La certificazione di titolo esecutivo europeo ai sensi del regolamento n. 1215/2012: oggetto, limiti e natura del procedimento

Redazione 23/04/20

di Maria Laura Guarnieri*

* Docente a contratto di Diritto dell’arbitrato interno ed internazionale presso l’Università Magna Græcia di Catanzaro

Sommario

1. Premessa

2. L’attestato di t.e.e. rilasciato ai sensi del reg. n. 805/2004

3. Il procedimento di certificazione nell’ambito del reg. n. 1215/2012: l’oggetto

4. Il procedimento di certificazione nell’ambito del reg. n. 1215/2012: i limiti

5. Il procedimento di certificazione nell’ambito del reg. n. 1215/2012: la natura

6. Riflessioni conclusive: sistemi di certificazione a confronto

1. Premessa

Con il reg. n. 1215/2012 le Istituzioni europee giungono alla soppressione dell’exequatur tradizionalmente inteso[1]. Il Regolamento trasferisce il controllo sui titoli destinati all’esecuzione oltre confine dallo Stato ad quem allo Stato d’origine, concentrando ogni valutazione sull’attitudine transfrontaliera del credito nel paese in cui il titolo si è formato. È qui che il creditore consegue una certificazione di esecutività valida su tutto il territorio europeo, che lo abilita all’esecuzione in qualunque ordinamento.

Il meccanismo comporta la possibilità di procedere all’esecuzione forzata rivolgendosi direttamente alle autorità competenti dello Stato richiesto, «senza che sia necessaria una dichiarazione di esecutività»[2]. Il titolo certificato viene di fatto equiparato ad un titolo nazionale ed «è eseguito alle stesse condizioni di una decisione giudiziaria pronunciata nello Stato membro di esecuzione»[3]. La parte che invoca l’esecuzione di una decisione certificata quale titolo esecutivo europeo agisce con i medesimi poteri e le medesime facoltà delle parti domiciliate o residenti nello Stato ricevente, senza che possa rilevare la qualità di straniero o la mancanza di un recapito postale o di un rappresentante nei luoghi dell’esecuzione[4].

Sarà interessante di seguito esaminare l’iter processuale che conduce al rilascio del certificato europeo, avendo cura di precisare l’oggetto dell’accertamento condotto dal giudice, i limiti e la natura del procedimento di certificazione.

[1] Il regolamento è entrato in vigore il 12 dicembre 2012 e trova applicazione, a norma dell’art. 66, ai titoli esecutivi formati successivamente alla data del 15 gennaio 2015. L’atto legislativo, contente la refusione del reg. n. 44/2001, concerne la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Per un commento della riforma in tutti i suoi aspetti si v. F. Salerno, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel Regolamento (UE) n. 1215/2012 (Rifusione), Vicenza, 2015; A. Malatesta, (a cura di), La riforma del regolamento Bruxelles I, Milano, 2016, Tra gli autori che si sono occupati degli aspetti relativi alla esecuzione dei titoli esecutivi si v. M. De Cristofaro, The abolition of exequatur proceedings: speeding up the free movement of judgement while preserving the rights of the defense, in F. Pocar, I. Viarengo, F. C. Villata (a cura di), Recasting Brussels I, Padova, 2012, p. 353 e ss. ; A. Leandro, Prime osservazioni sul regolamento (UE) n. 1215/2012 (“Bruxelles I Bis), in Giusto proc. civ., 2013, p. 583 e ss.; E. D’Alessandro, Il titolo esecutivo europeo nel sistema del regolamento n. 1215/2012, in Riv. dir. proc., 2013, p. 1044; M. Farina, Per una prima lettura del regolamento “Bruxelles I bis”: il nuovo regime in tema di esecutività delle sentenze straniere, in http://aldricus.com/2013/01/13/farina-exequatur/; C. Silvestri, Recasting Bruxelles I: il nuovo regolamento n. 1215 del 2012, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 2, p. 677 e ss.

[2] cfr. art. 40, reg. n. 1215/2012.

[3] cfr. art. 41, par. 1, reg. n. 1215/2012.

[4] cfr. art. 41, par. 3, reg. n. 1215/2012.

2. L’attestato di t.e.e. rilasciato ai sensi del reg. n. 805/2004

Non si può apprezzare adeguatamente il sistema di certificazione introdotto dal reg. n. 1215/2012 se non analizzando il prototipo dell’attestato di esecutività europea. Si tratta del titolo esecutivo europeo per crediti non contestati introdotto con reg. n. 805/2004[5], il quale condivide con il reg. Bruxelles I bis il meccanismo della certificazione, ma presuppone che il credito incorporato nel titolo non sia contestato dal debitore. Senza la pretesa di entrare nel dettaglio della normativa contenuta nel reg. n. 805/2004, l’indagine sarà centrata sul conferimento della esecutività europea e sui controlli svolti dal giudice chiamato a certificare i titoli nazionali[6].

Quando il creditore dispone di un titolo fondato su un credito pecuniario non contestato il conferimento della efficacia europea avviene all’esito di una procedura di certificazione in cui il giudice accerta che il provvedimento sia idoneo a fondare l’esecuzione transfrontaliera.

Se il titolo da certificare è rappresentato da un atto pubblico o da una transazione giudiziaria il controllo sul provvedimento ha carattere meramente formale: l’autorità valuta la qualità del credito incorporato nel titolo e l’attitudine del titolo all’espropriazione. Sotto il primo profilo verifica che il credito sia riconducibile alla materia civile e commerciale, che sia certo, liquido ed esigibile e che abbia natura pecuniaria; sotto il secondo profilo accerta che l’atto pubblico o la transazione siano esecutivi nel territorio dello Stato. L’espresso riconoscimento della pretesa, documentato nell’atto pubblico o nella transazione, rende superflua ogni ulteriore indagine sull’atteggiamento non contestativo del debitore.

