La class action o azione collettiva risarcitoria introdotta dalla legge finanziaria per il 2008 nel codice del consumo

I commi da 446 a 449 dell’articolo 2 della Legge n° 244 del 2007 (Legge Finanziaria per il 2008) hanno introdotto e disciplinato per la prima volta nel nostro ordinamento l’azione collettiva risarcitoria a tutela dei diritti e degli interessi dei consumatori e degli utenti, la c.d. “Class Action” (traducibile come “azione di classe” o “azione collettiva”).
Mentre il consumatore è chiaramente definito dalla lettera a) dell’art. 3 del Dlgs 206/2005 come “la persona fisica che agisce (acquistando ed utilizzando beni o servizi) per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”, nel concetto di “utente” (non definito dalla legge) rientrano, a nostro parere, oltre ai consumatori persone fisiche, anche i liberi professionisti, le imprese e le altre organizzazioni (enti pubblici o privati non profit) che utilizzano in base ad un contratto un servizio pubblico di rete, come, per esempio, l’erogazione dell’elettricità, dell’acqua, del gas, ecc. od un servizio privato di rete come, per esempio, la telefonia, l’accesso ad Internet, i servizi di trasporto (anche quelli pubblici), ecc.
 
Passando ad esaminare il contenuto delle norme citate, il comma 446 della Legge 244/2007 introduce l’art. 140 – bis del “Codice del consumo”, contenuto nel Decreto Legislativo n° 206 del 2005, intitolato “azione collettiva risarcitoria”. Esso stabilisce che sia le associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale inserite nell’elenco tenuto dal Ministero dello Sviluppo Economico (già delle Attività Produttive e prima dell’Industria) di cui all’art. 137 del Dlgs 206/2005, sia tutte le “associazioni ed i comitati che sono adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere” sono legittimati ad agire a tutela degli interessi collettivi sempre dei consumatori e degli utenti richiedendo al Tribunale nella cui competenza territoriale ricade il luogo in cui ha sede l’impresa l’accertamento del diritto al risarcimento del danno ed alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell’art. 1342 del Codice Civile (contratti stipulati mediante la sottoscrizione di moduli o formulari, i c.d. contratti “tipo” o “standard” o “di massa”) o in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette (identificate e disciplinate dagli artt. da 18 a 27 – quater del Codice del consumo, introdotte nel Dlgs 206/2005 dal Decreto Legislativo n° 146 del 2007) o di comportamenti anticoncorrenziali, quando sono lesi i diritti una pluralità di consumatori o di utenti (1° comma dell’art. 140 – bis).
I consumatori e gli utenti che intendono avvalersi di questa tutela giurisdizionale civile devono comunicare per iscritto a chi ha promosso l’azione la propria adesione all’azione collettiva. L’adesione può essere comunicata, sia in primo grado che nel giudizio di appello, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni. Nel giudizio promosso dalle associazioni di cui al precedente capoverso è sempre ammesso l’intervento dei singoli consumatori per proporre domande aventi il medesimo oggetto. L’esercizio dell’azione collettiva o, se successiva, l’adesione del singolo consumatore o utente all’azione collettiva produce l’interruzione della prescrizione ai sensi dell’art. 2945 c.c. e, soprattutto, del suo 2° comma, per cui “la prescrizione non corre fino al momento il cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio[1]” (comma 2°).
 
Ai sensi del 3° comma dell’art. 140 – bis, alla prima udienza, il Tribunale, sentite le parti e assunte, quando occorre, sommarie informazioni, pronuncia sull’ammissibilità della domanda, con ordinanza reclamabile davanti alla Corte di Appello, che pronuncia in camera di consiglio.
La domanda è dichiarata inammissibile:
1)      quando è manifestamente infondata,
2)      quando sussiste un conflitto di interessi[2],
3)      quando il Giudice non ravvisa l’esistenza di un interesse collettivo suscettibile di adeguata tutela ai sensi dell’art. 140 – bis del Dlgs 206/2005.
 
Questo filtro giurisdizionale, operato da un soggetto per definizione terzo rispetto alle parti in causa, e la titolarità dell’azione conferita alle associazioni dei consumatori e non alle singole persone fisiche rappresentano il compromesso e le garanzie che sono stati raggiunti con le imprese e le loro organizzazioni rappresentative che temevano la possibilità di una proposizione dell’azione generalizzata e quella di domande temerarie ed infondate che avrebbero potuto moltiplicare i costi legali sostenuti dalle aziende.
 
Il Giudice può differire la pronuncia sull’ammissibilità della domanda quando sul medesimo oggetto è in corso un’istruttoria davanti ad una Autorità Indipendente[3].
Se ritiene ammissibile la domanda, il Giudice dispone, a cura e spese di chi ha proposto l’azione collettiva, che venga data idonea pubblicità dei contenuti dell’azione proposta per favorire l’adesione ad essa di tutti i consumatori interessati e dà i provvedimenti per la prosecuzione del giudizio (sempre comma 3°).
 
