Importanti sentenze di merito (1) hanno analizzato la nuova fisionomia della collaborazione coordinata e continuativa, esclusivamente personale, dopo l’emanazione della riforma Renzi.
Breve excursus storico
L a collaborazione coordinata e continuativa nasce per esigenze sociali. Non ripeteremo ciò che abbiamo detto altre volte in diverse riviste, compresa la presente. In estrema sintesi ricordiamo che dal mare magnum di rapporti di lavoro autonomi ,non di rado “in nero”, sorti in modo satellitare rispetto all’impresa, ma non solo, per vari motivi, non ultimo il risparmio dei costi, è emersa la collaborazione coordinata. Essa trovava legittimazione giuridica in base all’art.1322 del codice civile e un primo fondamento legislativo nella legge 14 luglio 1959 n.741 , c.d. legge Vigorelli. Successivamente sempre come “collaborazione coordinata” veniva consolidata ,attraverso la riconduzione al rito processuale del lavoro dalla legge 11 agosto 1973 n. 533 .La riforma Biagi introduceva la collaborazione coordinata a progetto.
In tale fase l’organizzazione della prestazione restava nella sfera del collaboratore. Nel frattempo il substrato sociale dell’istituto si evolveva per cui ,parallelamente, emergeva la collaborazione etero-organizzata, a volte coordinata a volte non coordinata, quest’ultima con una propria fisionomia non sussidiaria (2).
Sul coordinamento
E’ opportuno precisare che la collaborazione coordinata presuppone un processo produttivo preesistente cui connettersi e che ciò che si connette in forza del contratto di collaborazione coordinata e continuativa non è il lavoratore che resta autonomo ma è il prodotto o il servizio( l’output) (3).( 4). Se è vero infine che spetta all’imprenditore la scelta dell’an, del quanto, del come dell’impresa (5) è impossibile che possa esistere una impresa di soli collaboratori coordinati per una contraddizione dei termini in quanto il datore, anche attraverso suoi delegati, per definizione deve dirigere e controllare da vicino che la prestazione venga eseguita “esattamente” sicchè il prodotto abbia la qualità migliore possibile,(6) ciò che non potrebbe .avvenire con soli collaboratori coordinati che per definizione non sono soggetti nella loro parziale autonomia a uno stretto controllo(7) ma devono solo garantire l’output.
Sul metodo della analisi
Ci pare giusto per un esegeta ,che non si lasci prendere dalle suggestioni socio-politiche- partire da una attenta analisi del quadro normativo.
Il tutto ha preso le mosse dalla volontà di riformare le tipologie di rapporto di lavoro da parte del legislatore delegante della legge 10 dicembre 2014 n.183.
Sul tema che ci interessa abbiamo le seguenti disposizioni:
a) Il Decreto legislativo 15 giugno 2015 n.81( c.d. Jobs Act) che prevede all’art.2:
Collaborazioni organizzate dal committente ”…..i rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
b) L’art. 409 del codice di procedura civile che, fino alla modifica del 2017, prevedeva” rapporti di collaborazione che. si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata prevalentemente personale anche se non a carattere subordinato”.
c) L’art.15 della legge n.81 del 22 maggio 2017 dispone : “ La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accodo dalle parti,il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa”.
Dal quadro normativo sù esposto dovremmo dedurre. (a) che le collaborazioni coordinate sono quelle” organizzate autonomamente dal collaboratore” ; possono esistere per il legislatore (b) collaborazioni organizzate dal committente in tutto tranne che nei tempi e nel luogo della prestazione; (c) collaborazioni organizzate dal committente in tutto compresi i tempi e il luogo della prestazione. Le collaborazioni sub (b) e sub (c) ,sicuramente attività esterne all’impresa del committente devono o non devono considerarsi coordinate? Si dovrebbe rispondere,” per la contraddizion che nol consente” ( Dante Divina commedia Canto XXVII,verso 120), che non sono coordinate. Ma allora come in tali casi deve considerarsi il rapporto tra il collaboratore e l’impresa del committente .A parer nostro dovranno essere considerate collaborazioni coordinate anch’esse, non potendo considerarsi del tutto autonome, ex art. 2222c.c., prestazioni fortemente organizzate dal committente, Resta ora da esaminare il caso della “piattaforma” organizzata fortemente se non totalmente dal committente ( datore di lavoro ?) e composta solo da lavoratori etero-organizzati non dipendenti, organizzazione ,tale piattaforma, non connessa ad altra organizzazione ( impresa) ma del tutto autonoma con finalità proprie.Questa tipologia di organizzazione in effetti costituirebbe un “tertium genus” tra l’impresa tradizionale e la collaborazione coordinata e continuativa.Traendo le conclusioni ne deriverebbe che l’art.2 del D.lgs. n.81/2015 si applicherebbe a due fattispecie :
(a) ad una collaborazione etero- organizzata ma pur sempre coordinata ad altra impresa;(b) in forza di interpretazione estensiva una organizzazione di collaboratori etero-organizzati non coordinata ad altra impresa, che persegue un proprio scopo produttivo o commerciale.
