La colpevolezza nel diritto penale francese

  1. La concezione della colpevolezza

In Francia è finora mancata una rigorosa elaborazione della colpevolezza, paragonabile a quella realizzata in Germania, Spagna ed Italia, ove essa è stata ricostruita come categoria dogmatica che concilia componenti normative e soggettivistiche.

Sollecitata dalle scienze empirico sociali, mossa anzitutto da preoccupazioni politico criminali, la dottrina ha dato prova di notevole fluidità al riguardo[1].

Tradizionalmente è invalsa una concezione “psicologizzante[2]” della colpevolezza. Essa traspare dalle classiche definizioni di dolo e di colpa, incentrate sulla presenza e sull’assenza di volontà (volonté)[3], senza sviluppo del momento ascrittivo‑valutativo caratterizzante la concezione normativa di colpevolezza[4].

Questa weltanschauung si spiega in parte con l’influsso esercitato sui penalisti dalle scienze criminologiche, che in Francia godono di notevole prestigio. Generalmente i criminologi ritengono la teoria normativa deficitaria e inattendibile, in quanto costruita su un modello irreale di agente che non tiene conto di complessi meccanismi psicologici[5].

Tuttavia recentemente, soprattutto ad opera di A.‑Ch. Dana[6], è stata denunciata la falsità del contenuto psicologico della colpa, la quale si sostanzierebbe unicamente nell’oggettiva violazione del dovere di diligenza.

Si è così assistito ad un “glissement de la faute psychologique vers la faute normative”[7], a seguito di cui sono oggi frequenti affermazioni del seguente tenore: «La colpevolezza non ha un contenuto psicologico contrariamente a ciò che afferma la tesi tradizionale in Francia. Essa è d’ordine normativo»[8].

Simile lettura della colpevolezza colposa in chiave di “normatività”[9], secondo una valutazione oggettiva, meramente legale, del realizzarsi della violazione è più aderente alla realtà giurisprudenziale. Invero i giudici, avvallati dalla Cassazione, si sono spinti oltre. Attraverso meccanismi probatori presuntivi, essi hanno oggettivizzato gli stessi requisiti strutturali del dolo, abbreviando la distanza che lo separa dalla colpa.

Infine, con la creazione delle infractions matérielles[10], la giurisprudenza ha dato la massima concretizzazione al rischio insito in ogni ricostruzione normativa: l’ascrizione della responsabilità penale sulla base della sola divergenza dal precetto[11].

Secondo Donini[12], si tratta di un processo favorito, sotto la vigenza del Code Napoléon, dalla propensione del legislatore a costruire fattispecie di mera condotta apparentemente dolose, ma prive di referenti oggettivi pregnanti, d’elementi di dolo specifico, di tendenza, di frode ecc. Invero, se la descrizione del fatto non è espressiva del dolo, se non reca in sé la sua impronta, vengono condizionate la prova e l’identità della tipicità soggettiva. Ciò ha consentito ai giudici di affermare che il dolo fosse in re ipsa, oppure che la fattispecie fosse implicitamente colposa o, come è accaduto per i delitti contravvenzionali, che il legislatore implicitamente legittimasse la responsabilità oggettiva.

A siffatte aberrazioni del giudizio normativo di colpevolezza si è giunti anche per la scarsa consapevolezza del rango sovraordinato dello Schuldprinzip[13], problema acuito dal fatto che in Francia il principio del nullum crimen sine culpa non è costituzionalizzato.

In questo contesto s’inserisce il codice penale del 1994[14]. Nel titolo II (De la responsabilité pénale) del libro I esso racchiude l’art. 121‑3 n.C.p. (nouveau Code pénal), prima consacrazione generale dei criteri d’imputazione soggettiva del reato[15]. La norma, novellata nel 1996[16] e nel 2000[17], oggi consta di 5 commi e prevede una serie articolata di criteri d’imputazione soggettiva.

Per alcuni interpreti questa minuziosità dovrebbe consentire una modulazione della sanzione in funzione del tipo e del grado d’adesione psicologica al fatto di reato[18]. Altri reputano che essa testimoni l’affanno del legislatore nell’accostarsi al problema della responsabilità penale colpevole[19]. Infine una dottrina[20] sostiene che la norma, di per sé non risolutiva, può rappresentare lo stimolo per la costruzione di una compiuta teoria della colpevolezza. In quest’ultima ottica è possibile osservare che certe previsioni dell’art. 121‑3 n.C.p., se coerentemente applicate, potrebbero risolvere taluni dei problemi suesposti. In tal senso, sono ipotizzabili un ripensamento del dolo come criterio d’imputazione dotato di coefficienti psicologici reali (quale effetto indiretto della creazione della mise en danger délibérée)[21] ed un’introduzione di correttivi all’eccessiva oggettivizzazione della colpa[22].

Alla luce di queste considerazioni, è possibile intraprendere un esame dei criteri d’imputazione soggettiva del reato nel diritto penale francese.

  1. Il dolo

In forza del comma 1 dell’art. 121‑3 n.C.p. il dolo (intention) assurge al ruolo di criterio generale d’imputazione soggettiva per i crimini ed i delitti[23].

La norma dispone che «Non c’è crimine o delitto senza intenzione di commetterlo».

Precisamente, mentre per i crimini la responsabilità penale è solo dolosa, per i delitti, similmente all’ordinamento italiano, è possibile altresì una responsabilità a titolo di colpa o di mise en danger délibérée, se così previsto dalla singola norma incriminatrice (art. 121‑3, commi 2‑3 n.C.p.).

Il legislatore del 1994 non ha definito l’intention, rinviando implicitamente alle elaborazioni dottrinali in proposito (la giurisprudenza astenendosi da enunciazioni generali)[24].

Secondo la classica definizione di E. Garçon[25], richiamata dalla dottrina contemporanea, il dolo consiste nella «volontà (volonté) di commettere il reato come definito dalla legge» e nella «coscienza (conscience) di violare le prescrizioni legali». Sono dunque distinti un momento rappresentativo ed uno volitivo.

Si discute se nell’oggetto del dolo rientri l’illiceità penale[26], come si dedurrebbe dalla definizione succitata.