La certificazione è rilasciata su istanza del creditore in conformità al modulo contenuto nell’allegato II (se il credito ha formato oggetto di una transazione giudiziaria)[7], ovvero in conformità al modulo contenuto nell’allegato III (se il credito è riconosciuto espressamente all’interno di un atto pubblico). Dal momento dell’emissione il certificato accompagna il titolo sottostante fino al pignoramento, senza che sia possibile opporsi alla sua esecuzione, né nello Stato d’origine, né nello Stato richiesto. Il titolo esecutivo europeo fondato su un atto pubblico o su una transazione giudiziaria, in altri termini, presenta un’efficacia transfrontaliera stabile ed incondizionata che non può essere scalfita in alcun modo dal debitore.

Più articolata è la certificazione delle decisioni. Si tratta, infatti, di titoli esecutivi formati all’interno di procedure giudiziali che si conformano a valori nazionali, non sempre aderenti ai parametri processuali dello Stato di esecuzione. D’altra parte, riferendosi a crediti non contestati, tali provvedimenti sono spesso pronunciati senza che il debitore si sia costituito in giudizio.

Rispetto ad essi diventa fondamentale accertare che l’inerzia del convenuto sia frutto di una scelta ponderata e consapevole e non la conseguenza di una violazione dei diritti di difesa[8].

La certificazione delle decisioni giudiziarie si rivela, perciò, un filtro più penetrante ed invasivo. Il procedimento ha luogo su istanza del creditore dinanzi al giudice che ha emesso la decisione[9], il quale non si limita ad un vaglio esteriore sul credito o sulla veste formale del titolo, ma si addentra fino a scrutarne il procedimento di formazione.

A norma degli artt. 12 e ss. egli procede a verificare che il debitore abbia avuto conoscenza in tempo utile ed in modo tale da potersi difendere dell’esistenza dell’azione giudiziaria promossa nei suoi confronti[10], degli adempimenti necessari per poter partecipare attivamente al procedimento, delle conseguenze della sua mancata contestazione[11].

Qualora riscontri una violazione del contraddittorio o una carenza delle informazioni difensive nell’atto introduttivo, accerta a norma degli artt. 18 e 19 se tali nullità siano state sanate[12] e se il debitore sia stato messo in condizione di contestare tali vizi attraverso un riesame della decisione[13].

Infine, a norma dell’art. 6, verifica che la decisione da certificare sia stata pronunciata nel rispetto delle norme sulla competenza giurisdizionale e che sia munita di esecutività sul piano interno[14].

Se la decisione supera il triplice vaglio giudiziale l’autorità competente emette la certificazione di titolo esecutivo europeo sulla base dell’allegato I[15].

A differenza di transazioni e atti pubblici, però, la decisione certificata non gode di una efficacia esecutiva stabile ed incondizionata. Il debitore, infatti, conserva la possibilità di contestare il titolo nello Stato d’origine, nell’ottica di renderlo inidoneo a fondare l’esecuzione forzata nello Stato richiesto.

La reazione del debitore opera su un duplice piano, quello del certificato e quello della decisione.

Sul piano del certificato egli ha a disposizione i rimedi della rettifica e della revoca (art. 10), attivabili per opporsi alla certificazione rilasciata per errore o in assenza dei requisiti richiesti dal Regolamento.

Sul piano della decisione può avvalersi dei mezzi di impugnazione previsti dalla lex fori per provocare la caducazione del provvedimento sotteso al certificato. Inoltre, qualora il sistema processuale dello Stato d’origine lo preveda, può ottenere dal giudice dell’impugnazione la sospensione della efficacia esecutiva della decisione ed impedire che la stessa acquisti efficacia esecutiva europea. Viceversa, qualora la decisione impugnata sia stata già certificata, una volta ottenuta l’inibitoria in sede di gravame, può richiedere al giudice d’origine un attestato di non esecutività a norma dell’art. 6, par. 2, reg. n. 805/2004, ed inibire al creditore il compimento di atti esecutivi nello Stato richiesto.

Quando nella legislazione processuale dello Stato d’origine manchi un mezzo d’impugnazione, il debitore può avvalersi del c.d. riesame, rimedio coniato dal reg. n. 805/2004 per consentire alla parte contro cui è chiesta l’esecuzione di far valere le violazioni più gravi del contraddittorio che hanno inficiato il procedimento di formazione della decisione (art. 19). L’attivazione del riesame, tuttavia, non impedisce al titolo di acquistare efficacia paneuropea, ma il suo accoglimento priva il provvedimento certificato di ogni attitudine esecutiva, anche transfrontaliera, con l’effetto provocare la paralisi dell’espropriazione eventualmente intrapresa.

[5] Il Regolamento è pubblicato in G.U.U.E. L 143/15 del 30 aprile 2004. Sul tema tra gli autori italiani si v. A. Carratta, Titolo esecutivo europeo, I) Diritto processuale civile, in Enc. Dir., 2006, p. 1 e ss.; M. De Cristofaro, La crisi del monopolio statale dell’imperium all’esordio del titolo esecutivo europeo, in Int’L lis, 2004, p. 141 e ss.; M. Farina, Il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, in NLCC, 2005, 1-2, p. 3 e ss.; L. Fumagalli, Il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati nel regolamento comunitario n. 805/2004 , in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2006, 1, p. 23 e ss.; A. Lupoi, Dei crediti non contestati e procedimenti di ingiunzione: le ultime tappe dell’armonizzazione processuale in Europa, in www.judicium.it; L. D’Avout, La circulation automatique des titres exécutoires imposée par le règlement 805/2004 du 21 avril 2004, in Rev. crit. DIP, janvier-mars 2006, p. 1 e ss.