Ai fini di una buona comprensione della materia e della nostra posizione in merito proponiamo il seguente schema
SCHEMA
A) LAVORO AUTONOMO ( ART. 2222 c.c.) Il committente commissiona un’opera o un servizio Il lavoratore si “autoorganizza” (Con mezzi propri, strumenti propri, tempi propri ,luogo proprio) Compie il servizio o l’opera. Incassa il pagamento convenuto. B) LAVORO PARASUBORDINATO ( AUTONOMO) b1. COLLABORAZIONE COORDINATA EX ART. 409 Cpc Organizzata autonomamente ( nei mezzi,nel tempo,nel luogo) dal collaboratore e coordinata nel ciclo di lavoro del committente di comune accordo, b2. COLLABORAZIONE ETERO-ORGANIZZATA DAL COMMITTENTE In tutto ( mezzi etc) ma non nei tempi e nel luogo ( si pensi a un committente ( una media impresa) che affida un lavoro, dando precise indicazioni e controllando saltuariamente il lavoro e facendo osservazioni sulla qualità del lavoro,a un gruppetto di artigiani – carpentieri,falegnami- che agiscono come singoli , lasciandoli liberi nei tempi e nel luogo, salvo un termine finale di consegna) Questi compiono il semilavorato richiesto e lo consegnano al committente che paga Oppure il committente affida un servizio che si inserisce nel ciclo di lavorazione del committente (addetta alla pulizia o tecnico altamente specializzato). Non si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato ( non rientra nell’art. 2 del Jobs.Act) b3. COLLABORAZIONE ETERO- ORGANIZZATA DAL COMMITTENTE ANCHE NEI TEMPI E NEL LUOGO La stessa ipotesi di cui sopra con maggiore ingerenza del committente(quasi totale eterodirezione) Sarebbe il caso dei riders di Torino ( art.2 Jobs Act) Si applica la disciplina del rapporto subordinato C ) RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO ( ART. 2094 c.c.)
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La lettura che proponiamo, contenuta nel sopra descritto schema si fonda su una particella contenuta nel testo normativo, quell’ “anche” che viene, a parer nostro, a significare che se c’è un “anche” c’è un “senza”: quindi due tipologie di collaborazioni organizzate dal datore
La collaborazione (b3), in forza di interpretazione estensiva corrisponderebbe al tertium genus individuato dalla Corte di Appello nella nota sentenza della Corte di Appello di Torino n. 24 del 4 settembre 2019 : ” Secondo il Collegio la norma in questione individua un terzo genere, che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all’articolo 2094 cc e la collaborazione come prevista dall’articolo 409 n.3 c.p.c, evidentemente per garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che, a seguito della evoluzione e della relativa introduzione sempre più accelerata delle recenti tecnologie, si stanno sviluppando. Postula un concetto di etero-organizzazione in capo al committente che viene così ad avere il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro.”
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NOTE
*Notiamo che mentre l’art.2 D. lgs n.81 del 2015 parla di collaborazione esclusivamente personale ,l’art.409 del codice di procedura civile parla di collaborazione prevalentemente personale.
(1) V. Tribunale di Torino, Sez.Lavoro, 7 maggio 2018 n.778 Giud.Buzano, Corte di Appello di Torino n. 24 del 4 settembre 2019 Pres. Fierro,Rel. Rocchetti
(2) Già nel passato si era posto un caso similare a quello dei riders trattato dai Giudici di Torino. Sempre a Torino, sia pure con riferimento ai c.d. collaboratori a progetto, vedasi la sentenza del Tribunale di Torino 5 aprile 2005, Giudice Malanetto, in Viceconte Il Mercato del lavoro,Gli strumenti della flessibilità ,Genova 2010,pag 113 : “tutti i commentatori – dice il Giudice -, pur divergendo su singoli aspetti, hanno concordato che il collaboratore debba rapportarsi ad una organizzazione aziendale, nel cui ciclo produttivo andrà ad inserirsi nel modo più o meno stretto. E’ certo, tuttavia, che deve essere quantomeno distinguibile l’organizzazione aziendale dall’attività del collaboratore che ad essa si rapporta di talchè,eliminando la collaborazione, deve evidentemente restare un’organizzazione aziendale. Il caso di specie rappresenta un’ipotesi limite in quanto, come è pacifico, solo sei sono i dipendenti a libro matricola addetti a mansioni di carattere puramente amministrativo […] a fronte di un’attività indicata nell’oggetto sociale di “distribuzione e commercializzazione di prodotti multimediali, con particolare riferimento al settore telefonico” interamente demandata ai collaboratori a progetto. Ne risulta che non un solo dipendente è addetto all’attività di cui all’oggetto sociale di promozione dei prodotti multimediali e che i collaboratori a progetto si trovano a collaborare non con una struttura aziendale, bensì con una struttura interamente composta di altri collaboratori a progetto”.
