Il fatto
La Corte di Appello di Catania, in parziale riforma della decisione del Tribunale della stessa città, aveva rideterminato la pena inflitta al ricorrente in anni cinque mesi undici di reclusione ed E. 2.200,00 di multa in ordine ai reati di rapina aggravata e tentata violenza privata.
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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la decisione summenzionata proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato adducendo i seguenti motivi: 1) violazione degli artt. 192, 500 e 533 cod. proc. pen. per avere la Corte territoriale erroneamente valutato le prove e dichiarato attendibili le deposizioni delle persone offese, pur in presenza di contraddizioni con quelle rilasciate a sommarie informazioni nel corso delle indagini, nonché il vizio di motivazione con riferimento alle prove assunte che, invece, deponevano, per il ricorrente, per l’estraneità del ricorrente ai fatti addebitati; 2) violazione ed inosservanza della legge processuale e, in particolare, dell’art. 603 cod. proc. pen. per avere la Corte d’Appello disatteso l’istanza di rinnovazione istruttoria in relazione alla ricognizione richiesta (e ammessa nel giudizio di primo grado ma mai formalmente revocata) e, pertanto, per la difesa, non osservato una disposizione prevista a pena di nullità.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
Quanto alla prima doglianza, gli Ermellini osservavano come il primo motivo dovesse seguire tale sorte processuale poiché a loro avviso reiterativo delle censure mosse con l’atto di appello a fronte, invece, di una motivazione che, sempre per il Supremo Consesso, aveva puntualmente esaminato le dichiarazioni rese in dibattimento dai testi escludendo che le difformità riscontrate, rispetto a quanto riferito nel corso delle indagini, fossero così significative da incidere sull’attendibilità complessiva del narrato, sulla precisione delle individuazioni fotografiche svolte (peraltro ripetute in dibattimento) e sulla tenuta della ricostruzione accusatoria fatta propria anche dal primo giudice in relazione a ciascun episodio criminoso attribuito specificamente al ricorrente, le cui condotte, anche di tipo partecipativo materiale e morale alle azioni delittuose poste in essere dai correi, erano state direttamente percepite e descritte dalle parti offese.
Del resto, sempre secondo i giudici di piazza Cavour, trovandosi innanzi ad una c.d. doppia conforme, il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado atteso che, in considerazione del limite del devolutum (che impedisce che si recuperino, in sede di legittimità, elementi fattuali che comportino la rivisitazione dell’iter costruttivo del fatto, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice), il sindacato di legittimità deve limitarsi alla mera constatazione dell’eventuale travisamento della prova che consiste a sua volta nell’utilizzazione di una prova inesistente o nell’utilizzazione di un risultato di prova incontrovertibilmente diverso, nella sua oggettività, da quello effettivo (ex plurimis, Sez. 5, n. 18975 del 13/2/2017; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016).
Ciò posto, pure il secondo motivo del ricorso era reputato parimenti manifestamente infondato atteso che, per il Supremo Consesso, nessuna nullità era dato scorgersi nella mancata assunzione da parte del primo giudice di una prova ammessa considerato che, se, in sede nomofilattica, è stato postulato che la dichiarazione di chiusura dell’istruttoria dibattimentale, ove la parte vi assiste e non abbia eccepito il mancato esame di un testimone, comporta la revoca implicita dell’ammissione di tale deposizione ed eventuali nullità concernenti la suddetta deliberazione di esaurimento delle prove dovranno essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni (Sez. 3, n. 29649 del 27/03/2018), nulla, invece, sempre per la Suprema Corte, era stato allegato sul punto dal ricorrente.
Quanto poi al diniego di rinnovazione da parte della Corte territoriale, veniva evidenziato che nel giudizio d’Appello la rinnovazione dell’istruttoria è subordinata alla verifica dell’incompletezza dell’indagine dibattimentale e alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti e tale accertamento comporta una valutazione rimessa al giudice di merito che, se correttamente motivata, come ritenuto nel caso in esame, è insindacabile in sede di legittimità (Sez. 4 n. 18660 del 19/2/2004; Sez. 3 n. 35372 del 23/5/2007).
Conclusioni
La decisione in esame è interessante nella parte in cui si afferma, citandosi un precedente conforme, che la dichiarazione di chiusura dell’istruttoria dibattimentale, ove la parte vi assiste e non abbia eccepito il mancato esame di un testimone, comporta la revoca implicita dell’ammissione di tale deposizione ed eventuali nullità concernenti la suddetta deliberazione di esaurimento delle prove dovranno essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni.
Tale pronuncia, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di evitare di incorrere in una decadenza processuale (revoca del teste).
E’ dunque consigliabile prospettare l’eccezione in ordine al mancato esame di un testimone, dopo che il giudice ha proceduto alla chiusura dell’istruttoria dibattimentale, come appena visto, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni, e non dopo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.
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