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Sulla cessione del credito: il ruolo del debitore.
La cessione del credito rappresenta una delle principali fattispecie di modificazione del rapporto obbligatorio sul piano soggettivo e, segnatamente, dal lato creditorio. Tale istituto rinviene la propria disciplina agli artt. 1260 e ss. c.c. Esso è un contratto bilaterale in forza del quale il creditore originario (detto “cedente”) trasferisce la titolarità del proprio diritto ad altro soggetto, il quale prende il nome di “cessionario”. Alla luce di detta definizione, emerge con evidenza l’estraneità del debitore ceduto rispetto alla vicenda della cessione; talchè la formula di cui al I comma dell’art. 1264 c.c., laddove afferma che “ la cessione ha effetto nei confronti del debitore ceduto quando questi l’ha accettata o quando gli è stata notificata”, deve essere intesa quale mera dichiarazione di scienza, in funzione di garanzia del soggetto obbligato ad adempiere, affinché possa avere consapevolezza che, ai fini della propria liberazione, esso dovrà eseguire la propria prestazione a vantaggio del cessionario e non più del cedente. Tuttavia, si segnala una tesi emersa nella dottrina più risalente, la quale sosteneva si trattasse di contratto plurilaterale, rispetto al quale l’accettazione del debitore costituiva elemento essenziale ai fini della validità del negozio. Pertanto, superata l’impostazione tradizionale sul punto, è oggi pacifica, in dottrina come in giurisprudenza, la concezione della stessa quale elemento utile ai fini della opponibilità dell’avvenuto mutamento nel lato attivo del rapporto nei confronti del ceduto; non trovando, peraltro, riscontro l’opinione di taluno autorevole autore, secondo la quale all’accettazione del ceduto, ferma restando la natura di dichiarazione di scienza, potrebbe riconoscersi anche una valenza confessoria, alla stregua di un riconoscimento del debito; ricostruzione che, tuttavia, non sembra trovare riscontro alcuno all’interno delle disposizioni codicistiche in materia. Inoltre, l’elemento della notifica/accettazione del ceduto rileva anche ai fini della prevalenza fra l’acquisto del cessionario ed eventuali terzi che vantano diritti sul medesimo credito. Infatti, il successivo art. 1265 c.c. pone la regola generale della prevalenza dell’acquisto ad opera del cessionario laddove esso sia stato notificato od accettato dal ceduto con data certa anteriore all’acquisto del terzo. Ne deriva, dunque, che sarà destinato a prevalere l’acquisto che per primo risulti essere stato portato a conoscenza del comune debitore, a niente rilevando il momento dell’acquisto ex sé.
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Si legga anche:”Le modiche dell’obbligazione dal lato attivo: cessione del credito”
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Le questioni oggetto di dibattito.
2.1 La causa.
L’art. 1260 c.c. afferma il generale principio di cedibilità dei crediti (seppur con talune eccezioni meritevoli di successiva analisi), contemplando sia ipotesi di trasferimento gratuito che oneroso. Da tale riferimento, erano state avanzate numerose perplessità in ordine a quale fosse la giustificazione causale del contratto di cessione, posto che, in ossequio al dettato dell’art. 1325 c.c., fra i requisiti di qualsivoglia contratto, oltre all’oggetto ed all’accordo fra le parti, è necessaria, altresì, la presenza di una causa meritevole di tutela per l’Ordinamento giuridico, ai sensi dell’art.1322 comma II c.c. Sul punto, a lungo dominante era quel filone ermeneutico tradizionale il quale (sulla scorta della dottrina tedesca) riteneva opportuno considerare la cessione del credito nei termini di contratto a causa astratta. In particolare, si parlava di una combinazione fra la presenza di un interesse fisso e generale (giacché presente in ogni negozio di cessione) ed uno variabile e relativo, da ricercarsi nello scopo di volta in volta perseguito dalle parti. Una simile impostazione è stata, però, contestata dalla lettura più moderna del fenomeno in parola, sulla base della irrilevanza nel sistema di disciplina scelto dal legislatore, della componente fissa, laddove, alla luce dell’oramai affermata teoria della causa in concreto, si ritiene che non possa esservi individuata in via astratta una giustificazione causale generica dovendo, viceversa, prendere in considerazione gli scopi che, con quel contratto, cedente e cessionario hanno inteso realizzare, salvo l’esame della stessa avendo riguardo al giudizio di meritevolezza ex art. 1322 comma II c.c.
