Il delitto di contraffazione, meglio denominato dalla rubrica dell’art. 474 c.p. “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”, si configura come un reato di mero pericolo per la cui integrazione non occorrerebbe la realizzazione dell’inganno del singolo consumatore.
Gli Ermellini sul punto specificano che “la norma in commento tutelerebbe in via principale e diretta non già la libera determinazione del singolo acquirente, bensì la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione” (in tal senso si v. Cass. Pen., Sez. II, sent. 3.4.2008, n. 16821 e più di recente Cass. Pen., Sez. II, sent. 27.4.2012, n. 28423).
Premesso ciò, giova a questo punto approfondire il tema del c.d. “falso grossolano”, che ha destato non pochi problemi in ambito giurisprudenziale.
Tale è imprescindibilmente connesso alla “palese contraffazione”, che già su un piano meramente naturalistico si tradurrebbe nella percezione di beni dalla manifattura scadente nonché dalla qualità scarsa. Questo allorquando ci si riferisca prevalentemente a capi di abbigliamento, essendo in via di prassi ben più frequente l’ipotesi di contraffazione di beni recanti marchi e loghi palesemente contraffatti, nonché dalla manifattura decisamente scadente.
I Giudici di Piazza Cavour intervenendo a più riprese sul punto, sono venuti ad enucleare il seguente principio di diritto, secondo il quale: “la grossolana contraffazione dei segni distintivi dei prodotti detenuti per la vendita o messi in vendita non può esser desunta sulla base dei soli elementi circostanziali delle condizioni di vendita, del prezzo o della qualità dell’offerente, che rendono solo probabile, ma non incontrovertibile, l’impossibilità di lesione della fede pubblica. Ne consegue che può ritenersi la grossolanità del falso solo ove il prodotto, per requisiti materiali intrinseci, sia tale da fare escludere l’efficienza causale originaria alla produzione dell’evento lesivo nei confronti non dello specifico acquirente ma dell’intera collettività, sulla base di una valutazione ex ante riferibile a qualsiasi persona di comune discernimento ed avvedutezza” (Cass. pen., Sez. V, sent. 15.07.2014, n. 30958).
Nello stesso senso:”l’ipotesi di falso grossolano ricorre quando si è in presenza di falsi immediatamente rilevabili ictu oculi, senza la necessità di particolari indagini, concretizzatisi in un’imitazione talmente goffa, ostentata e macroscopica da non poter ingannare nessuno sulla provenienza lecita del bene” (Cass. Pen., Sez. II, sent. 23.03.2015, n. 12088).
Premesso ciò, peculiare è sicuramente l’ipotesi in cui la “palese contraffazione”, sia rinvenuta da soggetti particolarmente qualificati.
Si pensi sicuramente al caso, di certo non infrequente in via di prassi, di un Finanziere che nell’ambito di un normale servizio di controllo su strada rinvenga all’interno dell’autovettura di un soggetto, dei capi di abbigliamento recanti noti marchi e loghi palesemente contraffatti.
Quid juris: In tale ipotesi, abbiamo l’esclusione di un “falso grossolano”, con conseguente impossibilità di configurare un reato impossibile, solo perché all’accertamento vi hanno provveduto soggetti particolarmente qualificati, dotati di specifiche competenze tecnico-professionali, ovvero sarà possibile anche in tal caso parlare di “palese contraffazione”?
Si tratta di un quesito dalle ripercussioni significative, soprattutto sul piano giuridico-processuale, poiché a seconda della soluzione che concretamente viene ad adottarsi potrebbe configurarsi un’eventuale addebito a norma del su citato art. 474, comma 2, c.p. o meno.
Ancor più problematico è inoltre il caso in cui, il giudice facendo affidamento sull’intuito investigativo del militare, venga addirittura ad escludere la necessità di una perizia tecnica sui capi.
Nonostante ciò, ne deriva per l’organo giudicante la necessità “di interpretare in chiave di offesa le fattispecie vigenti già costruite o comunque convertibili in reati di offesa” (Corte Cost. sent. nn. 62/1986, 333/91, 296/996, 519/2000).
Invero il principio in commento, svincolato da un’interpretatio abrogans dell’art. 49, comma 2, c.p., e legato imprescindibilmente al fondamentale principio di legalità, imporrebbe di considerare l’elemento dell’offesa alla stregua di un elemento essenziale costitutivo della fattispecie criminosa.
Nell’ipotesi in cui ci si trovi di fronte ad un reato di mero pericolo, come nel caso di specie, ne deriverebbe per il giudice la necessità di porre in essere un giudizio prognostico o ex ante, funzionale ad accertare, sulla base di quelli che sono gli elementi di fatto, l’elevata probabilità di verificarsi del supposto evento lesivo, secondo quella che è la comune scienza ed esperienza applicabile al caso concreto.
Ebbene alla luce delle predette argomentazioni, sarebbe illogico farne discendere una elevata probabilità di verificarsi di quel determinato evento lesivo, se si ponesse maggiore attenzione all’elemento della “palese contraffazione”, che ben potrebbe esser riferito anche da un teste particolarmente qualificato.
Ne deriva che se un capo o in genere un bene, presenta un vizio manifatturiero o altro così evidente, tale farne discendere una “palese contraffazione”, da un punto di vista squisitamente valutativo il Finanziere o soggetto particolarmente qualificato, ben potrebbe esser equiparato ad un comune cittadino non avente alcun tipo di qualifica in tal senso.
In altri termini, già ictu oculi, sarebbe ravvisabile un’ipotesi di “falso grossolano” con conseguente configurazione di un reato impossibile a norma dell’art. 49, comma 2 c.p., quale doppione negativo dell’art. 56 c.p. Insomma cogitationis poenam nemo patitur.
Del resto la Suprema Corte sul punto ha avuto cura di precisare che:”la grossolanità della contraffazione che da luogo a reato impossibile, non va giudicata infatti alla stregua delle conoscenze e delle conclusioni di un esperto di settore. Invero la punibilità è esclusa solo quando il falso sia ictu oculi riconoscibile da qualsiasi persona di comune discernimento ed avvedutezza e non si deve far riferimento, né alle particolari cognizioni ed alla competenza specifica di soggetti qualificati, né alla straordinaria diligenza di cui alcune persone possono esser dotate” (in tal senso Cass. Pen., Sez. V, sent. 23.03.2015, n. 12162).
Tale pronuncia costituisce pertanto l’emblema del nostro discorso, non ritenendosi necessario alcun giudizio valutativo di un esperto di settore a tal fine.
Difatti l’errore valutativo in cui ricadono principalmente i giudici di merito, risiederebbe più che altro nell’escludere a priori la configurazione di un reato impossibile, allorquando sia stato un esperto di settore appunto ad eseguire il controllo.
Di qui il vizio logico intrinseco al ragionamento esegetico-ricostruttivo di cui sopra, in virtù del quale, soltanto in vista di tale intervento i beni anche se affetti da una palese contraffazione non integrerebbero mai un’ipotesi di falso grossolano.
In altri termini si pensa che il solo fatto che sia intervenuto un esperto di settore all’espletamento dell’attività accertatrice, escluda un’ipotesi di falso grossolano, il ché già su un piano ontologico prima che giuridico, costituisce un assurdo.
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