Sotto la vigenza del vecchio codice, parte della dottrina si pronunciava in senso affermativo, reputando che l’integrazione del dolo richiedesse la coscienza di tutti gli elementi del reato[27]. Tuttavia, essa sosteneva che la coscienza dell’illiceità penale fosse presunta iuris et de iure, evitando di urtare il principio nemo censetur legem ignorare.

Dopo l’entrata in vigore del nuovo codice, gli interpreti si sono confrontati con l’art. 122‑3 n.C.p.[28] che riconosce l’effetto scusante dell’errore di diritto[29] (erreur de droit) inevitabile. I fautori della concezione classica d’intention hanno sostenuto che quest’ultimo escludesse il dolo. Diversamente, coloro che la ripudiano, identificando l’intention con la coscienza e con la volontà dei soli elementi materiali del fatto, hanno teorizzato che l’errore inevitabile fosse una causa di non imputabilità.

Al di là della scarsa incidenza pratica della norma[30], la querelle è sintomatica della mancanza di una compiuta teoria della colpevolezza, alla luce di cui la coscienza dell’illiceità penale occupi uno spazio autonomo nel giudizio di colpevolezza[31].

Proseguendo nell’indagine sull’oggetto dell’intention, si ricava dalla manualistica che, per l’integrazione della forma ordinaria di dolo (dol général), comune alla maggioranza dei reati, non sono necessarie la coscienza e la volontà dell’intero fatto tipico[32], ma della sola condotta[33].

Quanto al profilo probatorio, la giurisprudenza ritiene che la sussistenza delle componenti del dol général sia insita nell’accertamento degli elementi oggettivi del reato, quasi fosse stata postulata dal legislatore al momento della formulazione della norma incriminatrice. Ne consegue che factum pro dolo accipitur, sebbene sia fatta salva la prova dell’errore di fatto[34] (erreur de fait) fornita dall’imputato.

Sovente la Cassazione dichiara: «L’elemento psicologico risulta dalla natura stessa del delitto e non necessita di essere affermato dal giudice»[35]. O ancora: «la sola constatazione della violazione en connaissance de cause di una prescrizione legale o regolamentare, da parte del suo autore, implica l’intention richiesta dall’art. 121‑3 n.C.p.»[36]. Il rischio è che l’elemento soggettivo scolori nella suitas.

Una dottrina[37] ha osservato che una qualificazione del reato come colposo offrirebbe all’imputato maggiori garanzie sul piano dell’accertamento probatorio, considerato che il reato doloso non richiede l’accertamento della mancata adozione di una cautela diversa da quella imposta dalla norma incriminatrice[38].

Occorre dunque non farsi trarre in inganno dalla terminologia utilizzata per contrapporre i reati dolosi (infractions intentionnelles) a quelli colposi (infractions non intentionnelles)[39], che parrebbe incentrare il concetto di dolo sull’intensa partecipazione del soggetto all’evento, sulla volontà di esso[40]. Contrariamente a quanto lascerebbero intendere le spiegazioni etimologiche della dottrina[41], la forma di dolo ordinariamente richiesta dal legislatore non è assimilabile all’italiano dolo intenzionale, cui corrisponde il massimo grado del momento volitivo.

Nell’ordinamento francese si reputa che solo eccezionalmente per l’ascrizione di responsabilità penale[42] sia necessario un dol spécial (da non confondere con il dolo specifico della dogmatica italiana). Esso, definito come «l’intention di raggiungere un risultato proibito dalla legge penale»[43], si caratterizza per avere ad oggetto l’evento la cui verificazione è richiesta dalla norma incriminatrice per l’integrazione del reato (per esempio nell’omicidio ex art. 221‑3 n.C.p.), oppure uno scopo preciso (but précis) previsto dalla norma penale (per esempio «gettare discredito sulla Giustizia», ex art. 431‑21 n.C.p.)[44].

Dottrina e giurisprudenza, per individuare le ipotesi di parte speciale che richiedono un dol spécial, utilizzano due criteri. Il primo è terminologico e si basa sulla presenza nel testo della norma incriminatrice di locuzioni quali “à dessein”, “avec l’intention”, “dans le but” etc. Il secondo fa riferimento alla struttura materiale del fatto incriminato (per esempio nel caso dell’omicidio o delle lesioni), postulando che la fattispecie sia costruita in modo da rispecchiare il criterio d’imputazione soggettiva. Questo principio si scontra tuttavia con la tendenza del legislatore (evidenziata da Donini[45]), a costruire fattispecie dalla tipicità soggettiva indifferenziata e per lo più di mera condotta.

Sul piano probatorio, il dol spécial è, teoricamente, affrancato da presunzioni[46]. In realtà nella prassi la distanza tra dol général e dol spécial diventa esigua. Per esempio, nel caso delle lesioni volontarie la Cassazione ritiene sufficiente ad integrare il dol spécial la volontà del movimento corporeo da parte dell’agente; la volontà dell’evento dannoso s’identificherebbe in un semplice motivo o movente (mobile), irrilevante per l’integrazione del reato.

Paradigmatica è la motivazione di una sentenza della Chambre criminelle in materia di lesioni volontarie: «la contravvenzione definita dall’art. R. 40‑1°(a.C.p.) è costituita allorché esiste un atto volontario di violenza, qualunque sia il motivo che ha ispirato quest’atto, anche qualora il suo autore non abbia voluto il danno che ne è risultato»[47].

  1. La colpa

Ex art. 121‑3, al. 3 n.C.p., per i delitti[48] è possibile, eccezionalmente, una responsabilità a titolo di colpa (faute pénale ordinaire)[49]. Essa è prevista nelle forme della colpa generica, come imprudenza (imprudence) o negligenza (négligence)[50], e della colpa specifica, consistente nella «violazione di un obbligo di prudenza o di sicurezza previsto dalla legge o dal regolamento».

Sembrerebbe che la colpa specifica sia considerata dal legislatore come dotata di maggiore disvalore, essendo più aspramente sanzionata dalle fattispecie di parte speciale[51].

L’ascrizione di responsabilità a titolo di colpa è subordinata ad una previsione della disposizione incriminatrice di parte speciale. Al riguardo, vari interpreti italiani[52] hanno notato che l’art. 121‑3 al. 3 n.C.p., diversamente dall’art. 42 comma 2 del c. p. italiano, non richiede una previsione legale espressa. Ciò potrebbe significare che il giudice sia autorizzato ad individuare, in via interpretativa, fattispecie implicitamente colpose, estendendo l’ambito della punibilità[53].