2.2. L’incedibilità dei crediti strettamente personali.
Ulteriore criticità posta dall’art. 1260 c.c. è stata quella di capire se, riferendosi alla incedibilità dei crediti strettamente personali abbia inteso sancire un principio di ordine generale, ovvero derogabile dalla volontà delle parti. Al fine di risolvere l’interrogativo, è necessario riflettere sulla ratio ispiratrice della norma. Conseguentemente, secondo l’insegnamento reso dalla giurisprudenza di legittimità, le cedibilità del credito strettamente personale potrà essere ammessa su accordo dei contraente ogniqualvolta si sia in presenza di crediti non connotati da ontologica indisponibilità, afferendo a valori sopra individuali[1].
2.3 L’oggetto della cessione.
Nella tematica della cessione del credito, altro profilo da chiarire è quello dell’oggetto. L’art. 1263 c.c. prevede che “per effetto della cessione, il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, con le garanzie personali e con gli altri accessori”. Al riguardo, gran parte degli interpreti si era occupata di precisare se in tale locuzione, per mezzo di un’interpretazione estensiva, potessero essere ricomprese tutte quelle azioni processuali idonee a garantire al cessionario la realizzazione delle utilità connesse o collegate alla cessione. La soluzione è stata fornita dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha scelto una lettura intermedia della disposizione citata. In particolare, gli Ermellini hanno concluso che, giacché coerente all’impianto codicistico complessivo, nel concetto di “altri accessori” si possano considerare tutte le azioni processuali volte alla salvaguardia della titolarità del diritto acquisito dal cessionario, ancorchè si tratti di situazioni giuridiche solo mediatamente collegate allo stesso. Alla luce di una simile impostazione, la giurisprudenza ha ritenuto possibili di cessione anche i crediti derivanti da illecito altrui e, in generale, i diritti risarcitori in tutte le loro poste e declinazioni, financhè il danno non patrimoniale. Ad essere escluse dal novero della azioni utilmente esperibili ad opera del cessionario, tuttavia, sono quelle concernenti la fonte del rapporto originario fra cedente e ceduto, sulla base della premessa che il cessionario, in virtù del contratto col decente, acquista la titolarità del credito ma non quella del contratto dal quale il credito trae la propria origine.
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La funzione del contratto di cessione.
Anche alla luce della teoria della causa in concreto, è giocoforza considerare le molteplici funzioni che il contratto di cessione può rivestire. Infatti, oltre ad un semplice scopo di trasferimento, essa può avere funzione di garanzia o scopo solutorio rispetto ad altra obbligazione. In riferimento all’ammissibilità di una cessione del credito per fini di garanzia, si segnalano le preoccupazioni avanzate in passato dalla dottrina, legate per lo più ad una discussa conformità a quel divieto di patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c. Successivamente, la problematica venne risolta inquadrando la cessione di credito siffatta nello schema del contratto sottoposto a condizione risolutiva. In altri termini, veniva considerato l’adempimento dell’obbligazione principale (a garanzia della quale era stato ceduto il credito) quale evento determinante l’immediata risoluzione del contratto di cessione; vale a dire sarebbe l’adempimento dell’obbligazione garantita a fungere da evento detto in condizione. Pur mantenendo la dottrina dominante questa prospettiva, emergono, altresì, alcune pronunce giurisprudenziali che, forse secondo un meccanismo più semplice e meno articolato, ammettono comunque la cedibilità dei crediti a titolo di garanzia, purché sia prevista le restituzione in capo al cedente di quanto eventualmente ottenuto in prestazione dal ceduto allorquando sia di entità superiore rispetto al credito garantito.
