Tale pronuncia ha fatto tornare alla ribalta la questione relativa alla compensazione delle spese di lite nei giudizi in cui una delle parti sia la Pubblica Amministrazione, nella specie un Ente Impositore che richieda il pagamento di una cartella esattoriale.
Il quesito è sorto a seguito di alcuni atteggiamenti da parte delle Commissioni Tributarie le quali, in più di un’occasione, si sono dimostrate restie ad applicare i principi sanciti dall’art. 92 c.p.c. nel caso in cui la parte soccombente – che dovesse, quindi, rifondere alla parte vittoriosa le spese di lite – fosse l’Ente Impositore.
La disciplina delle spese processuali
Nel codice di procedura civile la disciplina delle spese processuali è contenuta dall’art. 90 all’art. 98.
Sotto questo aspetto, giova ricordare che il nostro ordinamento è retto in primis dal principio dell’anticipazione (per il quale ognuno anticipa le spese degli atti che compie, come ad es. il contributo unificato da versare al momento dell’iscrizione a ruolo della domanda) ed in secundis dal principio della soccombenza (secondo cui la responsabilità per le spese del processo è posta a carico della parte dichiarata soccombente e a favore della parte vittoriosa).
L’art. 91 c.p.c. dispone, infatti, al primo comma che “il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa”. Di conseguenza, la parte che ha perso la causa deve pagare l’avvocato avversario, oltre che il proprio.
Tale principio, però, non è assoluto e non ha una rigorosa applicazione: il legislatore ha introdotto nel tempo alcuni correttivi, prevedendo ad es. la possibilità di una soccombenza reciproca, oppure una differente quantificazione delle spese sulla base di determinate ragioni che, nonostante una soccombenza totale, possono portare a ritenere la parte soccombente non completamente responsabile.
In particolare, la seconda parte dell’art. 91, I comma, c.p.c. prevede che il giudice “Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92”.
L’art. 92, I comma, c.p.c. statuisce, invece, che “Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue; e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’articolo 88 (il dovere di lealtà e probità), essa ha causato all’altra parte”.
Una menzione particolare merita, però, il II comma dell’art. 92 c.p.c., il quale stabilisce che “Se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti, il giudice può compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero”.
Questo comma ha subito diverse modifiche nel corso del tempo e, nell’ultimo decennio, è stato prima aggiornato con le modifiche introdotte dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69 (i “giusti motivi” della precedente formulazione sono stati sostituiti dalle “gravi ed eccezionali ragioni“, che hanno un significato più restrittivo, qualificando così la compensazione come evento eccezionale) per poi essere nuovamente riformato ad opera del D.L. n.° 132/2014.
Infine, la Corte costituzionale, con Sentenza n.° 77/2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma, nel testo modificato dal D.L. n.° 132/2014, nella parte in cui non prevedeva che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.
Ebbene, è proprio riguardo questo comma che la sezione VI della Corte di Cassazione si è espressa con due ordinanze (la n.° 10917/2016 e la n.° 11222/2016), al fine di fissare alcuni principi da rispettare in merito alla compensazione delle spese.
Sul punto:”Compensazione spese di lite ed onere di motivazione”
Le ordinanze della Suprema Corte
Le due pronunce si sono rese necessarie, come detto, a seguito della tendenza delle Commissioni Tributarie a non applicare i principi sanciti dall’art. 92 c.p.c. nel caso in cui la parte soccombente fosse l’Ente Impositore.
Entrambe le ordinanze hanno ad oggetto giudizi che si erano conclusi con una declaratoria di cessata materia del contendere poiché l’Ufficio aveva ritirato in autotutela gli atti impugnati e, in ambedue, il Giudice di merito aveva ritenuto applicabile, mediante rinvio dell’art. 92 c.p.c. ratione temporis, la compensazione delle spese per soccombenza reciproca o per “gravi ed eccezionali ragioni” da indicarsi in motivazione.
In particolare, nell’ordinanza n.° 10917/2016 la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva compensato le spese asserendo che sulla questione oggetto di giudizio vi fossero orientamenti giurisprudenziali discordanti, senza però indicare espressamente tali precedenti.
La Cassazione, in questo caso, in primis precisa che “La compensazione delle spese è dunque subordinata alla presenza di gravi ed eccezionali ragioni e tale esigenza non è soddisfatta quando il giudice abbia compensato le spese “per motivi di equità”, non altrimenti specificati”.
E chiarito ciò, sancisce che “La generica indicazione di discordanti precedenti non può tuttavia integrare il requisito delle gravi ed eccezionali ragioni proprio perché caratterizzata da un’estrema genericità ed aspecificità che non consente di potere richiamare il requisito idoneo a giustificare la compensazione delle spese invece disposta”.
Così la Suprema Corte accoglie la domanda del ricorrente, cassando la Sentenza impugnata e rinviando ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Nella seconda ordinanza, invece, la n.° 11222/2016 la Commissione Tributaria Regionale di Trieste aveva confermato la decisione di primo grado con cui la CTP di Udine la quale aveva compensato le spese sul presupposto che la parte si era difesa in proprio senza ricorrere all’istituto dell’autotutela prima di iniziare il giudizio.
Anche in questo caso la Cassazione, dopo aver precisato che l’art. 92, II comma, c.p.c. legittima la compensazione, ove non sussista reciproca soccombenza, solo in presenza di “gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione“, ha stabilito che “siffatte ragioni, con le quali sostanzialmente si è evidenziata l’opportunità di risolvere in via di autotutela le controversie al fine di evitare il proliferare di contenziosi al fine di lucrare sulle spese processuali, appaiono palesemente illogiche ed erronee, risolvendosi in una non consentita limitazione del diritto del cittadino di ricorrere in giudizio, con conseguente violazione dell’art. 24 della Costituzione”.
In tal modo la Suprema Corte, accogliendo il ricorso e cassando la Sentenza impugnata, rinvia alla CTR del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, affinché provveda anche alle spese del giudizio di legittimità.
In conclusione, con le succitate ordinanze, la Cassazione ha voluto sollecitare il rispetto dei principi sanciti dall’art. 92 c.p.c. anche nei confronti della Pubblica Amministrazione.
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