La concorrenza sleale tutela anche la forma del prodotto: la casistica

a cura della Dott.ssa Serena Biondi

Contraffare vuol dire riprodurre copie di prodotti originali al fine di trarre in inganno il consumatore circa la reale provenienza degli stessi.

La plurioffensività della contraffazione

La contraffazione rappresenta un illecito plurioffensivo, vediamo perché.

La condotta contraffattoria determina la violazione dei diritti di proprietà intellettuale ed industriale nonché della disciplina della concorrenza sleale, di cui all’articolo 2598 del codice civile.

Nel presente scritto ci si soffermerà sul secondo aspetto suddetto.

La concorrenza sleale disciplinata dall’ articolo 2598 del codice civile:

Ebbene, la concorrenza sleale viene in essere in vari casi:

– quando vengono usati nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri, o quando vengono  imitati servilmente i prodotti di un concorrente, o copiati con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;

– se vengono diffuse notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinare il discredito, ci si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;

– nel caso in cui ci si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.

L’articolo in analisi individua fattispecie tipiche ed atipiche di atti di concorrenza sleale;  per quanto riguarda le ipotesi tipizzate, l’idoneità di dette condotte a recare danno è presunta quindi non va dimostrata; detta presunzione non opera invece per gli atti atipici.

Focus: aziende concorrenti

Ebbene, qual è il presupposto necessario affinché possa configurarsi  un’ipotesi di concorrenza  sleale?  E’ la concorrenzialità  tra due o più imprese.

Le aziende sono concorrenti se competono nello stesso mercato producendo gli stessi prodotti o fornendo i medesimi servizi, dunque soddisfacendo la stessa clientela. In altre parole, affinché due aziende possano considerarsi in concorrenza è necessario che i soggetti (attivo e passivo) operino sullo stesso mercato, cioè siano rivolti alla stessa cerchia di utilizzatori di beni o servizi (c.d. mercato rilevante del prodotto). Questo requisito non richiede tuttavia una totale identità merceologica dei beni o servizi offerti, è richiesta infatti una elasticità di soluzioni.

La  concorrenza è lecita se tra gli imprenditori vi è una competizione sana, vale a dire, se la stessa si basa sui principi della correttezza professionale. E’ l’articolo 2595 del codice civile a regolare detto principio, recitando come di seguito: ” La concorrenza deve svolgersi in modo da non ledere gli interessi dell’economia nazionale e nei limiti stabiliti dalla legge”.

Se detti principi non vengono rispettati  e vengono posti in essere atti finalizzati a ledere gli interessi di altri imprenditori concorrenti, con condotte illecite, si può configurare una delle suddette ipotesi di concorrenza sleale. Il soggetto leso da tale condotta illecita è legittimato  a procedere con l’azione di concorrenza sleale, ammesso che sia un’azienda o un imprenditore concorrente.

Anche l’imitazione della forma dei prodotti puo’ determinare un’ipotesi di concorrenza sleale

Recentemente, con ordinanza numero 51429 del 30 dicembre 2016, il Tribunale Ordinario di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa ha stabilito che la forma di un prodotto può considerarsi segno distintivo al punto che imitarla può integrare un’ipotesi di concorrenza sleale. Nel caso di specie si trattava della forma di una scarpa la quale è stata considerata talmente originale e caratterizzante da essere un elemento distintivo del prodotto e dell’azienda produttrice pertanto, la sua imitazione è stata considerata un’ipotesi di concorrenza sleale disciplinata ai sensi dell’art. 2598 c.c., idonea a creare confusione sul mercato circa la reale provenienza del prodotto.

Anche altre Corti si sono pronunciate su questo aspetto affermando che ciò che può essere tutelato dall’articolo 2598 c.c. non è la funzionalità del prodotto ma la forma dello stesso.

Il Tribunale di Monza, ad esempio, si è a tal proposito pronunciato stabilendo che l’azione di concorrenza sleale può avere ad oggetto la forma del prodotto, ammesso che la stessa abbia determinati requisiti: il carattere della novità e dell’individualità. La forma deve quindi avere la capacità di differenziare il prodotto e di renderlo riconoscibile al consumatore come proveniente da un determinato imprenditore.

Anche il Tribunale di Catania si è espressa a tal proposito decidendo che costituisce atto di concorrenza sleale l’utilizzatore di una forma esteriore analoga ad altra se il consumatore può essere indotto ad attribuire al prodotto dell’imitazione le stesse qualità dell’altro prodotto, in forza del rischio di associazione tra i medesimi.  Sempre il Tribunale di Catania ha sottolineato la necessità della sussistenza di alcuni requisiti: ebbene, deve esserci l’originalità del prodotto imitato, la capacità distintiva, tale da diventare connaturale, nell’immagine presso il consumatore, del prodotto stesso; 2) l’assenza di elementi distintivi atti a mostrare che la provenienza dell’un prodotto è diversa da quello dell’altro.

Infine, non sono le forme imposte da finalità connaturate al prodotto ad essere tutelabili bensì quelle destinate ad un preciso scopo individualizzante, così si è espresso anche il Tribunale di Milano.

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