[6] Sul rilascio del certificato di t.e.e. si rimanda al contributo più dettagliato di M. Farina, Rilascio e revoca del certificato di titolo esecutivo europeo ed esecuzione forzata in Italia delle decisioni secondo il reg. n. 805/2004, in L’aula civile, 11/2019.

[7] Competente a rilasciare il certificato di titolo esecutivo europeo che accompagna una transazione giudiziaria è, a norma dell’art. 24, par. 1, reg. n. 805/2004, il giudice che ha approvato la transazione, ovvero quello dinanzi al quale la transazione si è conclusa.

[8] cfr. considerando n. 12, reg. n. 805/2004.

[9] cfr. art. 6, par. 1, reg. n. 805/2004.

[10] Tale controllo viene eseguito sulle modalità di notificazione dell’atto introduttivo che devono essere conformi agli standard minimi fissati dagli artt. 13, 14, 15, del reg. n. 805/2004. La notificazione dell’atto introduttivo, in altri termini, deve essere avvenuta con modalità caratterizzate a) dall’assoluta certezza che il documento notificato abbia raggiunto il destinatario, e b) dalla presenza di una prova scritta del fatto che il debitore ha ricevuto personalmente l’atto (o che si è rifiutato di riceverlo). In alternativa, la notificazione deve essere stata eseguita per mezzo di sistemi che pur non garantendo l’assoluta certezza della ricezione dell’atto, fanno apparire verosimile che il destinatario ne sia venuto a conoscenza.

[11] Tale controllo viene eseguito sul contenuto informativo dell’atto introduttivo che deve essere conforme agli standard descritti negli artt. 16 e 17, reg. n. 805/2004. L. Fumagalli, op. cit., p. 36, parla al riguardo di contraddittorio informato.

[12] La possibilità di una sanatoria viene verificata sulla base delle indicazioni contenute nell’art. 18, reg. n. 805/2004. Al primo paragrafo dell’art. 18 si prevede che la notificazione della decisione in una delle forme di cui agli artt. 13 e 14 non seguita dalla tempestiva impugnazione da parte del debitore, sana la violazione delle garanzie difensive dovuta ad inosservanza delle norme minime di cui agli artt. 13-17. Un secondo tipo di sanatoria è previsto dal secondo paragrafo dell’art. 18 per i soli vizi attinenti alla notificazione dell’atto introduttivo, dovuti all’inosservanza degli artt. 13 e 14. In questo caso la decisione potrà essere certificata come t.e.e. se il comportamento del debitore nel corso del procedimento giudiziario dimostra che questi ha ricevuto il documento da notificare personalmente e in tempo utile per potersi difendere. Un caso di sanatoria a norma dell’art. 18 è stato affrontato in Italia dal Giudice di Pace di Bari, con sentenza del 14 novembre 2008, n. 7728. La fattispecie aveva ad oggetto la notifica fuori termine di un decreto ingiuntivo certificato quale t.e.e., sanata dalla costituzione in giudizio dell’ingiunto, il quale con istanza proposta ai sensi dell’art. 10, reg. n. 805/2004, chiedeva la revoca del certificato e faceva desumere dal suo atteggiamento contestativo l’avvenuta conoscenza del provvedimento pronunciato a suo carico. Più di recente la Corte di Cassazione, con sentenza n. 10543 del 22 maggio 2015, in Giust. Civ. Mass., 2015, ha ritenuto valido il certificato di t.e.e. intervenuto in relazione ad un decreto ingiuntivo italiano, notificato a mezzo posta ad un debitore di altro Stato membro, divenuto irrevocabile per inammissibilità dell’opposizione ex art. 648 c.p.c.

[13] Ai sensi dell’art. 19, reg. n. 805/2004, si tratta dei casi in cui la domanda giudiziale, ancorchè ritualmente notificata secondo una delle modalità di cui all’art. 14, ovvero senza prova di effettiva conoscenza dell’atto da parte del debitore, per ragioni a lui non imputabili non sia pervenuta in tempo utile da consentirgli di predisporre una valida difesa(art. 19, lett. a), oil debitore non abbia potuto contestare il credito per situazioni di forza maggiore o di circostanze eccezionali da lui indipendenti (art. 19, lett. b), nonostante abbia avuto tempestiva conoscenza dell’azione. In queste ipotesi la decisione può essere certificata a condizione che la legislazione dello Stato d’origine metta a disposizione del debitore uno strumento impugnatorio idoneo al riesame della decisione. Sul punto la Corte di Giustizia UE, sentenza n. 300 del 17 dicembre 2012, in Diritto & Giustizia, 2015, 18 dicembre, precisa che l’art. 19 deve essere interpretato nel senso che esso non comporta l’obbligo degli Stati di prevedere nel diritto interno una procedura di riesame.