Ancor più dibattuta è la cessione del credito avente scopo di adempimento, la cui specifica disciplina si rinviene nell’art. 1198 c.c. Si tratta, cioè, di ipotesi nelle quali la cessione di un credito in adempimento di altra obbligazione sarà estinta allorquando avverrà l’adempimento da parte del debitore principale. Parte degli interpreti ha sollevato perplessità in ordine alla conformità di un tale meccanismo a quello della datio in solutum; dubbi ermeneutici basati proprio sulla considerazione che, nel caso in parola e diversamente da quanto si riscontra nella cessione in luogo dell’adempimento, non avviene l’immediato effetto liberatorio del debitore, essendo esso posticipato al momento dell’adempimento dell’impegno originario. Alla luce di detta riflessione, è stata colta la duplice anima dell’art. 1198 c.c. che, pertanto, contemplerebbe due ipotesi fra loro distinte[2]. In primo luogo, vi è quella ordinaria nella quale occorre l’adempimento ai fini del prodursi estintivo; si tratterebbe di una datio pro solvendi nella quale il creditore cedente assume su di sé la garanzia dell’adempimento del ceduto, a ciò sottoponendo la propria liberazione. In tal caso, laddove il debitore non adempia, il cessionario potrà scegliere alternativamente se agire per l’escussione direttamente verso il ceduto, ovvero far valere la garanzia ed esperire azione verso il cedente per chiedere la restituzione di quanto pagato ai fini della cessione, oltre agli interessi sin ad allora maturati. In secondo luogo, invece, sarebbe contemplata una vera e propria datio in solutum in presenza di espressa pattuizione convenzionale volta a collegare alla cessione del credito l’immediato effetto liberatorio del cedente.
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La garanzia del cedente.
Al di là di tali circostanze, il cessionario mantiene sempre una funzione di garanzia circa l’esistenza del credito, nonché la possibilità che il debitore adempia. Quest’ultimo riferimento, tuttavia, non deve essere confuso con una garanzia di solvibilità del ceduto giacché il cedente non garantisce l’integrità patrimoniale del ceduto da un punto di vista soggettivo, bensì l’esistenza dei presupposti oggettivi affinché egli possa adempiere. Laddove il credito dovesse venir meno, si determina una responsabilità contrattuale in capo al cedente.
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La cessione dei crediti di impresa: il Factoring.
In materia di cessione del credito si ricorda, inoltre, il fenomeno del factoring. Esso trae la propria origine nella prassi commerciale dei pesi di common law e, dopo essere pervenuto nello scenario nostrano, è stato specificatamente previsto dalla L. n. 52/1991. Esso è un contratto bilaterale ad effetti traslativi nel quale un’impresa cede nella globalità la titolarità dei propri crediti ad un factor il quale, per espressa previsione normativa, deve rivestire la qualifica di intermediario finanziario od istituto bancario iscritto nel registro all’uopo tenuto dalla Banca d’Italia e svolgente esclusivamente attività di gestione del credito. Si tratta di un istituto dalle molteplici finalità giacché, oltre a svolgere la funzione di gestione, finanziamento (ben potendo essere prevista contrattualmente l’anticipazione di parte del credito alla cedente), spesso vi si apprezza anche una funzione assicurativa. È considerazione pacifica quella per la quale, seppur la legge del 1991 non sia derogatoria rispetto alla normativa codicistica sulla cessione del credito, il factoring presenta un’essenza peculiare posto che vi è compreso un carattere ulteriore e maggiormente articolato. Per certi versi, dunque, potremmo assimilarlo ad un mandato in re propriam, nella misura in cui anche il factor, al pari del mandatario, è incaricato della gestione e riscossione del credito altrui sul quale, al momento della restituzione al creditore originario, detrarrà il proprio utile, salvo ulteriore detrazione di quanto già anticipato a titolo di finanziamento. Essendo superate le concezioni atomistiche che consideravano la fattispecie alla stregua di un contratto-quadro (il negozio volto a fissare le linee guida del rapporto fra factor e cedente) cui accedevano tanti singoli contratti quante erano le cessioni realizzate; è oggi pressochè unanime l’opinione che ritiene opportuno valutare il fenomeno in termini unitari. Di tal guisa, ne viene valorizzata la sua atipicità ed apprezzato lo sforzo legislativo in ordine alla positivizzazione di un fenomeno che trae la propria genesi da un sistema giuridico assai distante dalla nostra realtà di civil law.
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L’ammissibilità della cessione di crediti futuri.
