) della legge numero 354 del 26 luglio 1975
- La sentenza numero 18 del 24 gennaio 2022: il fatto
- La sentenza numero 18 del 24 gennaio 2022: il diritto
1. L’articolo 41-bis comma 2-quater lettera e) della legge numero 354 del 26 luglio 1975
L’articolo 41-bis comma 2-quater lettera e) della legge numero 354 del 26 luglio 1975 stabilisce che i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione devono essere ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto e custoditi da reparti specializzati della polizia penitenziaria.
La sospensione delle regole di trattamento e degli istituti di cui al comma 2 prevede la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia.
La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 18 del 24 gennaio 2022, accogliendo la questione di legittimità sollevata dalla Corte di Cassazione, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 41-bis, comma 2-quater, lettera e), della legge numero 354 del 26 luglio 1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non esclude dalla sottoposizione a visto di censura la corrispondenza intrattenuta con i difensori.
2. La sentenza numero 18 del 24 gennaio 2022: il fatto
Il Presidente del Tribunale ordinario di Locri, con decreto del 12 maggio 2020, aveva disposto il trattenimento di un telegramma indirizzato dal detenuto al proprio difensore di fiducia. Il Tribunale di Locri, con ordinanza del 9 luglio 2020, aveva successivamente rigettato, il reclamo del detenuto avverso tale decreto, ritenendo la sussistenza di un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica, connesso all’ambiguità del contenuto della missiva, composta da una serie di periodi non legati da un filo logico in grado di rendere coerente e comprensibile il testo nella sua interezza. Avverso l’ordinanza del Tribunale il detenuto [1] aveva quindi proposto il ricorso innanzi alla Corte di Cassazione, lamentando l’illegittimità della motivazione con cui il Tribunale aveva confermato il provvedimento di trattenimento.
La I Sezione della Corte di Cassazione Penale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera e), della legge n. 354 del 26 luglio 1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), in riferimento agli artt. 3, 15, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), nella parte in cui prevede, per i detenuti sottoposti al regime di cui al comma 2 e seguenti dello stesso art. 41-bis ordin. Penit., la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza, senza escludere quella indirizzata ai difensori.
La Corte di Cassazione osserva che il controllo sulla corrispondenza dei detenuti e degli internati è disciplinato dall’art. 18-ter ordin. Penit., il quale esclude, al comma 2, ogni forma di controllo e di limitazione della corrispondenza indirizzata ai soggetti indicati dall’art. 103, comma 5, del codice di procedura penale, tra cui i difensori.
Tale disciplina generale sarebbe, peraltro, derogata dall’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera e), ordin. Penit., che prevede la sottoposizione a visto di censura della corrispondenza dei detenuti e internati sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ordin. Penit., facendo eccezione soltanto per quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia.
Al di fuori di queste tassative ipotesi, la disposizione censurata [3] consentirebbe dunque all’autorità preposta non solo di prendere visione della generalità della corrispondenza del detenuto o dell’internato, compresa quella con il proprio difensore; ma anche di bloccarne l’inoltro, ovvero di non procedere alla sua consegna al detenuto o all’internato.
Così interpretata, la disposizione di cui all’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera e), ordin. Penit. Risulterebbe in contrasto non solo con la libertà e con la segretezza della corrispondenza, diritti dichiarati inviolabili dall’art. 15 Cost. e che spettano ad ogni individuo in quanto tale e, quindi, anche ai detenuti, ma anche e soprattutto con il diritto alla difesa e con quello ad un equo processo, tutelati a livello costituzionale e sovranazionale [4].
3. La sentenza numero 18 del 24 gennaio 2022: il diritto
La Corte Costituzionale ha riconosciuto che la garanzia costituzionale del diritto di difesa comprende il diritto, ad esso strumentale, di conferire con il difensore [5], allo scopo di predisporre le difese e decidere le strategie difensive, ed ancor prima allo scopo di poter conoscere i propri diritti e le possibilità offerte dall’ordinamento per tutelarli e per evitare o attenuare le conseguenze pregiudizievoli a cui si è esposti [6] ed ha altresì evidenziato come tale diritto assuma una valenza tutta particolare nei confronti delle persone ristrette in ambito penitenziario, le quali, in quanto fruenti solo di limitate possibilità di contatti interpersonali diretti con l’esterno, vengono a trovarsi in una posizione di intrinseca debolezza rispetto all’esercizio delle facoltà difensive [7].
Quanto al contesto europeo, risalente è l’affermazione da parte della Corte EDU secondo la quale l’esercizio del diritto alla riservatezza delle proprie comunicazioni, di per sé tutelato dall’art. 8 CEDU [8], è funzionale anche a esercitare il diritto alla difesa tecnica sancito dall’art. 6, paragrafo 3, lettera c), CEDU in capo ad ogni persona accusata di un reato; diritto il cui esercizio implica la possibilità di comunicare liberamente con il proprio avvocato [9].
La procedura di visto comporta, oltre a un rallentamento della consegna della corrispondenza, il venir meno della sua segretezza; e può determinare, altresì, l’impedimento radicale della comunicazione, sulla base del giudizio discrezionale dell’autorità che esercita il controllo.