[14] Ai fini della certificazione non è necessario il passaggio in giudicato, ma è sufficiente che la decisione sia esecutiva nello Stato d’origine. Qualora la decisione non sia più esecutiva o la sua esecutività sia sospesa o limitata, viene rilasciato un certificato comprovante la non esecutività a norma dell’art. 6, par. 2, reg. n. 805/2004. Il certificato di non esecutività nel nostro ordinamento potrebbe essere impiegato dal debitore per paralizzare un’espropriazione intrapresa nei suoi confronti sulla base di un titolo che ha successivamente perso l’attitudine transfrontaliera. Si pensi al caso in cui siano stati compiuti atti espropriativi sulla base di una decisione (certificata come t.e.e.) che sia stata riformata o sospesa dal giudice dell’impugnazione nello Stato d’origine: in questa ipotesi il debitore, munito del certificato di non esecutività, potrà fare opposizione all’esecuzione a norma dell’art. 615, co. 2 c.p.c. ed ottenere dal giudice dell’esecuzione la sospensione del pignoramento a norma dell’art. 624 c.p.c.

[15] Il Italia il certificato dovrebbe essere emesso, come prospettato da qualche autore, all’esito di un iter scevro da formalità particolari, che si svolge in camera di consiglio ed in assenza di contraddittorio con il debitore. In questi termini A. Carratta, Titolo esecutivo europeo, cit., 10. Secondo l’autore il rilascio del certificato avrebbe natura di volontaria giurisdizione e dovrebbe essere emesso in camera in camera di consiglio a norma degli artt. 737 c.p.c. e ss.

3. Il procedimento di certificazione nell’ambito del reg. n. 1215/2012: l’oggetto

p>

Il conferimento di esecutività alle transazioni giudiziarie e agli pubblici è disciplinato dagli artt. 58 e 59 in modo non dissimile dalla certificazione dei medesimi atti nell’ambito del reg. n. 805/2004. A norma dell’art. 60, più precisamente, l’autorità competente dello Stato membro d’origine, su istanza del creditore, dopo aver accertato l’autenticità e l’esecutività del provvedimento sulla base del diritto interno, rilascia un attestato utilizzando il modulo di cui all’allegato II, riportando nel documento una sintesi dell’obbligazione esecutiva registrata nell’atto pubblico[16], o una sintesi di quanto concordato tra le parti nella transazione giudiziaria[17].

Negli stessi termini acquistano esecutività transfrontaliera anche le decisioni. A norma dell’art. 53, l’autorità che le ha pronunciate, su istanza del creditore, ne attesta la esecutività europea avvalendosi del modulo di cui all’allegato I del Regolamento, sul presupposto che il provvedimento sia esecutivo nel territorio dello Stato. Nel formulario il giudice riporta un estratto della decisione[18] e rende informazioni sulle spese e sugli interessi (art. 42, par. 1, reg. n. 1215/2012).

In questa sede il giudice, senza spingersi fino a vagliare il procedimento di formazione del titolo, si limita a verificare le condizioni di applicabilità del regolamento alla decisione da certificare. Si tratterebbe di un’indagine meramente formale, non dissimile dall’accertamento che conduce il giudice dell’exequatur ai sensi del regolamento n. 44/2001 durante la fase di autorizzazione, allorquando verifica se il provvedimento da eseguire possa beneficiare del regime agevolato di circolazione ivi previsto. Nell’ambito del reg. n. 1215/2012 tale l’accertamento dovrebbe svolgersi avendo riguardo alla natura della decisione, alla materia di afferenza, nonché con riferimento al momento in cui l’azione è proposta. Con riguardo alla natura della decisione il giudice dovrà accertare che il provvedimento rientri nella nozione di decisione ai sensi dell’art. 2, lett. a)[19]. In questa operazione egli dovrà attingere alla nozione di decisione giudiziaria elaborata dalla giurisprudenza comunitaria a partire dalla Convenzione di Bruxelles, la quale fa leva sulla natura giurisdizionale del provvedimento da eseguire[20] ed include nella categoria i provvedimenti sommari anticipatori, i provvedimenti emanati a seguito di procedure monitorie[21] ed i provvedimenti cautelari [22].

Con riguardo alla materia trattata dovrà verificare che il titolo da certificare sia riconducibile al settore civile e commerciale, avendo come riferimento ancora una volta la nozione uniforme di materia civile e commerciale elaborata dai giudici comunitari[23]. L’operazione dovrà essere condotta prendendo in considerazione il catalogo di materie estranee dall’ambito di applicazione del Regolamento. Si tratterà in concreto di appurare che il credito per il quale si procede non appartenga ai rapporti obbligatori individuati per esclusione dall’art. 1, reg. n. 1215/2012[24].

Sul piano temporale dovrà assicurarsi che la domanda giudiziale alla base della decisione da certificare sia stata proposta dopo il 15 gennaio 2015, data a partire dalla quale trova applicazione il nuovo regime di esecuzione e riconoscimento (art. 66).

Dovrà infine constatare che il provvedimento sia esecutivo o non abbia subito una sospensione a causa di un’impugnazione.

[16] Il giudice in concreto dovrà verificare che l’atto pubblico rispetti precisi requisiti formali per essere ammesso alla circolazione infra-comunitaria. Accerterà, in particolare, che l’attestazione di autenticità del documento provenga da una autorità pubblica a ciò autorizzata e che l’accertamento investa sia gli aspetti formali (la firma) che quelli sostanziali (il contento) del negozio, estendendosi fino a indagare la reale volontà delle parti e la legalità del contenuto dell’atto. Con riferimento al t.e.e. ma con argomentazioni estensibili anche al reg. n. 1215/2012, G. Campeis, A. De Pauli, Prime riflessioni sul titolo esecutivo europeo, in www.judicium.it, §14. Gli A. ritengono che nella prospettiva italiana l’autenticità andrebbe riferita anche alla legalità dell’atto, ovvero alla sua non contrarietà a divieti normativi, all’ordine pubblico e al buon costume, in quanto in Italia l’atto è investito di forza esecutiva nella misura in cui ne sia accertata la conformità all’ordine pubblico. Del medesimo avviso è P. De Cesari, Atti pubblici, e transazioni certificabili quali titoli esecutivi europei, in Foro It., 2006, V, p. 232.