Infine, si segnala l’apporto recato dall’art. 3 L. n. 52/1991 all’annosa questione della cessione che insiste su crediti futuri. Premesso che la cessione consiste in un contratto ad effetti traslativi immediati (vale a dire, in osservanza del principio consensualistico, si determina l’immediato trasferimento del diritto, in virtù del solo consenso legittimamente manifestato dalle parti), si pone il problema dell’art. 1346 c.c. il quale, in ordine ai requisiti dell’oggetto del contratto, richiede, oltre alla possibilità e liceità, la sua determinatezza o, perlomeno, determinabilità. Ciò ha posto forti dubbi ermeneutici a fronte della cessione di crediti incerti, ossia, quelli connotati da incertezza potendo o meno venire ad esistere. Peraltro, la eventualità dell’esistenza può essere di diversa intensità, potendo essere un’incertezza solo concreta od anche astratta e, in tal caso, addirittura spingersi ad uno stato di mera speranza. Il richiamo ai canoni della determinatezza o determinabilità ex art. 1346 c.c. a lungo ha influenzato la dottrina classica a negare l’ammissibilità di cessioni aventi ad oggetto crediti futuri. Opinione questa rivista dalla successiva giurisprudenza di legittimità, la quale aveva ritenuto comunque rientrare nel concetto di determinabilità tutti quei crediti che, seppur indeterminati ed incerti nel loro ammontare, erano definiti e determinati nell’origine[3]. Tuttavia, ragionando in tale ottica, si creava un’eccessiva delimitazione dell’ambito di operatività del contratto di cessione, restandovi esclusi tutti quei crediti eventuali, astratti o sperati. Dall’esigenza di riespandere il confine della cessione del credito, l’Organo di nomifilachia, nelle pronunce successive, affermò l’importanza di valorizzare la norma dell’art. 1348 c.c., laddove nel riferimento alle “cose future” ben potevano rientrarvi anche i diritti di credito, impiegando una lettura evolutiva della medesima[4]. Ne consegue, dunque, che possono rientrare nel coacervo dei crediti futuri non solo quelli inerenti ad una fonte certa, delineata nelle sie componenti essenziali ma anche, e vieppiù, tutte quelle situazioni di aspettativa inerenti alla venuta ad esistenza di un credito. Si perviene, pertanto, a ritenere configurabile una cessione di crediti futuri sia in presenza di un’eventualità astratta che concreta. Tuttavia, permaneva l’ulteriore problematica di quale efficacia potersi riconoscere a simili contratti; questione foriera di notevoli risvolti anche alla luce della opponibilità a terzi. Ricorrendo allo schema della vendita obbligatoria, gran parte di autorevole dottrina ha sostenuto di poter riconoscere alla cessione in esame una immediata efficacia obbligatoria e preliminare fra cedente e cessionario (idonea a costituire eventuale fonte di responsabilità precontrattuale, ed un differito effetto traslativo, rinviando l’acquisto del credito in capo al cessionario al tempo in cui il credito verrà ad esistere. Impostando la vicenda secondo una scissione fra il momento di produzione dei relativi effetti, si giunge a concludere per la non opponibilità della cessione al terzo che, prima della venuta ad esistenza del credito, abbia acquisito diritti confliggenti con quelli del cessionario. Trattasi di una lettura, tutta incentrata sulla valorizzazione dell’art. 1348 c.c., che ha ricevuto il beneplacito anche della Corte di Cassazione. Quest’ultima, in particolare, ribadita la distinzione fra crediti incerti in astratto e crediti incerti in concreto, si è spinta ad accordare un’immediata efficacia traslativa anche alla cessione di crediti futuri ma relativi ad un rapporto sottostante certo come accade, ad esempio, in ordine ad un futuro credito di trattamento di fine rapporto inerente ad un contratto già in essere il quale potrà essere oggetto di cessione e già al momento della stipula del contratto di cessione produrre effetti traslativi. Logica conseguenza è la piena opponibilità della cessione di crediti futuri ma già produttiva di effetti reali al terzo avente causa del cessionario, il cui credito sia venuto ad esistere prima che di quello oggetto di cessione.
In conclusione, si ricorda come l’ammissibilità di un contratto di cessione di crediti futuri trovi conferma, altresì, nell’art. 3 L. n. 52/1991, allorquando vi pone quali uniche condizioni la qualifica soggettiva del factor e la venuta ad esistenza del credito entro i successivi 24 mesi dalla stipula.
Inoltre, giova sottolineare la portata innovativa dell’impostazione assunta dalla Suprema Corte la quale consente di dare giusto rilievo giuridico anche a mere aspettative, ancorchè le riconosca esclusivi effetti obbligatori[5].
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Note
[1] Cass. Sent. n. 22601/2013
[2] Cass. Sent. n. 6558/2005
[3] Cass. Sent. n. 4040/1990
[4] Cass. Sent. n. 5141/2002
[5] Cass. Sent. n. 22601/2013
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