La giurisprudenza della Corte Costituzionale considera che il diritto alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni con il proprio difensore non sia assoluto, e sia soggetto a possibili bilanciamenti con altri interessi costituzionalmente garantiti, entro i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, e in ogni caso a condizione che non risulti compromessa l’effettività del diritto alla difesa [10]l.
Analogamente, la Corte EDU considera in linea di principio ammissibili limitazioni al diritto in questione, purché fondate su un’idonea base legale, e purché proporzionate rispetto ai fini legittimi perseguiti dal legislatore [11].
Rispetto poi alla generalità delle limitazioni dei diritti fondamentali imposte ai detenuti o internati sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis ordin. Penit., la giurisprudenza della Corte Costituzionale è costante nel ritenere che tali limitazioni siano costituzionalmente legittime soltanto in quanto appaiano, da un lato, funzionali rispetto alla peculiare finalità del regime speciale in parola, che mira non già ad assicurare un surplus di punizione per gli autori di reati di speciale gravità, bensì esclusivamente a contenere la persistente pericolosità di singoli detenuti, impedendo i collegamenti dei detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà [12]; e, dall’altro, non risultino sproporzionate, in quanto eccessive rispetto a tale scopo legittimo, e irragionevolmente gravose rispetto ai diritti fondamentali di cui restano titolari anche le persone sottoposte al regime differenziato di cui all’art. 41-bis ordin. Penit., ovvero siano tali da vanificare del tutto la funzione rieducativa della pena; o ancora si risolvano, addirittura, in trattamenti contrari al senso di umanità [13].
È dunque sulla base di tali principi che deve essere vagliata la legittimità costituzionale della limitazione del diritto di comunicare liberamente, e in maniera confidenziale, con il proprio difensore, desumibile dalla disposizione censurata in relazione ai detenuti e internati in regime differenziato di cui all’art. 41-bis ordin. Penit.
Da ciò deriva l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata per contrasto con l’art. 24 Cost., nella parte in cui non esclude dalla sottoposizione a visto di censura la corrispondenza intrattenuta con i difensori.
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Note bibliografiche
[1] L’imputato è condannato in primo grado alla pena di venticinque anni di reclusione perché ritenuto esponente di vertice di un’associazione di stampo mafioso, ed è attualmente detenuto in regime differenziato di cui all’art. 41-bis ordin. Penit..
[2] È qualificato come principio supremo dell’ordinamento costituzionale (sentenze numero 238 del 2014, 232 del 1989 e 18 del 1982).
[3] Come ritenuto dalla giurisprudenza, si atteggerebbe a lex specialis rispetto all’art. 18-ter ordin. Penit. (Cass. Pen., Sez. I, sent. N. 51187 del 17 maggio 2018, e sent. N. 48365 del 21 novembre 2012).
[4] Ad avviso della I Sezione, è irragionevole equiparare il difensore agli interlocutori non qualificati del detenuto e ai familiari: la disciplina tratta in modo analogo situazioni differenti, in violazione del principio di eguaglianza, comprimendo, altresì, il diritto di difesa ed è, inoltre, irragionevole se confrontata con quella dettata per i colloqui visivi e telefonici con i difensori, sottratti, per espressa previsione dell’art. 41-bis ordin. Penit., al controllo auditivo e alla videoregistrazione, che valgono invece per i colloqui con i familiari (la censura sulle missive indirizzate al difensore, e il loro eventuale trattenimento, penalizzano il diritto di difesa, anche solo attraverso l’irrimediabile ritardo che la sottoposizione a censura imprime all’inoltro e alla consegna della missiva, e quello ad un equo processo, senza neutralizzare l’astratto pericolo che un ipotetico scambio di direttive e informazioni per mezzo del difensore avvenga con altro mezzo.
[5] Corte Costituzionale, sentenza numero 216 del 1996.
[6] Corte Costituzionale, sentenza numero 212 del 1997.
[7] Corte Costituzionale, sentenza numero 143 del 2013.
[8] Corte EDU, sentenze 25 marzo 1992, Campbell contro Regno unito, paragrafo 54, nonché 24 maggio 2018, Laurent contro Francia, paragrafo 49.
[9] Corte EDU, sentenze 20 giugno 1988, Schönenberger e Durmaz contro Svizzera, paragrafo 29 e 21 febbraio 1975, Golder contro Regno Unito, paragrafo 45.
[10] Corte Costituzionale, sentenza numero 143 del 2013, punto 6 del Considerato in diritto, e ulteriori pronunce ivi richiamate, riferite anche ad aspetti differenti del diritto di difesa.
[11] Corte EDU, sentenza Ekinci e Akalin contro Turchia, e Campbell, paragrafo 34.
[12] Corte Costituzionale, sentenza numero 97 del 2020, punto 6 del Considerato in diritto.
[13] Corte Costituzionale, così, sentenza numero 97 del 2020, nonché sentenze numero 197 del 2021, numero 186 del 2018, numero 376 del 1997 e numero 351 del 1996.
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