La discrezionalità del giudice è acuita dal fatto che non esiste una completa definizione della colpa nella parte generale del codice. Il legislatore ha perpetuato un modello di definizione “differenziata” o “di parte speciale”[54], già adottato dal Code Napoléon. In base ad esso la nozione di colpa si ricava dalle norme di parte speciale che descrivono le singole fattispecie colpose (in particolare omicidio e lesioni, ex artt. 221‑6 e 222‑19 n.C.p.).

La dottrina francese tradizionale pone in risalto il contenuto, o meglio, l’assenza di contenuto psicologico della condotta colposa, definendo la colpa come «l’inerzia della volontà che conduce ad un’attività senza prevederne l’effetto»[55]. Tuttavia, la moderna manualistica[56] mostra una certa distanza da questa concezione. Accanto all’imprévoyance, intesa come mancata previsione di ciò che era prevedibile, essa individua l’indiscipline, la violazione del dovere di diligenza, quale elemento costitutivo della colpa, cui dedica gran parte della propria attenzione.

L’approccio della dottrina contemporanea è più vicino alla realtà del diritto positivo, ove la colpa ha una connotazione fortemente normativa[57], talora astratta, che non solo rischia di ledere il principio di colpevolezza, ma può altresì mascherare forme di responsabilità per mero versari in re illicita.

Jescheck[58] ha così descritto la colpa nell’ordinamento francese: «in Francia per il giudizio dei reati colposi sono rilevanti non la colpevolezza d’autore, ma le esigenze della sicurezza e dell’ordine pubblici. La colpa viene qui concepita in modo puramente oggettivo sulla base della teoria dell’“identité de la faute pénale et civile”, così come anche in Germania il concetto civilistico di colpa non presuppone nessun accertamento individuale della colpevolezza».

In particolare, in base alle applicazioni giurisprudenziali delle norme in materia di omicidio e di lesioni colposi (artt. 221‑6 e 222‑19 n.C.p.), invalse almeno fino al 1996[59], la responsabilità penale era affermata a seguito della constatazione della difformità della condotta concreta da una regola cautelare scritta, secondo una presunzione iuris et de iure di colpa ed un modello di prevenibilità in astratto dell’evento. S’ignoravano così le problematiche inerenti alla personalizzazione del giudizio di colpa[60] e, sul piano della tipicità, al nesso tra la condotta e l’evento[61].

Questa situazione aveva destato il malcontento dei décideurs, specie dei décideurs publics[62]. A causa del ruolo ricoperto all’interno della persona giuridica, essi erano frequentemente esposti a sanzioni penali, soprattutto per reati causati mediante omissione, dovendo rispondere delle violazioni di leggi e di regolamenti commesse da loro stessi o dai sottoposti. La massiccia positivizzazione di regole cautelari, incidenti sull’esercizio dei poteri di polizia locale e d’amministrazione e gestione delle risorse pubbliche, comportava, infatti, il rischio di forme di responsabilità oggettiva.

Nel 1996 è stata dunque approvata una legge[63]di riforma dell’art. 121‑3 n.C.p., fortemente voluta dall’Esecutivo. Di essa gli interpreti[64] evidenziano come non sia stata concepita per recepire gli sviluppi delle teorie sulla colpevolezza, quanto piuttosto per lo scopo politico di circoscrivere la responsabilità penale degli amministratori pubblici (élus locaux).

Il progetto di legge iniziale prevedeva che la riforma fosse applicata solo agli amministratori locali. Tuttavia, a seguito di emendamenti presentati dal Governo, è stata sancita l’applicazione generalizzata[65].

Nel testo originario dell’art. 121‑3 n.C.p. la faute ordinaire era disciplinata nel comma 2 che dichiarava: «allorché la legge lo prevede c’è delitto in caso d’imprudenza, di negligenza». Non era contemplata la responsabilità per «violazione di un obbligo di prudenza o di sicurezza previsto dalla legge o dal regolamento», benché questa previsione comparisse in numerose disposizioni della parte speciale.

A seguito della riforma è stato inserito nell’art. 121‑3 n.C.p. un nuovo comma, il terzo. In esso è transitata la colpa generica, cui è stata affiancata la colpa specifica. Con riferimento precipuo a quest’ultima (la precisazione non era indispensabile per la colpa generica[66]), sono stati, inoltre, enunciati i parametri che dovrebbero sottendere al giudizio di responsabilità per colpa. Secondo la norma, la colpa si configura «se è accertato che l’autore dei fatti non ha usato la diligenza normale, tenuto conto, all’occorrenza, della natura delle sue missioni o delle sue funzioni, delle competenze, così come del potere e dei mezzi di cui dispone».

In base alle interpretazioni dottrinali è stata sancita, innanzitutto, la possibile divergenza tra la norma cautelare scritta ed il dovere di diligenza. Inoltre si è consacrato il principio generale per cui le regole di diligenza debbono venire ampiamente ritagliate sulla persona del singolo agente, con riferimento al suo profilo professionale. In definitiva verrebbe ripudiato il generico modello del buon padre di famiglia ed accolto quello dell’homo eiusdem condicionis et professionis[67]. Nondimeno, la dottrina maggioritaria esclude che la legge autorizzi una valutazione soggettivistica della colpa (appréciation subjective), che tenga conto della psicologia o delle attitudini particolari del reo[68]. Il giudizio deve restare oggettivo (appréciation objective)[69]. Ciò non significa che il giudice possa prescindere dalle circostanze concrete[70], esterne alla persona dell’agente, che ne hanno accompagnato la condotta. Da questo punto di vista la legge invita ad un apprezzamento in concreto[71].

Lungi dal conformarsi ai disegni dei promotori della riforma, la giurisprudenza è stata incline ad affermare il mancato assolvimento dei doveri di diligenza da parte dei décideurs. Addirittura i giudici hanno ritenuto che, in base al nuovo testo dell’art. 121‑3 n.C.p., fosse necessario esigere dai décideurs publics e privés un grado di diligenza particolarmente elevato.

