Codificazione e Costituzionalismo: una lente sulle origini

La codificazione nella dottrina giuridica

A partire dal 1500 iniziò ad emergere l’esigenza di introdurre metodologie diverse nell’ambito dell’istruzione giuridica. A scopo meramente esemplificativo si ricorda che, in Francia, nel 1679, Luigi XIV di Borbone, detto il Re Sole, si aggiunse al Diritto Romano il Droit Français, ovvero il complesso delle ordinanze dei monarchi, aventi vigore generale nel Regno. Nell’area germanica, invece, a partire dalla seconda metà del Seicento, iniziò ad assumere rilevanza il c.d. diritto moderno, inizialmente inteso quale uso forense del diritto romano e, successivamente, come diritti territoriali romanizzati.

Secondo G. Tarello[1] sono tre i filoni della dottrina giuridica che assumono rilevanza nell’ambito della storia della codificazione. Il primo filone può essere individuato nel giusnaturalismo di Pufendorf, il quale definì la legge come il comando mediante cui un superiore obbliga un soggetto a modificare le proprie azioni, sulla base del precetto. Il comando naturale deriva da Dio; rispetto alla legge civile, invece, è il legislatore a detenere il potere. Secondo questa tesi, le leggi possono essere definite come comandi sanzionati e il fondamento di ciascun obbligo giuridico risiede nell’essere il frutto del comando di una autorità.

Alle opere di Liebniz è possibile collegare il secondo filone della dottrina giuridica. Liebniz, il cui pensiero circolò soprattutto grazie a Wolff, concepiva il diritto come un sistema di proposizioni che connettono “predicati giuridici” a dei “soggetti giuridici”. Questa concezione delle norme giuridiche come proposizioni ha inevitabilmente influenzato la codificazione. Liebniz, infatti, riteneva che il diritto fosse un dato indiscutibile, che non necessitasse di alcuna dimostrazione. La sua teoria mostra il diritto come un fatto, tanto che la ricerca dei fondamenti del diritto si è tradotta in ricerca di una realtà naturale. Anche Wolff basa la sua dottrina sul concetto di uomo naturale, soggetto di diritto naturale, nonché di obbligazioni naturali. In entrambi gli autori, dunque, emerge una visione di sistema giuridico inteso come un insieme ordinato di preposizioni giuridiche che attribuiscono un diritto o un dovere ad alcuni soggetti ovvero caratteristiche o facoltà interne ad un diritto o ad un tipo di diritti.

Il terzo filone, infine, fa capo a due giuristi francesi, Dumat e Potheir, che tendevano a descrivere gli istituti del diritto privato elaborando un sistema coerente di concetti, cercando di fornire una descrizione unitaria dei molteplici regimi unitari.

Il processo di codificazione e l’esperienza della monarchia assoluta

La ricostruzione del processo di codificazione non può prescindere dall’analisi delle esperienze politiche che hanno caratterizzato il mondo moderno. Le modalità di ripartizione dei poteri, nonché il pensiero culturale dominante, hanno spesso influenzato la codificazione. Basti pensare che, nel XVIII secolo, l’Illuminismo ha modellato le codificazioni di Paesi come la Prussia, l’Austria, gli Stati italiani e, seppure in parte, quelli slavi. In Austria, in particolare, Giuseppe II mirava a realizzare una riorganizzazione dello Stato, che doveva apparire come una società unitaria raccolta attorno alla figura del monarca.

Una delle prime esperienze politiche del mondo moderno è certamente l’assolutismo monarchico. L’analisi non può che iniziare da questa esperienza, che non si è limitata ad essere una forma di governo, ma quella da cui ha avuto origine lo Stato moderno come Stato assoluto, ovvero come Stato sovrano, ente giuridicamente dotato del sommo potere, autorità sovrana propria dello Stato e di chi lo rappresenta. È la sovranità, difatti, la  prima forma di autorità, di potere originario ed esclusivo esercitato dallo Stato sulle persone e sul territorio che rientrano nella propria sfera di competenza. In tale fase, la monarchia era assoluta, ovvero un regime autocratico, in quanto l’esercizio dei poteri non era condizionato al consenso degli amministrati né di altri organi politici. Il popolo non era, come oggi è, una vera e propria forza dotata di diritti propri, ma un mero insieme di sudditi obbedienti. In sostanza, il popolo non legittimava il monarca, che invece si autolegittimava “per grazia di Dio”.