[17] Rispetto alla transazione l’autorità competente dovrà verificare che si tratti di una transazione nel senso precisato dalla Corte di Giustizia nella causa Solo Kleinmotoren CMBH c. Boch del 1994, in Foro It., 1996, IV, 463. Si tratterà di accertare che l’organo giurisdizionale non abbia statuito di sua autorità su punti controversi tra le parti (punto 17), e che l’atto abbia carattere essenzialmente contrattuale, «nel senso che il suo contenuto dipenda innanzitutto dalla volontà delle parti» (punto 18).

[18] Ulteriori informazioni da riportare nel modulo sono le generalità delle parti, l’identificazione dell’autorità che ha emesso la decisione, la natura del provvedimento, la data di notificazione se precedente, l’eventuale condanna al pagamento di una somma di denaro a titolo di interessi. Se la decisione da eseguire è una misura cautelare è necessario indicare anche il titolo di competenza dell’autorità emittente e la data di notificazione del provvedimento al convenuto contumace, ciò allo scopo di attestare che i presupposti per la circolazione inter-europea dei provvedimenti provvisori siano presenti anche equando emessi ex parte.

[19] In base all’art. 2, lett. a) per decisione si intende, «a prescindere dalla denominazione usata, qualsiasi decisione emessa da un’autorità giurisdizionale di uno Stato membro, compresi un decreto, un’ordinanza, una sentenza o un mandato di esecuzione, nonché una decisione relativa alla determinazione delle spese giudiziali da parte del cancelliere».

[20] Il principio è stato affermato nella nota sentenza Solo Kleinmotoren GmbH v. Emilio Boch, 2 giugno 1994, causa C-414/92, in Raccolta, 1994, I-2237 s.

[21] Cort. Giust., sent. 13 luglio 1995, Hengst Import v. Campese, causa C-474/93; sent. 16 giugno 1981, Klomps v. Michel, causa C-166/80.

[22] Fatta eccezione per quelli emessi «senza che il convenuto sia stato invitato a comparire, a meno che la decisione contenente il provvedimento sia stata notificata o comunicata al convenuto prima dell’esecuzione».

[23] C. Giust. CE, 21 aprile 1993, C-172/91, in Riv. dir. int. priv. e proc. 1994, 425 e ss.; C. Giust. CE, 16 dicembre 1980, causa C-814/80, in Foro it. 1981, IV, 409; C. Giust. CE 14 ottobre 1976, causa C-29/76, in Giust. Civ. 1976, IV, 159.

[24] Per una puntuale disamina delle materie escluse dall’ambito di applicazione del regolamento si rimanda all’opera di v. F. Salerno, Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel Regolamento (UE) n. 1215/2012 (Rifusione), Vicenza, 2015, 62-81.

4. Il procedimento di certificazione nell’ambito del reg. n. 1215/2012: i limiti

Come si è avuto modo di osservare, a dispetto del sistema che regola il rilascio del titolo esecutivo europeo nel reg. n. 805/2004, il procedimento di certificazione nel reg. n. 1215/2012 è molto più rapido. L’attestato di esecutività non impegna il giudice a quo in un’indagine preliminare sul titolo o sul procedimento di formazione. Più semplicemente, una volta ricevuta l’istanza del creditore, l’autorità incaricata attesta in maniera automatica l’esecutività del provvedimento, dopo aver verificato l’applicabilità del regime semplificato di esecuzione e riconoscimento.

Il controllo giudiziale nello Stato d’origine diventa evanescente e si riduce alla semplice apposizione sul provvedimento di una formula esecutiva europea[25], mentre al debitore è preclusa ogni contestazione.

Del pari, nello Stato richiesto, l’autorità incaricata si limita a ricevere la documentazione fornita dal creditore, senza intervenire d’ufficio titolo, potendo al più richiedere una traduzione dei documenti nel rispetto delle esigenze difensive dell’esecutato[26].

Rispetto alle decisioni giudiziarie è bene precisare, però, che la semplificazione e l’automatismo che contrassegnano la revisione del sistema di Bruxelles non postulano una immissione incontrollata del titolo nella giurisdizione straniera[27]. La decisione certificata ai sensi del reg. n. 1215non sfugge nello Stato richiesto alle obiezioni del debitore, il quale può contestare il provvedimento attraverso il c.d. giudizio di diniego. Il rimedio oppositivo è il canale attraverso il quale il debitore valorizza i c.d. motivi ostativi che nel reg. n 44/2001 impedivano al creditore di conseguire la dichiarazione di esecutività.

Ai fini che qui interessano occorre considerare che la previsione dei motivi di diniego non osta all’acquisto della esecutività transfrontaliera nello Stato d’origine. Essa piuttosto costituisce un ostacolo nello Stato richiesto rispetto alla proseguibilità dell’azione esecutiva, dal momento che si frappone nel corso dell’espropriazione alla stregua di un incidente di cognizione, determinandone talvolta anche la sospensione (art. 51)[28].

Ne deriva che il giudice della certificazione non potrà rilevare d’ufficio la presenza dei motivi di diniego, tanto meno potrà sondare la sussistenza di tali impedimenti e rappresentarli al debitore per consentirgli di opporsi all’esecuzione nello stato richiesto ai sensi dell’art. 45.

