- La compensazione come modalità di estinzione dell’obbligazione;
- La natura giuridica della compensazione;
- I requisiti e le tipologie di compensazione;
- La compensazione propria e la compensazione impropria.
1. La compensazione come modalità di estinzione dell’obbligazione.
La Compensazione rappresenta una tra le modalità di estinzione dell’obbligazione diversa dall’adempimento, a seguito della quale si verifica la cessazione del vincolo obbligatorio senza che la prestazione sia stata eseguita; nello specifico poi, questa rientra – assieme alla confusione – nel novero delle modalità satisfattorie di estinzione, conseguendo in ogni caso al soddisfacimento dell’interesse creditorio sotteso al rapporto.
Seppure alla distinzione tra modi satisfattori e non satisfattori dell’estinzione la dottrina maggioritaria attribuisce principalmente funzione descrittiva, ciò che rileva è che tanto la compensazione quanto la confusione si caratterizzano per la loro effettiva incidenza sulla fase esecutiva della relazione giuridica intercorrente tra le parti, laddove invece le altre vicende estintive e differenti rispetto all’adempimento producono direttamente la caducazione del diritto di credito.
2. La natura giuridica della compensazione.
Per quanto attiene alla natura giuridica dell’istituto, la qualificazione sostenuta da parte della dottrina è quella avente carattere descrittivo: la compensazione ha natura di modalità di estinzione dell’obbligazione diversa dall’adempimento, come affermato dal codice stesso. Secondo invece un’ulteriore ricostruzione dottrinale, sostenuta anche da autorevole giurisprudenza, la compensazione avrebbe natura di diritto potestativo del debitore; ciò fa leva sul fatto che effettivamente l’istituto non possa operare automaticamente, in quanto laddove il debitore voglia adempiere senza esercitare il suo diritto potestativo alla compensazione, non solo può tranquillamente farlo, ma vi può addirittura rinunciare prima del momento in cui sorge il credito da estinguere mediante compensazione. La Cassazione ha infatti ritenuto valida la rinuncia alla compensazione da parte del conduttore-creditore del deposito cauzionale rispetto al contro credito vantato per mancato pagamento dei canoni, considerando la funzione di garanzia del deposito cauzionale rispetto all’eventuale credito risarcitorio del locatore.
3. I requisiti e le tipologie di compensazione.
Ad ogni modo, secondo quanto disposto dagli artt. 1241 c.c. e ss., la compensazione si verifica quando due soggetti – al contempo creditore e debitore l’uno dell’altro – sono obbligati reciprocamente in forza di rapporti diversi; l’estinzione opera dal momento in cui i rapporti vengono a coesistere, non rilevando le vicende sopravvenute rispetto a tale momento, ivi compresa la prescrizione ex art. 1242 c. 2 c.c. Tuttavia, il requisito della reciprocità dei crediti non risulta da solo sufficiente a determinare l’estinzione per compensazione, occorrendo invece che detti crediti siano omogenei, liquidi ed esigibili; tale ipotesi rappresenta la cd. compensazione legale, dalla quale si distinguono la compensazione giudiziale e quella volontaria.
In particolare, i crediti reciproci sono omogenei quando abbiano ad oggetto una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere, sono liquidi – secondo la giurisprudenza – quando il loro ammontare sia già determinato nel titolo o quando il titolo consenta di determinare l’ammontare attraverso l’applicazione di un criterio matematico (per contro i crediti non sono liquidi quando sia necessario l’intervento del giudice o un nuovo intervento delle parti al fine della determinazione dell’ammontare) e sono considerati esigibili quando parimenti scaduti e quindi probabile oggetto di una pretesa immediata da parte del rispettivo creditore.
Discusso è il momento in cui si verifica l’estinzione dei due debiti per compensazione ex lege: è particolarmente controverso se l’estinzione dei debiti e dei crediti avvenga ipso iure al momento della coesistenza dei debiti, oppure all’atto di accettazione della compensazione. Parte della dottrina ritiene che l’estinzione avvenga ipso iure e che la sentenza emessa a seguito della domanda tesa a far valere la compensazione, quale manifestazione della volontà già prodottasi, sia meramente dichiarativa; la giurisprudenza pare essere d’accordo con tale affermazione, posto che la compensazione estingue ope legis i debiti contrapposti in virtù del solo fatto oggettivo della loro coesistenza, sicchè la pronuncia del giudice si risolve in un accertamento dell’avvenuta estinzione dei reciproci crediti delle parti fin dal momento in cui sono venuti a coesistenza.
La compensazione giudiziale, invece, si realizza quando il debito opposto in compensazione non risulta essere liquido, ma di pronta e facile liquidazione, in merito alla quale risulta essere necessaria e sufficiente la pronuncia del giudice su richiesta delle parti; parte della dottrina ha specificato che il credito “di pronta e facile liquidazione” non è rappresentato né dal credito liquido contestato né dal credito la cui liquidazione sia il risultato di un mero calcolo aritmetico, identificandosi piuttosto in un credito non liquido, il cui ammontare sia ritenuto facilmente determinabile in base al titolo dal giudice, il quale procede pertanto alla liquidazione tramite il potere discrezionale attribuitogli.