Nel XVII secolo, la complessità dei sistemi giuridici e la pluralità delle fonti erano bilanciati dalla presenza di un elemento unificante: l’assolutismo monarchico, il quale altro non è che il risultato di una rottura dell’equilibrio all’interno dello Stato che favorisce l’affermarsi del potere centrale su tutte le altre istituzioni.

La legislazione era concepita come espressione della volontà del monarca. Fino al XVIII secolo, l’assolutismo monarchico in Europa si basava sul diritto divino: il sovrano, infatti, riceveva l’investitura dei poteri direttamente da Dio. Da tale legittimazione derivavano i poteri del sovrano, nonché i suoi privilegi e immunità.

Nel corso del tempo il concetto di autorità evolve. Se nella tradizione romana essa era la tipica attribuzione del senato, mentre al popolo spettava la potestas, nella trazione cristiana essa diviene potere dell’imperatore, che è voluto da Dio. Quando non è più sostenibile la concezione di autorità di origine divina inizia l’età moderna, dove autorità diventa sinonimo di potere legittimato dal consenso libero. Nell’Europa occidentale, l’età moderna inizia tra il il XV e il XVI secolo ed è in questo periodo che iniziano ad affermarsi le prime teorie che ritengono la norma giuridica una creazione dello Stato, poiché il diritto sembra assente quando la non interviene con sanzioni. Si assiste, dunque, all’identificazione tra Stato e ordinamento e il primo, dalla cui volontà origina il diritto vigente, è collocato al vertice della piramide giuridica, dove Kelsen pone invece la norma fondamentale.

Ad opporre alla concezione di assolutismo monarchico la concezione di Stato di diritto fu Rousseau, secondo il quale anche il sovrano è soggetto alla legge poiché è un uomo come tutti gli altri e la sovranità spetta al popolo. Tuttavia, il vero scontro intellettuale ha visto protagonisti la concezione di assolutismo monarchico e il giusnaturalismo moderno, evoluzione moderna della dottrina del diritto naturale, che sarà il principale strumento di lotta politica tra il XVII e il XVIII secolo. I diritti naturali sono quelli di cui l’uomo è titolare per il solo fatto di essere tale e la cui violazione ne ferirebbe la dignità. L’idea centrale è, dunque, che gli uomini siano titolari di diritti che preesistono a qualsiasi tipo di governo, che non sono attribuiti dall’ordinamento giuridico, ma che rappresentano l’essenza dell’essere umano.

Il costituzionalismo e la tutela dei diritti fondamentali

Il costituzionalismo nasce nel nord America, anche se i principi che lo ispirano si diffusero anche altrove, come in Francia con la Rivoluzione Francese del 1789. Si tratta, in effetti, di un vero e proprio doppio filone che vede, da un lato, il costituzionalismo di origine giacobina, ispirato ai principi democratici e alla Rivoluzione francese e, dall’altro, il costituzionalismo di origine anglosassone, ispirato ai principi liberali e alla Rivoluzione americana. Entrambi hanno in comune sia il principio della tutela dei diritti che la separazione dei poteri, seppure con qualche differenza: nel costituzionalismo di origine giacobina prevale il modello democratico, modellato sul principio della partecipazione alla formazione della volontà comune; nel costituzionalismo di origine anglosassone prevale, invece, la limitazione del potere assoluto raggiunta attraverso la separazione dei poteri. Dunque, seppure con caratteristiche differenti, il costituzionalismo si è diffuso in Occidente e ha favorito lo sviluppo della democrazia in luogo dei regimi totalitari.

Volendo fornire una definizione attuale di Costituzione, il riferimento sarebbe al complesso di norme che costituiscono il nucleo dell’ordinamento giuridico, che raccoglie le regole secondo le quali la comunità ha scelto di essere governata. Tuttavia, esistevano forme più antiche di costituzionalismo rappresentate dalla constitutio latina e dalla politeia greca.

Nell’Impero romano, il termine constitutio era utilizzato con riferimento agli atti legislativi dell’imperatore, mentre la Chiesa utilizzava lo stesso nei regolamenti ecclesiastici. Nonostante i vari utilizzi del termine, legati al tempo, esso era impiegato per indicare un atto amministrativo che si distingueva dalla consuetudo.