È quanto chiarito di recente dalla Corte di Giustizia con riguardo ai limiti che incontra il giudice della certificazione nell’ambito dell’attività volta al rilascio del certificato[29]. Nella fattispecie sottoposta all’attenzione dei giudici comunitari si discuteva sull’interpretazione dell’art. 53 con riferimento ad una decisione definitiva resa nei confronti di un consumatore. Si domandava alla Corte se tra le prerogative del giudice della certificazione rientrino il potere di verificare d’ufficio se la decisione sia stata adottata nel rispetto delle norme sulla competenza contenute nella sezione II ed il potere di informare d’ufficio il consumatore dell’asserita violazione delle norme sulla competenza, al fine di metterlo in condizione di opporsi all’esecuzione.

I giudici comunitari hanno negato la prospettazione avanzata, ricavando l’interpretazione corretta dall’esegesi letterale del considerando n. 29 e dell’art. 42. A norma del considerando n. 29 il debitore può chiedere il rigetto del riconoscimento o dell’esecuzione di una decisione qualora ritenga che sussistano i c.d. motivi di diniego, inclusa l’eventuale violazione delle norme speciali sulla competenza, come quelle relative alle cause con i consumatori; secondo l’art. 42 invece l’autorità giurisdizionale adita con istanza di rilascio dell’attestato non deve esaminare la competenza del giudice che ha pronunciato la decisione nel merito, a differenza di quanto richiesto nell’ipotesi di una decisione che dispone un provvedimento provvisorio o cautelare. Infatti, mentre l’articolo 42, paragrafo 1, lettera b), di tale Regolamento impone al richiedente, ai fini dell’esecuzione di una decisione nel merito, di fornire solo l’attestato che certifica l’esecutività della decisione, l’articolo 42, paragrafo 2, lettera b), prevede che l’attestato fornito, ai fini dell’esecuzione di una decisione che dispone un provvedimento provvisorio o cautelare, debba specificatamente certificare che il giudice d’origine era competente a conoscere del merito.

Ai fini che qui interessano se ne trae che il giudice della certificazione non può rilevare d’ufficio la violazione delle norme sulla competenza. L’onere piuttosto incombe sul debitore il quale può opporsi all’esecuzione a norma dell’art. 45 per contestare siffatta violazione.

È evidente in questo passaggio la differenza rispetto ai controlli svolti d’ufficio in seno al procedimento di certificazione di titolo esecutivo europeo nell’ambito del reg. n. 805/2004. In quel contesto il giudice a quo, guidato dalle norme minime, accerta la regolare formazione del titolo straniero e conferisce esecutività alla decisione solo dopo aver verificato il rispetto delle norme in materia di competenza e di giurisdizione

Nell’ambito della procedura regolata dal reg. n. 1215/2012, al contrario, la violazione delle norme sulla competenza e sulla giurisdizione perde rilievo nella fase di certificazione, davanti al giudice a quo, e può essere valorizzata solo dal debitore, davanti al giudice dell’esecuzione, nel rispetto dei modi e dei termini previsti dalla legislazione processuale dello Stato richiesto.

Il giudice della certificazione potrà al più rettificare o revocare l’attestato emesso a norma dell’art. 53, sulla falsariga del giudice che rilascia l’attestato per crediti non contestati. Invero, rispetto al reg. n. 805/2004, il nuovo reg. n. 1215/2012 non contempla la possibilità che il debitore contesti l’erroneità del certificato. La dottrina ritiene, tuttavia, che tali doglianze possano essere fatte valere, in analogia con l’art. 10 del reg. n. 805/2004, presentando istanza al giudice dello Stato d’origine, il quale provvederà a verificare la concordanza tra il contenuto della decisione e l’attestato[30].

In questa fase un ulteriore limite opera rispetto al merito della decisione. È infatti precluso al giudice della certificazione estendere la sua analisi sull’obbligazione documentata nel titolo. Solo il debitore è in grado di contestare il merito del provvedimento avvalendosi dei normali mezzi di impugnazione, nei modi e nei termini previsti dalla lex fori. Si badi, però, che la contestazione della decisione certificata attraverso il mezzo di gravame non toglie al titolo l’efficacia europea che già gli appartiene. Solo una pronuncia di accoglimento è in grado di sottrarre al provvedimento ogni efficacia esecutiva. Nondimeno, come avviene per le decisioni certificate ai sensi del reg. n. 805/2004, qualora la legislazione dello Stato d’origine lo preveda, il debitore può formulare al giudice del gravame un’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo prima che venga certificato dalla autorità emittente. In tal caso il giudice della certificazione dovrà prendere atto del difetto dei presupposti per la certificazione e negare il rilascio dell’attestato.

[25] Nel sistema Bruxelles I-bis, gli effetti esecutivi sono riconosciuti automaticamente, in forza di una “presunzione di automatica riconoscibilità/eseguibilità” posta dal regolamento. L’espressione appartiene a E. D’Alessandro, Il titolo esecutivo europeo, cit., p. 1053.

[26] Si v. l’art. 43, reg. n. 1215/2012.

[27] Come osservano A. Malatesta, N. Nisi, Le novità in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni, in A. Malatesta (a cura di), La riforma del regolamento Bruxelles I, 2016, Milano, p. 141, l’equiparazione tra il titolo straniero ed i titoli di diritto interno è solo tendenziale, poiché il reg. n. 1215/2012, a differenza del reg. n. 805/2004, riserva al debitore la possibilità di contestare nello Stato ad quem, durante la fase di attuazione della decisione, i c.d. motivi ostativi.

