(A cura di Laura Nibi)
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Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro e di sostenere la diffusione delle nuove tipologie contrattuali, il decreto di riforma del mercato del lavoro[1] ha introdotto una procedura di certificazione dei rapporti di lavoro.
In realtà, in passato sono state tentate sperimentazioni della certificazione[2]: basti pensare al progetto di legge per uno “Statuto dei Lavoratori” elaborato nel 1998 da Marco Biagi e Michele Tiraboschi, [3]
al d.d.l. n. 5651 sui c.d. lavori atipici ed infine al d.d.l. n.2049 (c.d. d.d.l. Smuraglia).[4]
Il meccanismo delle certificazioni, in linea con quanto affermato nel Libro Bianco e nella Relazione alla Legge n.30/2003, si ispira dunque ad un tentativo di apertura alle reali dinamiche del mercato del lavoro; circostanza questa che dovrebbe consentire di intercettare ampie fasce di lavoro sommerso e irregolare che verrebbero canalizzate verso schemi contrattuali “personalizzati” in funzione delle concrete esigenze delle parti contraenti e, dunque, maggiormente in grado di interpretarne e regolarne in modo flessibile forme e manifestazioni.
La procedura di certificazione, chiaramente, riguarda quei rapporti di lavoro atipici introdotti dal legislatore con il D.lgs. 276/2003 ovvero:
contratti di lavoro intermittente;
contratti di lavoro ripartito;
contratti di lavoro a tempo parziale;
contratti di lavoro a progetto;
contratti di associazione in partecipazione di cui agli articoli 2549- 2554 del Codice Civile.
Inoltre, l’articolo 84 ammette alla procedura di certificazione anche il contratto di appalto, anche ai fini della sua concreta distinzione dalla somministrazione di lavoro.[5]
La procedura di certificazione ha carattere volontario, infatti l’art. 86, comma 12 del D.lgs. 276/03, afferma che trascorsi diciotto mesi, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, sentite le associazioni sindacali, prospetta al Parlamento la possibilità di prorogare nel tempo la vigenza delle norme introdotte.
Gli organi abilitati alla certificazione sono individuati nelle “Commissioni di certificazione” che dovranno essere istituite presso:
gli enti bilaterali costituiti nell’ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell’ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale;
le Direzioni Provinciali del Lavoro e le Province;
le Università pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie.
Le Università e le Fondazioni per essere abilitate alla certificazione dovranno iscriversi in un apposito albo da istituirsi presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il requisito per la registrazione ed il suo mantenimento è rappresentato dalla presentazione, all’atto dell’iscrizione ed ogni sei mesi, di studi ed elaborati contenenti indici e criteri giurisprudenziali di qualificazione dei contratti di lavoro con riferimento alle tipologie indicate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Le parti che intendono attivare la procedura di certificazione presso le Direzioni Provinciali del Lavoro o le Province, dovranno rivolgersi alla commissione nella cui circoscrizione si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale sarà addetto il lavoratore. Nel caso in cui le parti intendano presentare l’istanza di avvio della procedura di certificazione alle commissioni istituite a iniziativa degli enti bilaterali, esse devono rivolgersi alle commissioni costituite dalle rispettive associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro.
Nessun vincolo territoriale è stabilito con riferimento alle Università.
La procedura di certificazione dunque è volontaria e consegue obbligatoriamente ad un’ istanza che deve essere sottoscritta da entrambe le parti. Le procedure di certificazione sono determinate all’atto di costituzione delle commissioni di certificazione e si svolgono del rispetto dei c.d. “Codici di buone pratiche” i quali dovranno essere adottati entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto al fine di individuare un nucleo di clausole indisponibili, da inserire in sede di certificazione dei rapporti, con riferimento ai diritti ed ai trattamenti economici e normativi.
Tali codici dovranno recepire, ove esistano, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
L’inizio del procedimento di certificazione deve essere comunicato alla Direzione provinciale del Lavoro che provvede a inoltrare la comunicazione alle autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti. Le autorità pubbliche possono presentare osservazioni alle commissioni di certificazione.