( 3 ) V. Persiani in Diritto del lavoro,Scritti minori, Cedam 2004,Pag 643, sul punto pag.650 Autonomia ,subordinazione e coordinamento nei recenti modelli di collaborazione lavorativa : “Ond’è che un primo elemento idoneo a caratterizzare il lavoro coordinato rispetto a quello subordinato è che nel primo, a differenza di quanto avviene nel secondo, l’attività lavorativa è promessa in vista della realizzazione di un programma definito consensualmente.
Di conseguenza, il lavoratore coordinato non promette la sua attività personale per il conseguimento di qualsiasi obiettivo il committente vorrà perseguire, ma promette soltanto l’attività necessaria al perseguimento del programma contrattualmente definito”.
( 4 ) V.Persiani, op. cit. pag. 651 : “L’esercizio del potere di coordinamento, dunque, diversamente da quanto accade per le istruzioni del mandante nel rapporto di agenzia, può influire anche sulle modalità di esecuzione dell’attività promessa, così come sulle caratteristiche dell’opera o del servizio, al fine di adeguarle – com’è necessario in un rapporto caratterizzato dalla continuità – alle mutevoli esigenze dell’organizzazione del committente. Al limite, l’esercizio di quel potere può comportare una modifica del programma consensuale o, se si vuole ,dell’oggetto dell’obbligazione del lavoratore coordinato”.
(5) V. XIII seminario di preparazione per dirigenti sindacali ed aziendali, L’organizzazione del lavoro nell’impresa e le responsabilità dell’imprenditore, Giuffrè 1970, pag.3 s.
(6) V. Barassi Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano ,ristampa anastatica dell’edizione del 1901,a cura di M.Napoli, Milano 2003, pag 29: ” quando il creditore del lavoro è a contatto col lavoro, lo dirige lo sorveglia, lo indirizza a quei risultati cui egli, mercé le prestazioni del debitore, intenda arrivare, vi ha locazione di opere. In tal caso il lavoratore è un istrumento, e un istrumento in un certo senso passivo, nel senso che presta le proprie attitudini fisiche e intellettive perché l’altra parte le abbia a plasmare e dirigere e indirizzare come egli intende”
(7) Sulla diversa intensità del controllo del datore tra lavoratori subordinati e lavoratori coordinati e sulla sua rilevanza v. Persiani op.cit. pag. 648:” Senonché, per individuare l’elemento caratterizzante il lavoro coordinato non sarebbe sufficiente postulare che il coordinamento avrebbe le stesse connotazioni della subordinazione, ma sarebbe meno intenso di quest’ultima in quanto comporterebbe l’assoggettamento a poteri del committente che avrebbero contenuti minori rispetto a quelli tipici del datore di lavoro. L’applicabilità di una o di un’altra disciplina legislativa ben può essere stabilita utilizzando un criterio quantitativo, almeno a condizione che le variazioni di quantità siano idonee ad esprimere la diversità dei modi in cui si atteggiano gli interessi in giuoco. Basti pensare, per restare al diritto del lavoro alla rilevanza così spesso assegnata dal legislatore alle dimensioni dell’impresa. Ma il criterio quantitativo è di agevole utilizzazione soltanto quando sia definito dalla legge. Altrimenti, può essere, se mai, utilizzato soltanto ai fini della precomprensione e, cioè, per un primo approccio alla decisione,mentre, in mancanza di punti di riferimento obiettivi, quel criterio induce necessariamente a decisioni improntate ad un’empiria inammissibile perché affidata soltanto alla sensibilità soggettiva dell’interprete. Il criterio basato sulla diversa intensità dei poteri del committente del lavoro coordinato rispetto a quelli del datore di lavoro dunque, non è.di per sé solo, appagante. Tuttavia ed in assenza di altre indicazioni della legge quel criterio finisce per avere una sua intrinseca e ragionevole validità”.
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