Nel pensiero greco, invece, l’organizzazione dello Stato era concepita come l’organismo di un essere umano. Ogni Costituzione si accompagnava ad un ethos, ad uno schema di vita. I Greci, a differenza dei Romani, spiegavano i fatti concreti ricorrendo alla filosofia. Platone, ad esempio, ritiene che il migliore governo sia quello in cui il governante non sia limitato dalle leggi, ma faccia della sua arte una legge. Ne deriva che, nel pensiero del filosofo greco, il governo migliore sia quello fondato sulla discrezionalità del sovrano. Le leggi di un governo costituzionale sono inferiori alla saggezza di un sovrano, che è perfetta mentre le prime sono rigide, anche se più giuste rispetto alla volontà arbitraria di un singolo uomo. I Greci concepiscono la legge come un aspetto della politica e non qualcosa a cui lo Stato dovesse conformarsi ed erano dunque soliti pensare, come i Romani e gli uomini del Medioevo, la legge in termini di Stato e non lo Stato in termini di legge.

La concezione moderna del costituzionalismo emerge quando si sviluppa una concezione di legge elevata rispetto alle altre leggi dello Stato, sulla quale queste ultime si basano.

L’esperienza del nord America come esempio di sistema giuridico common law

L’importanza dell’esperienza nordamericana non si limita soltanto alla circostanza che questo sia stato terreno fertile per la nascita del pensiero del costituzionalismo moderno. È, infatti, qui che nasce la prima e più longeva Costituzione scritta, frutto di quel c.d. processo di codificazione costituzionale che sempre deve culminare nella redazione di un documento giuridico che può assumere tanto il nome di Costituzione, quanto quello di Dichiarazione o Carta.

Volendo individuare un momento storico che ha dato avvio al costituzionalismo americano si può certamente fare riferimento alla Dichiarazione di indipendenza del 1776. Esso nasce primariamente come tecnica della libertà poiché individua le regole che, all’interno della comunità, assicurano ai membri l’esercizio dei diritti inviolabili, nonché il godimento delle libertà fondamentali.

Nel 1777, il Congresso di Philadelphia aveva sottoposto all’approvazione dei singoli Stati un progetto di Costituzione, che prevedeva la priorità degli Stati sulla Confederazione.  Nel 1781, il progetto ottenne il consenso degli Stati già formatisi e che avevano già adottato Costituzioni indipendenti dalla Dichiarazione di indipendenza e non avevano rinunciare alla propria sovranità. Il forte sentimento di indipendenza, radicato negli Stati, e i limitati poteri conferiti al Congresso – organo confederale –, fecero temere una disgregazione della Confederazione. Tale circostanza indusse la convocazione di un nuovo Congresso a Philadelphia che, nel 1787, aumentò i poteri dello Stato federale e previde la nomina per elezione del Presidente. Completata nel settembre 1787, la Costituzione degli Stati Uniti d’America entrò in vigore nel 1789 e, nonostante i vari emendamenti, è tuttora la legge suprema negli Stati Uniti.

Il nord America non è solo luogo di nascita del costituzionalismo: qui, grazie a sentenze come la celeberrima Marbury c. Madison[2], esso si è sviluppato. La tradizione nordamericana è, senza dubbio, la più vitale, tanto da essere modello del sistema giuridico di common law. Il common law, prima di essere un sistema giuridico inteso come complesso di regole determinate, è un modo di pensare il diritto e sistema giudiziario. Il sistema di common law si caratterizza soprattutto per l’esistenza del rule of law[3], del principio dello stare decisis e del processo con giuria.

La longevità del common law è dovuta probabilmente all’aver coniugato la dottrina razionale all’esperienza: è quest’ultima che può fornire i più soddisfacenti modelli di comportamento e regole di giudizio.

[1] G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, Il Mulino, Bologna, 1986.

[2] La sentenza Marbury c. Madison, del 1803, fu il primo caso di giudizio di costituzionalità di una legge ed instaurò il sistema del judicial review – potere di rivedere una legge o un atto ufficiale di un ente governativo nel  caso di problemi di costituzionalità -, esercitato dalle corti americane. In tale sentenza, la Corte Suprema ha interpretato l’art. VI della Costituzione americana nel senso che la Costituzione si trova in una posizione gerarchica superiore rispetto alla legge. Per questo motivo, la legge non può contrastare con quanto previsto dalla Costituzione e, qualora questo accada, la legge di rango inferiore deve essere privata dei suoi effetti.

[3] Il rule of law può essere, forse semplicisticamente, definito come il sistema di regole che disciplinano l’esercizio del potere pubblico.

Dott.ssa Ciriello Maria Francesca

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