[28] Nell’ambito del regolamento n. 1215/2012 i motivi ostativi al riconoscimento e all’esecuzione possono essere valorizzati dal debitore, oltre che nel giudizio di diniego, anche in un giudizio di accertamento negativo del riconoscimento. Possono essere altresì valorizzati ad iniziativa del creditore in un giudizio volto ad accertare che non sussistono ragioni ostative al riconoscimento della sentenza (art.38), sia prima che durante l’esecuzione.

[29] Corte giustizia UE sez. I – 04/09/2019, n. 347, in Redazione Giuffrè, 2019.

[30] Sul punto si v. A. Malatesta, N. Nisi, op. ult. cit., p.144.

5. Il procedimento di certificazione nell’ambito del reg. n. 1215/2012: la natura

Occorre interrogarsi, ancora, sulla natura del procedimento di certificazione e capire se si tratti di un’indagine puramente amministrativa sul titolo o di un vero e proprio controllo giurisdizionale. Il problema si pone, in particolare, per le decisioni che, a dispetto degli atti pubblici e delle transazioni, vengono in rilievo in un contesto giudiziario e riflettono i valori sostanziali e processuali dell’ordinamento in cui si sono formate.

Sulla scorta di quanto sin qui esposto saremmo portati a negare carattere giudiziario al procedimento e ad assegnare al certificato rilasciato ai sensi del reg. n. 1215/2012 natura amministrativa.

Difatti, come osservato dalla dottrina agli esordi del titolo esecutivo europeo per crediti non contestati, il certificato «pur se assunto a seguito della ricognizione di presupposti che coinvolgono una previa qualificazione giuridica, si risolve in una sorta di spedizione in forma esecutiva europea … che ha la mera funzione di attestare la ricorrenza delle condizioni che una decisione giudiziaria … deve soddisfare per essere sottratta all’exequatur, e non anche quella di attribuire alle parti diritti sostanziali o processuali, come quello di procedere ad esecuzione forzata»[31].

Tale riflessione riprende vigore se la si accosta all’impianto di certificazione che fa capo al reg. n. 1215/2012 dove l’accertamento condotto dal giudice si ferma alla verifica delle condizioni di applicabilità del Regolamento, senza spingersi fino a sondare la regolarità del giudizio che ha portato alla decisione da certificare. Abbiamo avuto modo di osservare come l’autorità emittente neppure verifica se le norme sulla competenza siano state rispettate, essendo tali accertamenti riservati all’iniziativa del debitore in una sede successiva ed eventuale. È come se il giudice della certificazione si limitasse ad attestare la presenza di un’efficacia europea che il provvedimento già possiede ma che ha bisogno di manifestarsi all’esterno per propagarsi dallo Stato di provenienza all’ordinamento di esecuzione.

Su una diversa lunghezza d’onda si muove invece la giurisprudenza comunitaria. La Corte di giustizia da tempo qualifica l’attestato di esecutività rilasciato ai sensi del reg. n. 805/2004 come un atto di natura giurisdizionale, sul presupposto che la procedura di certificazione «non ha natura diversa dalle verifiche di carattere giurisdizionale che il giudice è chiamato ad effettuare pima di emettere le proprie decisioni giudiziarie in altri procedimenti»[32].

Sulle medesime considerazioni la Corte di Giustizia assegna oggi natura giurisdizionale all’attestato rilasciato a norma del reg. n. 1215/2012. Secondo i giudici comunitari ha carattere giurisdizionale il controllo che esegue il giudice della certificazione quando verifica la propria competenza ad emettere l’attestato previsto dall’art. 53[33]. Ha pure natura giurisdizionale l’attività integratrice ed interpretatrice che il giudice della certificazione è chiamato a svolgere quando una parte delle informazioni che devono essere riportate nell’attestato non trova riscontro nella decisione da certificare o quando il titolo ha carattere controverso ed è richiesta un’interpretazione del provvedimento. Come spiega la Corte di Giustizia, in tali ipotesi l’autorità giurisdizionale «si colloca nella continuità del precedente procedimento giudiziario» e con la sua attività garantisce «la piena efficacia della decisione»[34].

[31] Sono queste le parole di V. Pozzi, Titolo esecutivo europeo, cit., § 5.

[32] cfr. Corte di Giustizia (UE), sentenza n. 511 del 16 giugno 2016, in Guida al diritto, 2016, 28, 30. Tra le pronunce di merito si v. Trib. Novara, 23 maggio 2012, in Guida al diritto, 2012, 36, 80, con nota di Del Rosso.

[33] cfr. punti da 39 a 41 della sentenza del 28 febbraio 2019, Gradbeništvo Korana (C-579/17, EU:C:2019:162).

[34] cfr. punto 30 della sentenza del 4 settembre 2019, n. 347, cit. Facendo applicazione dei principi sopra esposti, a rigore, dovrebbe avere natura giurisdizionale anche l’adattamento del c.d. provvedimento ignoto che ha luogo nello Stato richiesto dell’esecuzione. Tale operazione presuppone, infatti, una valutazione che solo il magistrato può compiere, dovendo egli rintracciare all’interno dello stato richiesto un provvedimento che persegua gli stessi obiettivi e gli stessi interessi di quelli avuti di mira dal provvedimento ignoto da certificare (art. 54, reg. n. 1215/2012).

6. Riflessioni conclusive: sistemi di certificazione a confronto

Il regolamento n. 1215/2012 fa proprio il meccanismo automatico di esecuzione e riconoscimento collaudato con il titolo esecutivo europeo per crediti non contestati e lo applica alla generalità dei titoli esecutivi, indipendentemente dalla natura del diritto, purché l’obbligazione sia sorta nella materia civile e commerciale.