Se accoglie la domanda, il Tribunale, che in questa cause giudica sempre in composizione collegiale e non monocratica[4], determina i criteri in base ai quali liquidare la somma da corrispondere ai singoli consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva o che sono intervenuti nel giudizio. Se possibile allo stato degli atti, il Giudice determina la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore od utente. Nei sessanta giorni successivi alla notificazione della sentenza, l’impresa propone il pagamento di una somma, con atto sottoscritto dal legale rappresentante, comunicato a ciascun avente diritto e depositato in Cancelleria. La proposta in qualsiasi forma accettata dal consumatore o dall’utente costituisce titolo esecutivo (4° comma).
La sentenza che definisce il giudizio fa stato anche nei confronti dei consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva in un momento successivo alla proposizione della domanda. E’ fatta salva l’azione individuale dei consumatori o utenti che non aderiscono all’azione collettiva risarcitoria o che non intervengono nel giudizio ad essa relativo disciplinati dall’art. 140 – bis del Dlgs 26/2005 (comma 5°).
 
Se l’impresa condannata al risarcimento del danno od alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti non comunica la proposta economica di cui al 4° comma nei sessanta giorni successivi alla notificazione della sentenza o se questa non viene accettata anche solo da alcuni dei consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva o sono intervenuti nel giudizio, il Presidente del Tribunale costituisce un’unica camera di conciliazione per la determinazione delle somme da corrispondere o da restituire ai consumatori o utenti che hanno aderito all’azione collettiva o sono intervenuti nel giudizio e che ne fanno domanda.
La camera di conciliazione è composta da un avvocato indicato dai soggetti che hanno proposto l’azione collettiva (le associazioni, quindi, e non i singoli consumatori o utenti), da un avvocato indicato dall’impresa convenuta ed è presieduta da un terzo avvocato nominato dal Presidente del Tribunale tra gli iscritti all’albo speciale per le giurisdizioni superiori (la Corte di Cassazione).
La camera di conciliazione quantifica, con un verbale sottoscritto dal suo Presidente, i modi, i termini e l’ammontare delle somme da corrispondere ai singoli consumatori o utenti. Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo.
 
In alternativa alla camera unica di conciliazione prevista dall’art. 140 – bis del Dlgs 206/2007 di cui abbiamo parlato finora, su concorde richiesta del promotore dell’azione collettiva (associazione o associazioni di consumatori o utenti, se i promotori sono più di uno) e dell’impresa convenuta[5], il Presidente del Tribunale dispone che la composizione non contenziosa della controversia abbia luogo presso uno degli organismi di conciliazione di cui all’art. 38 del Decreto Legislativo n° 5 del 2003[6], operante nel territorio del Comune in cui ha sede il Tribunale, quindi, in primo luogo, quelli costituiti dalle Camere di Commercio ai sensi dell’art. 4 della Legge n° 580 del 1993[7]. A questa procedura di conciliazione si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli artt. 39 e 40 del Dlgs 5/2003 e successive modificazioni (comma 6°).
 
 
Lecce, 03/01/2008
                                                          
                                                                                                          Gianfranco Visconti
 
Consulente di direzione aziendale


[1] Lo stesso vale per l’arbitrato, ai sensi del 4° comma dell’art. 2945 c.c.
[2] Caso piuttosto difficile ma non impossibile da ravvisare in concreto: si consideri, per esempio, il caso di consumatori o utenti che siano dipendenti, soci o amministratori di imprese concorrenti di quella da cui si pretendono danneggiati.
[3] Si pensi, per esempio, al caso in cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (la c.d. “Autorità Antitrust”) abbia promosso un’istruttoria relativa ad una pratica commerciale scorretta verso i consumatori, ai sensi dell’art. 27 del Dlgs 206/2007.
[4] Ai sensi del numero 7 – bis dell’’art. 50 – bis, primo comma, del Codice di Procedura Civile, introdotto dal comma 448 dell’art. 2 della Legge 244/2007 (Legge Finanziaria per il 2008).
[5] Anche se sarà piuttosto raro in pratica, non dovrebbe essere impossibile che le imprese convenute siano più di una. Si consideri, per esempio, il caso in cui più imprese producano e vendano tutte uno stesso prodotto sulla base delle licenze ottenute dal titolare di un medesimo brevetto.
[6] Contenente la nuova disciplina dei procedimenti in materia di diritto societario, di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia.
[7] Legge che riporta il vigente ordinamento delle Camere di Commercio.

Visconti Gianfranco

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