Per esempio, la Chambre criminelle ha cassato la sentenza che aveva prosciolto un dirigente d’impresa, cui era contestato il reato di lesioni colpose nei confronti di un operaio, motivando che i giudici di merito avrebbero dovuto accertare «se, in quanto datore di lavoro dotato della competenza, dell’autorità e dei mezzi necessari per le sue funzioni, avesse compiuto le diligenze normali che su di lui incombevano, ai sensi dell’art. 121‑3 n.C.p. nella sua redazione scaturita dalla legge del 1996»[72].

Stimando che la legge del 1996 non avesse arginato la tendenza dei giudici a pretendere dai décideurs publics, in particolare dai sindaci, gradi di diligenza in concreto inesigibili (per carenza di mezzi economici, personale ecc.)[73], nel 2000 i parlamentari hanno approvato una nuova riforma dell’art. 121‑3 n.C.p. Di essa si tratterà nel prosieguo, giacché per comprenderla è necessario accennare alla mise en danger délibérée, criterio d’imputazione soggettiva disciplinato dall’art. 121‑3 n.C.p. fin dalla sua redazione iniziale.

  1. La mise en danger délibérée

Tra le novità introdotte dal codice penale del 1994 si annovera un criterio d’imputazione soggettiva: la deliberata messa in pericolo dell’altrui persona (mise en danger délibérée de la personne d’autrui).

In origine essa era prevista accanto alla colpa dall’art. 121‑3, al. 2 n.C.p.[74]; la legge del 1996[75] ha disposto che i due criteri d’imputazione soggettiva fossero disciplinati in commi distinti[76], cosicché oggi quello dedicato alla mise en danger (al. 2) è in posizione intermedia tra i commi consacrati al dolo (al. 1) ed alla colpa (al. 3).

L’art. 121‑3 al. 2 n.C.p. si limita a sancire che la mise en danger, in caso di previsione della norma incriminatrice, può operare con riferimento ai delitti[77].

La disposizione enuncia: «Tuttavia, allorché la legge lo prevede, c’è delitto in caso di mise en danger délibérée de la personne d’autrui».

Dalle norme incriminatrici che applicano la previsione di parte generale si ricava la definizione della mise en danger délibérée come «violazione manifestamente deliberata di un’obbligazione particolare di sicurezza o di prudenza imposta dalla legge o dal regolamento»[78]. Così descritta, essa viene in rilievo in due ordini d’ipotesi, di cui al libro II del codice (dedicato ai reati contro la persona). In uno la mise en danger è circostanza aggravante di reati di danno: delitti d’omicidio e di lesioni colposi.

I commi 1 degli artt. 221‑6 e 222‑19 n.C.p. disciplinano le ipotesi di base, rispettivamente dell’omicidio e delle lesioni colposi cagionanti un’incapacità totale al lavoro superiore ai 3 mesi. I commi 2 degli stessi articoli prevedono, nel caso di mise en danger, un innalzamento del limite edittale massimo di pena[79]. Inoltre, la mise en danger è condizione per l’integrazione di autonome fattispecie di lesioni colpose: una delittuosa[80] ex art. 222‑20 n.C.p. (se è stata cagionata un’incapacità totale al lavoro di durata inferiore o uguale ai tre mesi ), ed una contravvenzionale[81] ex art. 625‑3 n.C.p. (se si verifica una lesione dell’altrui integrità fisica senza che ne derivi alcuna incapacità al lavoro).

Nell’altro la mise en danger è condizione per l’integrazione di una fattispecie di pericolo: il delitto di risques causés à autrui, ex art. 223‑1 n.C.p., consistente nel «Fatto di esporre direttamente altri ad un rischio immediato di morte o di lesioni di natura tale da comportare una mutilazione o un’infermità permanente in conseguenza della violazione manifestamente deliberata di un’obbligazione particolare di sicurezza o di prudenza imposta dalla legge o dal regolamento».

Coniugando l’art. 121‑3 al. 2 n.C.p. e le norme di parte speciale, emerge che il legislatore ha individuato il contenuto della mise en danger nella volizione della condotta e nella previsione (in assenza di volizione) di un eventuale danno come sua conseguenza[82]. In tal senso sarebbe dato autonomo rilievo ad un livello di partecipazione psicologica dell’agente al fatto intermedio[83] fra quello proprio della faute ordinaire (che si sostanzia nell’assenza di volizione della condotta e, di conseguenza, nella mancata previsione dell’evento), e quello caratterizzante il dol spécial (consistente nella volizione dell’evento).

Come afferma Pioletti[84], la mise en danger, così concepita, è l’eredità di una tradizione psicologista e volontaristica nella definizione della responsabilità penale, sulla scorta di cui il legislatore ha ritenuto di poter canonizzare la distinzione tra previsione e volizione dell’evento, rivelatasi problematica anche in ordinamenti dalle più solide fondamenta dogmatiche[85]. Tuttavia, poiché la mise en danger è destinata a venire applicata in un ordinamento positivo incline al normativismo, che confonde tra loro i criteri d’imputazione soggettiva, esiste il pericolo che, analogamente a quanto accaduto per il dolo e per la colpa, il suo contenuto psicologico subisca un depauperamento in sede di accertamento giudiziale.

Questo rischio si è concretizzato per l’inglese recklessness. Considerata un’antesignana della mise en danger[86], essa si colloca tra il dolo (intention) e la colpa (negligence)[87] ed è ordinariamente definita come “assunzione cosciente ed irragionevole di un rischio” (“conscious and unreasonable risk‑taking”)[88]. Parte della dottrina si è opposta a simile nozione di stampo psicologico, affermando che: «makes a distinction which has no moral basis»[89]. È così riemerso il duttile pragmatismo che per tradizione impronta la concezione della mens rea in Common Law[90], in forza di cui, dall’Ottocento, si è affermata una nozione di colpa come mera descrizione di una condotta obiettivamente inosservante di uno standard generale di comportamento[91]. Gli effetti di tale mentalità si sono manifestati in sede d’applicazione della recklessness, che una corrente giurisprudenziale ha inteso in senso oggettivo, prescindendo dalla psicologia del reo e dalla prova della previsione dell’evento connesso alla condotta tipica[92].

Ove ciò non si verificasse e si volesse realizzare lo scopo, apparentemente perseguito dal legislatore, di graduare la risposta sanzionatoria in funzione del tipo e del grado di colpevolezza, coerenza imporrebbe di restituire contenuto psicologico a criteri d’imputazione soggettiva che l’hanno perso.

Una dottrina[93] ha evidenziato tale aspetto con riferimento ai rapporti tra mise en danger e dol spécial. Poiché nella prassi giurisprudenziale quest’ultimo è ritenuto sussistere anche in mancanza di volizione dell’evento, esso finisce per essere difficilmente distinguibile dalla mise en danger. Per esempio, se a seguito di una condotta volontaria si verificano delle lesioni personali, può porsi il dubbio tra attribuzione del fatto a titolo di dolo o di colpa aggravata da mise en danger.

Con riguardo al dol général, un’altra dottrina[94] ha notato che la sua stessa definizione urta con quella della mise en danger. Infatti, l’avvento di quest’ultima ha fatto sì che la volizione della condotta non sia più componente intrinsecamente esclusiva del dolo. Poiché la mise en danger si connota per essere délibérée, la necessità di una precisa caratterizzazione del dolo impone che il suo oggetto non sia limitato alla condotta. Alcuni autori[95] hanno conseguentemente auspicato l’eliminazione del dol général, in modo che la categoria dell’intention coincida con il dol spécial.

  1. La faute caractérisée

Avendo accennato alla mise en danger, è possibile trattare della legge che nel 2000[96] ha nuovamente riformato l’art. 121‑3 n.C.p. con l’obiettivo, già perseguito dalla legge del 1996, di circoscrivere la responsabilità dei décideurs per reati colposi[97]. A tal fine il legislatore ha inserito un nuovo comma 4[98], in base al quale l’accertamento della causalità è funzionale al giudizio di colpevolezza, secondo il principio per cui l’ascrizione di responsabilità penale ad una persona fisica[99] è subordinata all’accertamento di una colpa di gravità inversamente proporzionale alla prossimità della condotta all’evento dannoso. Così, nel caso di causalità diretta è sufficiente una faute ordinaire ex art. 121‑3 al. 3 n.C.p., mentre in quello di causalità indiretta si richiede una faute qualifiée[100]: alternativamente una mise en danger délibérée o una “colpa di eccezionale gravità”[101], denominata faute caractérisée.

La norma ha suscitato le critiche della dottrina italiana[102] per la commistione fra tipicità e colpevolezza, derivante dall’adozione di un modello di scomposizione del reato in base a cui il lien de causalité è ricondotto all’élément moral (colpevolezza) anziché all’élément matériel[103](tipicità).

Tra gli interpreti francesi[104] sono sorte perplessità riguardo al rimando alla nozione di causalità indiretta. Mentre esso è d’intuitiva comprensione se riferito all’ambito di responsabilità dei décideurs, spesso chiamati a rispondere per il fatto commesso dai preposti, diviene più oscuro se trasposto in altri contesti. Tuttavia, dagli esempi addotti dalla circolare ministeriale di commento alla legge del 2000[105], si deduce che il riferimento sia al concorso di più condizioni nella produzione di uno stesso evento, in particolare ai casi di decorso causale atipico. Sembrerebbe che il legislatore abbia inteso temperare gli eccessi che, in mancanza di una norma analoga all’art. 41 co. 2 CP italiano, derivano dall’applicazione del criterio condizionalistico e che hanno conseguenze più deleterie in un ordinamento ove il dolo e la colpa sono intesi in senso oggettivo[106]. Si comprende così l’affermazione, ricorrente nei dibattiti parlamentari[107], secondo cui l’art. 121‑3 al. 4 n.C.p. sancirebbe il parziale superamento della teoria condizionalistica, tradizionalmente adottata dalla giurisprudenza, in favore della teoria della causalità adeguata. Essa va intesa nel senso che debba essere evitata la parificazione dell’attitudine causale di tutti gli antecedenti necessari dell’evento, individuando tra questi le condotte che non appaiono tipicamente idonee o adeguate a produrre l’evento e che, in quanto tali, sono penalmente sanzionabili solo in presenza di una faute qualifiée.

Quanto ai criteri d’imputazione soggettiva menzionati dall’art. 121‑3 al. 4 n.C.p., mentre esiste concordanza nel ritenere che, mediante il riferimento alla violazione manifestamente deliberata di una norma cautelare scritta, sia richiamata la mise en danger délibérée ex art. 121‑3 al. 2 n.C.p.[108], incertezze sussistono sull’identificazione della faute caractérisée[109]. Il legislatore non ha indicato i contenuti di quest’ultima, lasciando intendere[110] che essa sia meno grave della mise en danger (la cui unica previsione avrebbe ristretto eccessivamente l’ambito della responsabilità[111]), ma dotata di maggiore intensità rispetto alla faute ordinaire[112]. In tal senso, secondo Curi[113] la riforma avrebbe inquadrato le singole nuance psicologiche della colpevolezza.

Quest’affermazione non è tuttavia del tutto condivisibile, se si ha riguardo alla prassi applicativa della faute caractérisée[114]. Come era stato preconizzato[115], la nuova redazione dell’art. 121‑3 n.C.p. non ha sortito gli effetti sperati, almeno nel campo della colpa specifica. Soprattutto la responsabilità penale dei décideurs privés non ha subito drastiche limitazioni[116], specie nell’area della sicurezza sul lavoro[117]. Ciò è conforme alla tradizionale propensione della giurisprudenza ad adottare, nel caso di violazione di una norma cautelare scritta, un modello di prevenibilità in astratto dell’evento, quanto al nesso causale, e a presumere la colpa.

  1. La faute contraventionnelle

Ex art. 121‑3 al. 5 n.C.p. «Non c’è contravvenzione in caso di forza maggiore». Il legislatore ha così consacrato il principio giurisprudenziale, consolidatosi dagli inizi dell’Ottocento, secondo cui per l’integrazione delle contravvenzioni è sufficiente che il fatto sia “materialmente” constatato[118], senza la necessità che il pubblico ministero provi una partecipazione psicologica[119] (in tal senso le contravvenzioni sono indicate come infractions matérielles[120]). La responsabilità contravvenzionale è tuttavia esclusa se è provata la force majeure: ampia categoria comprendente, oltre alle ipotesi di forza maggiore e di caso fortuito, i principali casi di esclusione dell’imputabilità[121]. Richiedendosi dunque un coefficiente minimo di soggettività, si parla a proposito delle contravvenzioni di “faute contraventionnelle”, quale criterio d’imputazione soggettiva, seppur sui generis. Soprattutto la dottrina più risalente è stata restia ad ammettere che la responsabilità contravvenzionale configurasse un’ipotesi di responsabilità oggettiva e ha teorizzato che l’elemento psicologico non fosse assente, ma presunto, insito nella struttura del fatto descritto dalla norma incriminatrice. In realtà il fatto è qui costruito in modo da essere indifferente al dolo o alla colpa, il legislatore avendo vanificato l’utilità e la praticabilità del loro accertamento. Invero queste incriminazioni assolvono una funzione preventiva (but de police), mirando a promuovere il rispetto di regole di condotta la cui violazione non è dannosa o pericolosa se isolatamente considerata, ma diventa tale in caso di reiterazione[122]. Essendo irrilevante il risultato immediato della condotta, lo è altresì l’atteggiamento psicologico soggiacente. Ciò si collega all’assunto di partenza[123], per cui la tipicità oggettiva necessariamente si riflette sulla tipicità soggettiva.

Sotto la vigenza del codice del 1810, la creazione, da parte del legislatore, di delitti (délits matériels) la cui struttura oggettiva era modellata su quella delle contravvenzioni ha permesso alla giurisprudenza di prescindere anche per essi dall’accertamento del dolo o della colpa. Questa prassi è oggi invalidata, alla luce del comma 1 dell’art. 121‑3 n.C.p.

[1] Sicurella R., L’impervio cammino del principio di colpevolezza nel sistema penale francese, in Riv. ital. dir. proc. penale, 2001, p. 946‑997 (p. 947).

[2] De Simone G., Il nuovo codice francese e la responsabilità penale delle personnes morales, in Riv. ital. dir. proc. penale, 1995, p. 189 ss. (p. 219), che sottolinea come essa abbia favorito l’affermarsi della responsabilità penale delle persone giuridiche.

[3] Lemoine E., La répression de l’indifférence sociale en droit pénal français, Paris, L’Harmattan, 2002, p. 284.

[4] Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 953.

[5] Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 955.

[6] Dana A.‑Ch., Essai sur la notion d’infraction pénale, LGDJ, 1982, in Lemoine E., La répression de l’indifférence, cit., p. 284. Secondo l’autore, solo ai fini della responsabilità dolosa occorre accertare un atteggiamento psicologico reale che si aggiunga alla violazione della norma penale.

[7] Lemoine E., La répression de l’indifférence, cit., p. 285.

[8] Ruet C., Commentaire de la loi n. 96‑393 du 13 mai 1996 relative à la responsabilité pénale pour des faits d’imprudence ou de négligence, in Rev. sc. crim., 1998, p. 23‑37 (p. 26).

[9] Donini M., Il delitto contravvenzionale. Culpa iuris e oggetto del dolo nei reati a condotta neutra, Milano, Giuffrè, 1993, p. 150, che evidenzia la lontananza di questa dottrina dalle matrici tedesche del concetto propriamente normativo di colpevolezza, il quale non oblitera, ma valorizza la realtà motivazionale e psicologica del reo.

[10] Infra, paragrafo 6.

[11] In tal senso, Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 982.

[12] Donini M., Il delitto contravvenzionale, cit., p. 134.

[13] De Simone G., Il nuovo codice francese, cit., p. 219.

[14] Il nuovo codice penale (comunemente definito nouveau Code pénal) è entrato in vigore il 1° marzo 1994.

[15] A detta di vari interpreti si tratta di una delle norme più significative del nuovo codice penale (Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 962).

[16] Legge n. 96‑393 del 13 maggio 1996, Relative à la responsabilité pénale pour des faits d’imprudence ou de négligence, in Journal Officiel, 14 maggio 1996, p. 7211.

[17] Legge n. 2000‑647 del 10 luglio 2000, Tendant à préciser la définition des délits non intentionnels, in Journal Officiel, 11 luglio 2000, p. 10484.

[18] Mayaud Y., De l’article 121‑3 du code pénal à la théorie de la culpabilité en matière criminelle et délictuelle, in D., 1997, 7e cahier, Chro., p. 37‑43 (p. 39).

[19] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, 9e ed., Paris, Economica, 2002, p. 402.

[20] Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 997.

[21] Infra, paragrafo 4.

[22] Infra, paragrafo 3.

[23] Il principio della suddivisione dei reati in tre categorie (crimini, delitti e contravvenzioni), tradizionale nell’ordinamento penale francese, è oggi consacrato dall’art. 111‑1 n.C.p.

[24] Pradel J., Manuel de droit pénal général, mise à jour au 1er septembre 2000, Paris, Cujas, 2000, p. 436.

[25] Citato da Lemoine E., La répression de l’indifférence, cit., p. 284.

[26] Sul punto cfr. De Simone G., Il nuovo codice francese, cit., p. 200.

[27] Questa soluzione scaturiva dal concepire il reato come comprensivo dell’elemento legale (élément légal), ovvero della legge violata che prevede l’illecito.

[28] Art. 122‑3 n.C.p.: «Non è penalmente responsabile la persona che dimostra di aver creduto, per un errore sul diritto che non era in grado di evitare, di poter compiere l’atto legittimamente».

[29] Occorre notare che nell’ordinamento francese l’errore sulla legge penale e quello sulla legge extra-penale sono assimilati.

[30] Dai lavori parlamentari emerge che sono riconducibili all’errore inevitabile ex art. 122‑3 n.C.p. ipotesi eccezionali, come la mancata pubblicazione della norma o l’informazione erronea fornita dall’Amministrazione.

[31] In tal senso, cfr. Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 985 ss., la quale offre una panoramica delle posizioni dottrinali sulla questione.

[32] Come invece sostenuto dalla dottrina italiana per l’integrazione di ogni forma di dolo (cfr. Dolcini E., Marinucci G., Manuale di diritto penale, pt. gen., Milano, Giuffrè, 2004, p. 188).

[33] Merle R., Vitu A., Problèmes généraux de la science criminelle. Droit pénal général, 7e éd., Paris, Cujas, 1997, p. 730, che si riferiscono agli “atti” (actes matériels) come oggetto del dol général. Nello stesso senso, Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 413.

[34] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 414. Tuttavia il codice del 1994 non ha dedicato alcuna disposizione all’errore sul fatto. Tale circostanza è suscettibile di interpretazioni ambigue secondo Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 986.

[35] Cour de cassation, chambre criminelle, 16 janvier 1947, in Bull. n. 23.

[36] Cour de cassation, chambre criminelle, 25 mai 1994, in Bull. n. 203.

[37] In tal senso, cfr. Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 984; Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 416.

[38] Donini M., Il delitto contravvenzionale, cit., p. 123.

[39] Larguier J., Droit pénal général, 18e éd., Paris, Dalloz, 2001.

[40] Tale è l’opinione espressa da Forte G., Problematiche attuali del dolo eventuale: tra forme intermedie di colpevolezza ed istanze definitorie, in AA.VV. (a cura di Cadoppi A.), Verso un codice penale modello per l’Europa. Offensività e colpevolezza, Padova, CEDAM, 2002, p. 233.

[41] Merle R., Vitu A., Problèmes généraux de la science criminelle, cit., p. 729, i quali ritengono che l’intention (dal latino tendere in) s’identifichi con la volontà diretta alla realizzazione del fatto.

[42] In realtà esistono due forme di dol spécial. Talora esso ha una funzione qualificatrice, per esempio l’animus necandi distingue l’assassinio, ex art. 221‑3 n.C.p., dal comune omicidio, ex art. 221‑1; talaltra è indispensabile per la rilevanza penale di un fatto che altrimenti non l’avrebbe (ad esempio nel furto, ex art. 311‑1 n.C.p.).

[43] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 416.

[44] Merle R., Vitu A., Problèmes généraux de la science criminelle, cit., p. 750.

[45] Donini M., Il delitto contravvenzionale, cit., p. 134.

[46] Picotti L., Il dolo specifico, un’indagine sugli “elementi finalistici” delle fattispecie penali, Milano, Giuffrè, 1993, p. 435.

[47] Cour de cassation, chambre criminelle, 18 juillet 1973, in Pradel J., Varinard A., Les sources du droit pénal, l’infraction, Paris, Dalloz, 1995, p. 447. Nella specie un imprenditore, chiudendo la porta del suo ufficio per impedire ad un dipendente di uscire dalla stanza, ha lesionato la mano di quest’ultimo.

[48] Nondimeno, è possibile che la colpa costituisca il criterio d’imputazione soggettiva di certe contravvenzioni, nel caso di previsione regolamentare in tal senso. Cfr. Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général., cit., p. 426.

[49] Sull’uso di questa terminologia, cfr. Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 426.

[50] I due termini sintetizzano la molteplicità di espressioni che comparivano nel codice del 1810.

[51] Manacorda S., voce Reato nel diritto penale francese, in Digesto delle discipline penalistiche, Vol. XI, Torino, UTET, 1996, p. 304 ss. (p. 315).

[52] Castronuovo D., Le definizioni legali del reato colposo, in Riv. ital. dir. proc. penale, 2002, p. 495‑537 (p. 504). La questione non sembra preoccupare la dottrina francese.

[53] Donini M., Il delitto contravvenzionale, cit., p. 133, il quale ritiene che l’art. 121‑3 incoraggi il futuro legislatore a creare nuove incriminazioni senza indicare le note della condotta tipica che contrassegnano la colpa o il dolo, in modo da consentire ai giudici di scegliere se interpretarle come dolose o colpose.

[54] Castronuovo D., Le definizioni legali, cit., p. 497. Un tale modello è stato adottato anche dal Codice Zanardelli.

[55] Herzog J. B., La prévention des infractions contre la vie humaine et l’intégrité de la personne, Cujas, 1956, p. 216, in Lemoine E., La répression de l’indifférence, cit., p. 284.

[56] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 430 ss.

[57] Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 970.

[58] Jescheck H.‑H., Dogmatica penale e politica criminale nuove in prospettiva comparata, in L’indice penale, 1985, p. 507‑533 (p. 521).

[59] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 434 ss.

[60] Fiandaca G., Musco E., Diritto penale, pt. gen., 3a ed., Bologna, Zanichelli, 1995, p. 510 ss.

[61] Non erano considerati i casi in cui è fondatamente sostenibile che l’evento lesivo si sarebbe egualmente verificato, pur osservando la condotta prescritta dalla norma cautelare legale o regolamentare. Sulla c.d. obiezione del comportamento alternativo lecito, cfr. Fiandaca G., Musco E., Diritto penale, pt. gen., cit., p. 501 ss.

[62] I “décideurs” (decisori) sono soggetti che rivestono posizioni di potere all’interno di persone giuridiche pubbliche (décideurs publics) o private (décideurs privés).

[63] Legge n. 96‑393 del 13 maggio 1996., cit.

[64] Palazzo F., Papa M., Lezioni di diritto penale comparato, Torino, Giappichelli, 2000, p. 116.

[65] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 438.

[66] In questo caso per definire la regola cautelare di cui valutare la violazione è irrinunciabile l’individuazione di uno standard normale di diligenza, alla stregua di un agente modello, collocato nell’ipotesi di specie (cfr. Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 971).

[67] Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 970.

[68] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 435.

[69] Sembrerebbe che la dottrina abbia parzialmente tradito lo spirito della riforma: dai lavori parlamentari si desume infatti l’auspicio di un apprezzamento soggettivo (cfr. Sicurella R., L’impervio cammino, p. 971).

[70] Nel caso particolare degli élus locaux il riferimento è alle costrizioni tecniche e finanziarie in cui si trovano ad operare (cfr. Lemoine E., La répression de l’indifférence, cit., p. 329).

[71] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 435.

[72] Cour de cassation, chambre criminelle, 19 nov. 1996, in Dr. pén., 1997, comm. 33, note M. Véron.

[73] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 438.

[74] L’art. 121‑3 al. 2 n.C.p., nella versione originaria, disponeva: «Tuttavia, allorché la legge lo prevede c’è delitto in caso d’imprudenza, di negligenza o di mise en danger délibérée de la personne d’autrui».

[75] Legge n. 96‑393 del 13 maggio 1996, cit.

[76] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 443, secondo cui questa riscrittura, lungi dal modificare nel merito la mise en danger, ne ha evidenziato la specificità. In senso conforme, cfr. Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 962, per la quale, data la complessità delle questioni concernenti le due forme di responsabilità, la comune previsione si sarebbe rivelata costrittiva.

[77] Pur nel silenzio dell’art. 121‑3 n.C.p., la mise en danger è altresì applicabile alle contravvenzioni, nel caso di previsione della norma incriminatrice regolamentare.

[78] «Violation manifestement délibérée d’une obligation particulière de sécurité ou de prudence imposée par la loi ou le règlement».

[79] Per l’omicidio il massimo della pena passa da 3 anni di pena detentiva e EUR 45.000 di ammenda (art. 221‑6 al. 1 n.C.p.) a 5 anni di pena detentiva e EUR 75.000 di ammenda (art. 221‑6 al. 2 n.C.p.); per le lesioni il massimo della pena passa da due anni di pena detentiva e EUR 30.000 di ammenda (art. 222‑19 al. 1 n.C.p.) a 3 anni di pena detentiva e EUR 45.000 di ammenda (art. 222‑19 al. 2 n.C.p.).

[80] Sanzionata con 1 anno di pena detentiva e EUR 15.000 di ammenda.

[81] Sanzionata con l’ammenda prevista per le contravvenzioni della quinta classe.

[82] In tal senso, cfr. Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 963.

[83] Manacorda S., Reato nel diritto penale francese, cit., p. 315.

[84] Pioletti U., Ridefinire colpa e dolo? A proposito delle definizioni contenute nel terzo comma dell’art. 43 del codice penale e nell’art. 12 dello schema di legge delega, in AA.VV. (a cura di Cadoppi A.), Omnis definitio, cit., p. 484.

[85] Nella dottrina italiana, cfr. Pioletti U., Ridefinire colpa e dolo?, cit., p. 481, secondo cui l’espressione «evento preveduto e non voluto», ex art. 43 comma 3 CP, descrive una realtà inesistente, giacché, se la rappresentazione si estende fino ad investire tutto il fatto tipico, non si ha più colpa ma dolo.

[86] Curi F., Tertium datur (dal Common Law al Civil Law per una scomposizione tripartita dell’elemento soggettivo del reato), Milano, Giuffrè, 2003, p. 112.

[87] Canestrari S., Dolo eventuale e colpa cosciente: ai confini tra dolo e colpa nella struttura delle tipologie delittuose, Milano, Giuffrè, 1999, p. 280 ss.

[88] Williams, The mental element in crime, Oxford, 1965, p. 69 ss. in Pioletti U., Ridefinire colpa e dolo?, cit., p. 483.

[89] Smith, Hogan, Criminal Law, London, 1992, p. 68, in Pioletti U., Ridefinire colpa e dolo?, cit., p. 48.

[90] Canestrari S., Dolo eventuale e colpa cosciente, cit., p. 281.

[91] Donini M., Il delitto contravvenzionale, cit., p. 150.

[92] Canestrari S., Dolo eventuale e colpa cosciente, cit., p. 283.

[93] Roujou De Boubée G., Bouloc B., Francillon J., Mayaud Y., Code pénal commenté, Paris, Dalloz, 1996, p. 270‑271.

[94] Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 965.

[95] Lemoine E., La répression de l’indifférence, cit., p. 492.

[96] Legge n. 2000‑647 del 10 luglio 2000, cit.

[97] Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 968.

[98] La norma così recita: «Tuttavia, nel caso previsto dal comma che precede, le persone fisiche che non hanno causato direttamente il danno, ma che hanno creato la situazione che ne è all’origine o non hanno adottato le misure che permettevano di evitarlo, sono responsabili penalmente soltanto se è accertato che esse hanno violato in modo manifestamente deliberato un’obbligazione particolare di prudenza o di sicurezza prevista dalla legge o dal regolamento oppure commesso una colpa caratterizzata, esponente altri ad un pericolo che non potevano ignorare».

[99] La norma non si applica alle persone giuridiche.

[100] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 426.

[101] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 449. Questa locuzione compariva nel progetto di legge iniziale. Cfr. Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 969.

[102] Retro, paragrafo 2.

[103] Conte P., Le lampiste et la mort, in Dr. pén., janvier 2001, chro. n. 2, p. 10‑11.

[104] Circulaire 11 octobre 2000, Présentation des dispositions de la loi n. 2000‑647 du 10 juillet 2000 tendant à préciser la définition des délits non intentionnels. Ivi è offerto, tra gli altri, l’esempio di un automobilista che, avendo parcheggiato il suo veicolo sul marciapiede, ha obbligato un pedone a scendere sulla strada ove è stato investito da un ciclomotore.

[105] Sul dolo e sulla colpa, quali correttivi dell’adozione del criterio della condicio sine qua non, cfr. Fiandaca G., Musco E., Diritto penale, pt. gen., cit., p. 200.

[106] Conte P., Le lampiste et la mort, cit., p. 11.

[107] Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 972.

[108] Ad integrare la faute caractérisée può eventualmente essere sufficiente la violazione di una norma cautelare non scritta.

[109] Durante i lavori parlamentari, la faute caractérisée è stata genericamente descritta come una “colpa dal carattere ben marcato”, “che ha una particolare evidenza e intensità” (JO Sénat, Séance du 28 juin 2000, p. 4497).

[110] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 449.

[111] Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 972.

[112] Curi F., Tertium datur, cit., p. 136.

[113] Sono estremamente rari i casi in cui la mise en danger délibérée viene applicata ex comma 4 art. 121‑3. Cfr. Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 453.

[114] Outin‑Adam A., La nouvelle définition des délits non intentionnels, Colloque du 1er février 2001 organisé par le Centre de recherche en droit privé de l’Université de Paris I, in Rev. sc. crim., 2001, p. 725‑770 (p. 761).

[115] Desportes F., Le Gunehec F., Droit pénal général, cit., p. 453.

[116] Cour de cassation, chambre criminelle, 16 janvier 2001, in Bull. n. 14.

[117] Esistono tuttavia ipotesi residuali di contravvenzioni dolose e colpose.

[118] Manacorda S., La théorie générale de l’infraction pénale en France : lacunes ou spécificités de la science pénale?, in Rev. dr. pén. crim., 1999, p. 35‑53 (p. 48).

[119] Sicurella R., L’impervio cammino, cit., p. 975.

[120] Manacorda S., Reato nel diritto penale francese, cit., p. 316.

[121] Donini M., Il delitto contravvenzionale, cit., p. 106.

[122] Retro, paragrafo 1.

Annamaria Taboga

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