Il procedimento di certificazione deve concludersi entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della istanza; l’atto di certificazione deve essere motivato, contenere il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere e un esplicito riferimento agli effetti, civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti hanno richiesto la certificazione. I contratti di lavoro certificati, e la relativa pratica di documentazione, devono essere conservati presso le sedi di certificazione, per un periodo di almeno cinque anni a far data dalla loro scadenza.[6]
La certificazione giuridica ha effetto, anche verso terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili; le parti o i terzi nella cui sfera giuridica l’atto ha prodotto i suoi effetti, possono infatti proporre ricorso avverso l’atto di certificazione al tribunale, in funzione di giudice del lavoro, competente per territorio.[7]
Le motivazioni alla base del ricorso devono essere ricondotte alla erronea qualificazione del contratto o alla difformità tra il programma negoziale certificato e la successiva attuazione anche per vizi del consenso. Nell’ipotesi di un erronea qualificazione del contratto, l’accertamento giurisdizionale ha efficacia fin dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale, se, invece ad essere accertata è la difformità tra il programma negoziale e quello effettivamente realizzato, la sentenza ha effetto dal momento in cui è iniziata la difformità stessa.[8]
Chiunque presenti ricorso giurisdizionale contro la certificazione deve previamente rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione che ha adottato l’atto di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 410 del codice di procedura civile.[9]
Alle commissioni di certificazione, infine, vengono affidate funzioni di consulenza e assistenza per la stipula del contratto di lavoro, del programma negoziale, per le modifiche al programma stesso anche in relazione alla disponibilità dei diritti ed alla esatta qualificazione del rapporto di lavoro.
Il legislatore delegato ha visto nella certificazione un meccanismo per incentivare il ricorso alle nuove forme di lavoro garantendo alle parti una maggiore certezza circa l’esatta qualificazione dei rapporti.
Alcuni autori, invece, hanno affermato la “limitata incisività” dell’istituto della certificazione proprio in ordine alle controversie circa la qualificazione del rapporto di lavoro[10] sostenendo che la certificazione opera nel momento di costituzione del rapporto, ma che solo in seguito, ovvero nel corso del suo svolgimento, sarà possibile verificare se il contenuto corrisponde a realtà.
In ogni caso un meccanismo di prevenzione del conflitto in sede giurisdizionale è strettamente legato alla tecnica di qualificazione dei nuovi rapporti di lavoro: in questo senso al di là del D.lgs. 276/03, credo sia opportuno, per esprimere una valutazione, attendere le circolari interpretative e i successivi decreti che il Ministero del Lavoro sarà chiamato ad emanare anche per verificare l’impronta che tutti gli operatori sociali coinvolti, in primis le stesse associazioni sindacali vorranno dare alle nuove forme contrattuale introdotte.
Note:
[1] D.Lgs.10 settembre 2003, n. 276 (S.O: n. 159/L alla G.U. n. 235 del 9 ottobre 2003),Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. In particolare gli artt. 75-81 sono dedicati alla certificazione dei rapporti di lavoro.
[2] Per una ricostruzione storica dell’evoluzione legislativa dell’ istituto, v. L.De Angelis, La delega in materia di certificazione dei rapporti di lavoro, ne Il diritto del lavoro dal Libro Bianco al Disegno di legge delega 2002, Ipsoa 2002; L. Nogler, Il nuovo istituto della certificazione dei contratti di lavoro, in Massimario della Giurisprudenza del lavoro, 2003, 3.
[3] L’ipotesi per la predisposizione di uno Statuto dei lavori è stata elaborata nel 1997 da Marco Biagi e Michele Tiraboschi in sede di Ministero del Lavoro ( in Quad.dir.lav.rel.ind., 1998, 21, 347 e ss), è stata poi formalizzata in un progetto di legge il 25 marzo 1998.
[4] Il d.d.l. n.2049 è stato comunicato alla Presidenza del Senato il 29 gennaio 1997 (in Quad.dir.lav.rel.ind., 1998, 21, 285 ss.)
[5] Ai sensi dell’art. 83 del D.lgs. 276/03, la procedura di certificazione è estesa anche all’atto di deposito del regolamento interno delle cooperative riguardanti la tipologia dei rapporti attuati o da attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori, ai sensi dell’art.6 della legge 3 aprile 2001, n.142. La procedura di certificazione attiene al contenuto del regolamento deposito.
[6]Copia del contratto certificato può essere richiesta dal servizio competente di cui all’articolo 4-bis, comma 5, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, oppure dalle altre autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti.
[7] La competenza per territorio si ricava, in base ai criteri invidiati dall’art 413 c.p.c., dal luogo dove è sorto il rapporto di lavoro o si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale risulta addetto il lavoratore o dove prestava la propria opera al momento della fine del rapporto.
[8] Il comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia davanti alla commissione di certificazione potrà essere valutato dal giudice del lavoro, ai fini della liquidazione delle spese ( si veda art. 92 e 96 del c.p.c.).
[9] Dinanzi al TAR nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, può essere presentato ricorso contro l’atto certificatorio per violazione del procedimento o per eccesso di potere.
[10]L. Nogler, La certificazione dei contratti di lavoro, in GI, 2003, 10.
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