L’esigenza di economicità dei rapporti rappresenta in ogni caso la ratio principale dell’istituto: ciò da un lato giustifica il fatto che la compensazione non possa essere rilevata ex officio iudicis (essendo attribuita a ciascuna delle parti la possibilità di valutare la convenienza di mantenere in essere i reciproci rapporti o di provocarne l’elisione per la parte concorrente) e dall’altro rappresenta un tentativo di evitare che il debitore appresti il proprio adempimento nei confronti di un soggetto, nel momento in cui risulta essere creditore di una prestazione analoga. Qualora tuttavia intervenga l’estinzione per adempimento di uno dei due crediti venuti ad esistenza, il solvens non diventerà titolate di una pretesa restitutoria bensì potrà vantare esclusivamente il diritto ad ottenere l’adempimento del controcredito, ovviamente al netto di interessi ed accessori maturati successivamente al momento della coesistenza dei crediti.
4. La compensazione propria e la compensazione impropria.
Nell’ipotesi in cui due soggetti siano obbligati reciprocamente in forza dell’apparente coesistenza di due rapporti, ponendosi in realtà le pretese delle parti come reciproche partite di dare – avere (costituenti l’una il limite per la quantificazione dell’atra) nell’ambito di un rapporto unitario quale ad es. quello di conto corrente, non si applica la disciplina codicistica di cui agli artt. 1241 c.c. e ss., con particolare riferimento al divieto di rilievo da parte del giudice, sicché quest’ultimo, ai fini dell’individuazione del quantum debeatur, dovrà computare anche le partite di controcredito che, pur non rappresentando oggetto di eccezione di una delle parti interessata, risultano tuttavia in atti; questo schema è riconducibile alla figura della cd. compensazione impropria.
La compensazione propria, infatti, presuppone che le reciproche pretese trovino la loro fonte in rapporti giuridici diversi, in quanto qualora questi ultimi derivassero dallo stesso rapporto obbligatorio, l’istituto si ridurrebbe ad un mero accertamento contabile, finendo per estinguere la causa stessa del contratto, consistente nell’assicurare a ciascuna parte la prestazione pattuita; come è possibile dunque ammettere una figura di compensazione, quale quella impropria, che si fonda sull’esistenza di pretese cooriginate nell’ambito di uno stesso rapporto obbligatorio?
La soluzione prospettata dalla giurisprudenza maggioritaria fa leva sulla constatazione che l’art. 1246 c.c. prevede che la compensazione si verifichi qualunque sia il titolo da cui nascano i contrapposti debiti e crediti, senza espressamente restringere l’applicabilità all’ipotesi di pluralità di rapporti. Prendiamo ad es. in considerazione l’obbligo del compratore di pagare il prezzo e quello del venditore di risarcire l’eventuale danno per vizi della cosa al compratore. L’esclusione dell’operatività della compensazione rispetto ad obbligazioni scaturenti da un unico rapporto negoziale è piuttosto giustificata solo quando le obbligazioni derivanti da un unico negozio siano tra loro legate da un vincolo di corrispettività che ne esclude l’autonomia.
Tale ricostruzione non è tuttavia accolta unanimemente dalla giurisprudenza, in quanto un orientamento minoritario ritiene che ai fini della configurazione della compensazione impropria, sia sufficiente la riconducibilità delle pretese creditorie ad un’unica originaria relazione contrattuale o extra contrattuale, giungendo a ritenere rilevabile ex officio la reciproca elisione del credito contrattuale e di quello risarcitorio derivante da inadempimento; questo schema risulta però a sua volta osteggiato da parte della dottrina che, rifacendosi alla prima ricostruzione giurisprudenziale prospettata, rileva come la compensazione rappresenti un metodo di computo applicabile allorché le reciproche pretese si atteggino quali partite di conto non corrispettive seppur derivanti da un’operazione economica unitaria, e non invece quando diversi rapporti di debito – credito vengano accidentalmente a costituirsi tra le stesse parti, in occasione di un fatto o di una relazione contrattuale che le veda coinvolte. Tali principi elaborati in tema di compensazione sono stati poi applicati anche alle pretese risarcitorie da circolazione stradale; in particolare la Cassazione ha affermato che nel caso in cui i reciproci crediti al risarcimento dei danni derivino da un unico evento prodotto dalle concomitanti azioni colpose di entrambi i conducenti dei veicoli venuti a collisione, non si verifica un’ipotesi di compensazione propria ex art. 1241 c.c., che presuppone l’autonomia dei rapporti da cui nascono i corrispettivi crediti delle parti, ma un mero accertamento di dare e avere, con elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca concorrenza. Il giudice, in tali ipotesi, assume il compito di accertare ex officio il “conto finale” in deroga a quanto previsto dagli artt. 1242 e 1246 c.c.
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