La nuova disciplina ha un’ampiezza applicativa così totalizzante da assorbire potenzialmente le liti transfrontaliere finora attratte nell’orbita del reg. n. 805/2004. In effetti, il reg. n. 1215/2012 riferendosi alla generalità delle decisioni rese nella materia civile e commerciale si sovrappone, da un punto di vista oggettivo, al precedente strumento di cooperazione giudiziaria e sembra destinato a soppiantarlo.

Eppure l’attestato di t.e.e. rilasciato ai sensi del reg. n. 805/2004 conserva ancora una certa rilevanza. L’operatività del certificato di titolo esecutivo europeo per crediti non contestati si conferma in una particolare situazione processuale. Un rapido esame della fattispecie è utile per comprendere questo assunto.

Si pensi al caso in cui il titolo esecutivo sia una decisione giudiziaria che per ragioni di competenza viene pronunciata nel foro del creditore. Qualora la decisione debba essere eseguita nell’ordinamento del debitore è preferibile, se vi sono le condizioni[35], che il creditore si affidi alla procedura di certificazione disciplinata dal reg. n. 805/2004. Senz’altro nello Stato d’origine il controllo sulla decisione sarà più invasivo rispetto agli accertamenti condotti in seno alla procedura che fa capo al reg. n. 1215/2012 ma, una volta ottenuta la certificazione, il creditore avrebbe dalla sua un provvedimento inattaccabile nello Stato richiesto, un titolo cioè che gli assicurerebbe una via preferenziale per l’espropriazione forzata, al riparo da eventuali contestazioni[36]. Non bisogna poi trascurare un secondo particolare che nell’ottica del creditore rende più appetibile il procedimento disciplinato dal n. 805/2004: il debitore che intende contestare il titolo ha l’onere di attivarsi nel foro in cui si è formato, vuoi per impugnarlo, vuoi per reagire al rilascio del certificato. Le distanze geografiche che lo separano da quell’ordinamento dovrebbero perciò scongiurare iniziative defatiganti e dilatorie. D’altra parte, qualora il debitore insorgesse contro il certificato di titolo esecutivo europeo, lo farebbe all’interno di uno spazio giudiziario a sé poco familiare, ma confacente rispetto alla posizione del creditore, il quale si troverebbe nella condizione geografica e giuridica di poterne contrastare le difese.

Scenari meno favorevoli, invece, potrebbero prospettarsi per il creditore che nella medesima situazione si avvalesse del reg. n. 1215/2012 per ottenere il rilascio del certificato. Facendo applicazione di questo diverso strumento egli avrebbe senz’altro il vantaggio di conseguire l’attestato di esecutività europea nello Stato di provenienza, senza correre il rischio che il debitore ne chieda la revoca o la modifica (da soccombente potrebbe al più impugnarlo). Avrebbe anche l’ulteriore vantaggio di un controllo meno penetrante sul titolo da certificare: paradossalmente potrebbe ottenere l’attestato anche se vi fossero motivi ostativi all’esecuzione transfrontaliera, non potendo l’autorità emittente rilevare tali impedimenti nel corso della procedura di certificazione. Egli si esporrebbe però all’opposizione del debitore nello Stato richiesto, dove l’esecutato si troverebbe nella condizione (a sé più favorevole) di rilevare i motivi di diniego, inclusa la violazione dell’ordine pubblico[37], così paralizzando l’esecuzione sui propri beni. Al creditore non resterebbe che tentare l’espropriazione in un altro ordinamento, confidando nella presenza di beni del debitore anche altrove, ma soprattutto sperando che il titolo certificato come europeo sia compatibile con l’ordine pubblico di quel foro[38].

In definitiva, a meno che non si voglia sostenere che l’efficacia del titolo esecutivo europeo sia spirata alla data del 15 gennaio 2015 con l’entrata in vigore del reg. n. 1215/2012, il meccanismo di certificazione sotteso al reg. n. 805/2004 mantiene una certa utilità in un’ottica di strategia processuale, sebbene in una porzione circoscritta del contenzioso internazionale. La sua permanenza nello spazio giudiziario europeo rimane perciò affidata all’utilizzo pratico che ne continueranno a fare i creditori transfrontalieri.

>

[35] Ci si riferisce al requisito della non contestazione del credito documentato nel titolo.

[36] Fatta eccezione per le ipotesi di rifiuto, sospensione e limitazione dell’esecuzione, il debitore nello Stato richiesto non potrebbe rilevare i motivi ostativi al riconoscimento e all’esecuzione.

[37] cfr. art. 45, par. 1, lett. a) e art. 46, reg. n. 1215/2012. Il contrasto della decisione con l’ordine pubblico non può essere eccepito nella procedura regolata dal reg. n. 805/2004.

[38] I rischi collegati all’impiego del reg. n. 1215/2012 non si verificherebbero se il titolo fosse conseguito nell’ordinamento del debitore e fosse poi attuato nel foro del creditore (o all’interno di un paese terzo rispetto alle parti del rapporto obbligatorio). Il creditore avrebbe il vantaggio di conseguire rapidamente il certificato nell’ordinamento straniero (al riparo da contestazioni da parte del debitore), e di attuarlo nel proprio ordinamento dove un’eventuale opposizione del debitore potrebbe essere gestita con meno difficoltà sul piano processuale. Rimarrebbe pur sempre il rischio che il debitore eccepisca il contrasto della decisione con l’ordine pubblico.

Redazione

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento