La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma, del codice penale: vediamo in che modo

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Corte cost., 6 maggio 2020 (ud. 6 maggio 2020, dep. 29 maggio 2020), n. 102 (Presidente Cartabia, Relatore Viganò

(Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma, del codice penale, nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 574-bis, c. 3)

Il fatto

Il Tribunale ordinario di Grosseto condannava l’imputata alla pena di due anni e un mese di reclusione, unitamente alla pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, per avere eluso, in più occasioni, il provvedimento del Tribunale per i minorenni di Firenze in ordine all’affidamento condiviso dei due figli minorenni (artt. 81, secondo comma, e 388, secondo comma, cod. pen.) e per avere sottratto i medesimi al padre, portandoli in Austria contro la volontà di quest’ultimo (artt. 81, secondo comma, e 574-bis cod. pen.).

La Corte d’appello di Firenze, a sua volta, aveva rigettato l’appello proposto dalla difesa confermando la sua responsabilità per i reati accertati dal primo giudice mentre, in accoglimento dell’appello interposto dal pubblico ministero, era stata rideterminata la pena in quella di due anni e sei mesi di reclusione.

L’imputata, quindi, proponeva ricorso per cassazione eccependo tra l’altro l’illegittimità costituzionale degli automatismi previsti dalle disposizioni censurate in relazione all’applicazione della pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale.

 

La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione

 

La Corte di cassazione, sezione sesta penale, sollevava questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34 e 574-bis del codice penale, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 30 e 31 della Costituzione, nonché all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, nella parte in cui, dal loro combinato disposto, impongono che alla condanna per sottrazione e trattenimento di minore all’estero commessa dal genitore in danno del figlio minore consegua automaticamente e per un periodo predeterminato dalla legge la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

In particolare, ad avviso del giudice a quo, le questioni prospettate erano rilevanti dal momento che il giudizio di cassazione non avrebbe potuto essere definito indipendentemente dalla loro soluzione che concerneva tanto l’automatismo dell’applicazione della pena accessoria in questione per il delitto di sottrazione di minori all’estero commesso «da un genitore in danno del figlio minore» prevista dall’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen., quanto la determinazione automatica della sua misura ai sensi dell’art. 34, secondo comma, cod. pen.

Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, la Sezione rimettente osservava come la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale comportasse conseguenze che ricadono sui figli dei condannati non già «semplicemente de facto – come può avvenire per qualsiasi provvedimento giudiziario – ma de jure».

Più nel dettaglio, dagli artt. 2 (che, riconoscendo e tutelando i diritti fondamentali dell’individuo, costituisce fondamento anche per la tutela dei diritti dei minorenni) 3, 29 e 30 Cost. nonché dall’art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo (che impegna gli Stati parte a rispettare, tra l’altro, il diritto dei minori alle proprie relazioni familiari), a parere del giudice a quo, si evincerebbe, tuttavia, il «principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minorenni deve considerarsi il preminente interesse degli stessi»; di talché qualsiasi provvedimento che incide sulla responsabilità genitoriale potrebbe giustificarsi solo in quanto non contrasti con l’esigenza di tutela del minore mentre i provvedimenti di sospensione o decadenza dalla responsabilità genitoriale, previsti dagli artt. 330 e 333 del codice civile, sono adottati di regola da parte di un giudice specializzato (il tribunale per i minorenni) che, all’esito di un vaglio delle concrete circostanze del caso, ne ravvisi l’effettiva opportunità e, pertanto, la pena accessoria, prevista dalle disposizioni censurate, dovrebbe essere disposta in modo automatico dal giudice penale al quale sarebbe impedito di «valutare la corrispondenza tra la sospensione della responsabilità genitoriale e gli interessi dei minorenni, così negando la possibilità di effettuare un diverso bilanciamento tra i diritti di quest’ultimi e le esigenze punitive dello Stato verso i genitori».

Il giudice remittente, inoltre, rammentava come la sentenza n. 31 del 2012 della Consulta abbia ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 569 cod. pen. nella parte in cui stabiliva che alla condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato conseguisse automaticamente la perdita della potestà genitoriale dal momento che tale soluzione normativa precludeva al giudice la possibilità di valutare l’interesse del minorenne nel caso concreto con conseguente violazione dell’art. 3 Cost. e ciò anche in considerazione dell’impossibilità per il giudice, creata dalla medesima disposizione allora censurata, di assumere una determinazione che gli consentisse di tenere nel debito conto il preminente interesse morale e materiale del minore nel caso concreto.

Simili considerazioni varrebbero tra l’altro, secondo la Sezione rimettente, anche in relazione alla previsione automatica della medesima pena accessoria per il delitto di cui all’art. 574-bis cod. pen. ossia una previsione che sarebbe suscettibile di compromettere il diritto del minore «di crescere con i genitori e di essere educati da questi, salvo che ciò comporti un grave pregiudizio».

Per il giudice a quo, d’altronde, una tale compromissione risulterebbe d’altronde in contrasto anche con gli artt. 2, 30 e 31 Cost. nonché con l’art. 3, comma 1, della menzionata Convenzione sui diritti del fanciullo a tenore del quale «[i]n tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità ammnistrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente», e con la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, la quale stabilisce che in tutti i procedimenti che riguardano un minorenne l’autorità giudiziaria deve acquisire «informazioni sufficienti al fine di prendere una decisione nell’interesse superiore del fanciullo».

Il giudice a quo dubitava dunque della compatibilità degli automatismi censurati con i principi costituzionali e internazionali richiamati (questi ultimi ritenuti rilevanti in relazione all’art. 10 Cost.) anche considerando che il delitto ex art. 574-bis cod. pen. – come già il delitto di alterazione di stato, oggetto della sentenza n. 31 del 2012 – non comporterebbe «una presunzione assoluta di pregiudizio per gli interessi morali e materiali del minorenne, per cui è ragionevole che il giudice debba poter valutare, in relazione al caso concreto, la inidoneità del genitore all’esercizio della responsabilità genitoriale».

La Sezione rimettente richiamava, altresì, la giurisprudenza della Corte costituzionale che considera incompatibili con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. pene accessorie sproporzionate per eccesso rispetto al concreto disvalore del fatto di reato (citandosi la sentenza n. 222 del 2018) osservando che l’applicazione automatica di una pena accessoria contrasterebbe con il principio della finalità rieducativa della pena «nei casi in cui il delitto ex art. 574-bis cod. pen. sia stato motivato dalla finalità di preservare il figlio da pregiudizi che potrebbero essergli arrecati dall’altro genitore» dal momento che il condannato in una tale situazione «non potrebbe ricavare una rieducazione dalla sospensione della sua potestà genitoriale».

Ciò posto, dopo aver rammentato altre pronunce con cui il giudice delle leggi aveva dichiarato illegittimi automatismi nella disciplina delle misure alternative alla detenzione (sono citate le sentenze n. 445 del 1997, n. 504 e n. 186 del 1995) ovvero nell’applicazione di pene accessorie (sono citate, oltre alla sentenza n. 31 del 2012, le sentenze n. 22 del 2018 e n. 7 del 2013), il giudice a quo si soffermava ancora sulla sentenza n. 222 del 2018 evidenziando che da tale pronuncia si evinceva il principio secondo il quale, «quando una sanzione si rivela manifestamente irragionevole, un intervento correttivo della Corte costituzionale è possibile se essa può essere sostituita ancorandosi a “precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo”, anche se il sistema non offre un’unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima senza provocare vuoti di tutela degli interessi toccati dalla norma oggetto della pronuncia».

Il collegio rimettente osservava, infine, che anche «la previsione di una durata fissa della pena accessoria presenta profili di dubbia costituzionalità perché contrasta con il principio di proporzionalità della pena […] e con il principio di necessaria individualizzazione delle pene», che imporrebbero «una adeguata calibrazione della applicazione e della durata» della pena accessoria in questione.

Le argomentazioni sostenute dalle parti

Interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate fossero dichiarate inammissibili e, comunque, infondate.

Anzitutto, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, il giudice a quo avrebbe fornito una lacunosa dimostrazione della rilevanza delle questioni prospettate non consentendo in particolare alla Consulta «di verificare se il motivo di gravame da cui nasce la questione di costituzionalità riproduca effettivamente una doglianza già mossa nell’atto di appello avverso la sentenza del Tribunale di Grosseto, che pure aveva già irrogato all’imputata la suddetta pena accessoria» in quanto, laddove l’imputata non avesse già sollevato avanti alla Corte d’appello una doglianza relativa alla sanzione irrogatale, il motivo di gravame svolto avanti alla Corte di cassazione rimettente sarebbe stato inammissibile con conseguente irrilevanza nel giudizio a quo delle questioni prospettate.

Il difetto di motivazione sulla rilevanza si sarebbe apprezzato, inoltre, sempre ad avviso di questa parte costituita, anche rispetto all’assenza di indicazioni «sulle capacità genitoriali dell’imputata, sulla sua condotta nel rapporto con l’altro coniuge relativamente ai figli, sulla volontà dei figli di interrompere i rapporti col padre, sul rapporto tra i figli e lo stesso padre»; il che avrebbe comportato l’impossibilità di «far fondatamente presumere la derivazione [in danno dei figli] di effetti pregiudizievoli dall’applicazione della pena accessoria irrogata alla madre» tenuto conto altresì del fatto che un tale difetto di motivazione sulla rilevanza aveva condotto i giudici di legittimità costituzionale a dichiarare inammissibile, con ordinanza n. 150 del 2013, una questione identica a quella oggi proposta dalla sezione rimettente.

Nel giudizio a quo, infine, non avrebbe assunto alcuna rilevanza concreta «la questione della durata predeterminata della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, alla quale il ricorso presentato nell’interesse dell’imputata, per come riportato dall’ordinanza, neppure accenna».

Nel merito, le questioni sarebbero state comunque infondate dato che l’automatismo di cui si doleva il collegio rimettente sarebbe stato posto a tutela del minore il quale – in conseguenza della condotta di illecita sottrazione e trattenimento all’estero – subirebbe «una compromissione, spesso definitiva, del proprio diritto di godere degli affetti familiari e di essere educato e assistito dai propri genitori». Orbene, se la condotta incriminata dall’art. 574-bis cod. pen. sarebbe, in effetti, «di sicuro pregiudizio per l’interesse morale e materiale del minore», ciò che renderebbe del tutto ragionevole la comminatoria, a carico del genitore che abbia compiuto il reato e che per questo si sia dimostrato inadatto a esercitare la propria responsabilità genitoriale, della pena accessoria in questione, una tale considerazione, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, renderebbe inapplicabile al caso di specie la ratio delle sentenze n. 31 del 2012 e n. 7 del 2013 della Consulta concernenti reati che non necessariamente sono commessi a danno del minore come invece il delitto di cui all’art. 574-bis cod. pen., che mira a tutelare «i singoli rapporti e gli specifici interessi che fanno capo ai componenti il nucleo familiare».

D’altra parte, la pena accessoria in esame non rappresenta, per questa parte, la decadenza dall’esercizio della responsabilità genitoriale ma la semplice sospensione della stessa che priva solo temporaneamente il genitore dei diritti a essa inerenti conservandogli peraltro la possibilità di frequentare il figlio e di vigilare sulla sua istruzione, educazione e condizioni di vita nonché la titolarità dei doveri che discendono dal proprio ruolo genitoriale così come non sarebbe fondato il dubbio di legittimità costituzionale sollevato in relazione al carattere predeterminato della durata della pena accessoria dal momento che l’art. 34 cod. pen. si limiterebbe a dettare un criterio di computo per la durata della pena stessa senza togliere al giudice la discrezionalità nella fissazione della pena principale, la quale poi si rifletterà sull’entità della pena accessoria, assicurandone così la proporzionalità alla gravità del fatto da cui deriva la pena principale.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte costituzionale

Preliminare all’esame delle questioni prospettate, ad avviso della Consulta, era necessario compiere un breve inquadramento del contesto normativo nelle quali si inserivano tali questioni il che era compiuto in questa decisione nei seguenti termini: “L’art. 34 cod. pen. – la prima delle disposizioni censurate – disciplina in via generale le pene accessorie della decadenza e della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale, stabilendo al primo comma che la decadenza si applica (soltanto) ai delitti per i quali essa sia espressamente prevista, e al secondo comma che la sospensione opera invece come conseguenza automatica della «condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale […] per un periodo di tempo, superiore al doppio della pena inflitta». L’art. 34 non specifica, peraltro, quale sia il contenuto delle due pene accessorie in parola, limitandosi a precisare – al terzo comma – che la decadenza dalla responsabilità genitoriale importa «anche» – e, dunque, non esclusivamente – «la privazione di ogni diritto che al genitore spetti sui beni del figlio in forza della responsabilità genitoriale di cui al titolo IX del libro I del codice civile», nonché – al quarto comma – che la sospensione dal relativo esercizio importa «anche l’incapacità a esercitare, durante la sospensione», i medesimi diritti. Il più preciso contenuto delle due pene accessorie in esame si ricava, a contrario, dalle disposizioni del codice civile dedicate alla «responsabilità genitoriale»: espressione con cui è stata sostituita – ad opera dell’art. 93, lettera c), del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219) – la precedente formula «potestà dei genitori», che a sua volta aveva sostituito – per effetto dell’art. 122 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – il sintagma originario «patria potestà». L’art. 316 cod. civ., come modificato dal citato d.lgs. n. 154 del 2013, disciplina – pur senza definirne puntualmente il contenuto – la responsabilità genitoriale, attribuendone la titolarità a entrambi i genitori, chiamati a esercitarla «di comune accordo, tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio». ome chiarisce la Relazione illustrativa al d.lgs. n. 154 del 2013, «la nozione di responsabilità genitoriale, presente da tempo in numerosi strumenti internazionali (tra cui il reg. CE n. 2201/2003 – c.d. Bruxelles II bis – relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale), è quella che meglio definisce i contenuti dell’impegno genitoriale, da considerare non più come una potestà sul figlio minore, ma come un’assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio». Tale nozione consiste – prosegue la Relazione – in «una situazione giuridica complessa idonea a riassumere i doveri, gli obblighi e i diritti derivanti per il genitore dalla filiazione», precisandosi che essa è «necessariamente più ampia rispetto alla (vecchia) potestà, in quanto dovrebbe reputarsi in essa ricompresa anche la componente economica rappresentata dall’obbligo di mantenimento dei figli». Ciò che permette, conclude la Relazione, di attribuire «risalto alla diversa visione prospettica che nel corso degli anni si è sviluppata ed è ormai da considerare patrimonio condiviso: i rapporti genitori-figli non devono più essere considerati avendo riguardo al punto di vista dei genitori, ma occorre porre in risalto il superiore interesse dei figli minori». Le due pene accessorie disciplinate dall’art. 34 cod. pen. prevedono dunque la decadenza (definitiva) ovvero la sospensione (temporanea) dal fascio complesso di diritti, potestà, obblighi, che si riassumono nel concetto civilistico di «responsabilità genitoriale» di cui all’art. 316 cod. civ.. L’ultimo comma dell’art. 34 cod. pen. dispone, peraltro, che – in caso di sospensione condizionale della pena relativa a un reato per il quale sia prevista in astratto la pena accessoria della decadenza o della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale – gli atti del procedimento penale debbano essere trasmessi al tribunale per i minorenni, affinché assuma i «provvedimenti più opportuni nell’interesse dei minori». La ratio della disposizione si collega evidentemente all’art. 166 cod. pen., il quale prevede che la sospensione condizionale della pena si estende di regola anche alle pene accessorie; sicché l’ultimo comma dell’art. 34 cod. pen. si preoccupa di assicurare che anche in tale ipotesi vengano comunque assunti gli opportuni provvedimenti a tutela del minore, ad opera però non direttamente del giudice penale, ma del tribunale per i minorenni, il quale potrà così intervenire – se del caso – adottando le misure previste dagli artt. 330 e 333 cod. civ.. In particolare, l’art. 330 cod. civ. dispone che «[i]l giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio», precisando al secondo comma che «[i]n tal caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore». Il genitore decaduto potrà peraltro essere reintegrato nella responsabilità genitoriale ai sensi dell’art 332 cod. civ., allorché siano cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata. Ai sensi invece del successivo art. 333 cod. civ., «[q]uando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’art. 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze del caso, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore». Tali provvedimenti, peraltro, sono – ai sensi dell’ultimo comma dello stesso art. 333 cod. civ. – «revocabili in qualsiasi momento». Nella specifica ipotesi in cui penda tra i genitori, innanzi al giudice ordinario civile, un giudizio di separazione o di divorzio, ovvero un procedimento sulla responsabilità genitoriale di figli nati da coppia non coniugata ai sensi dell’art. 316 cod. civ., l’art. 38, primo comma, del regio decreto 30 marzo 1942, n. 318 (Disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie) prevede che la competenza per i procedimenti di cui all’art. 333 cod. civ. spetti allo stesso giudice ordinario, con esclusione della competenza del tribunale per i minorenni. (…) La seconda disposizione oggetto di censure da parte del rimettente è l’art. 574-bis cod. pen.. Introdotta a mezzo della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), la norma mira ad apprestare una più energica tutela penale contro l’odioso fenomeno della sottrazione o del trattenimento di minori all’estero contro la volontà di uno o entrambi i genitori esercenti la responsabilità genitoriale ovvero del tutore, con l’effetto di impedire a costoro l’esercizio della responsabilità stessa. Accanto alle pene principali della reclusione da uno a quattro anni per l’ipotesi prevista dal primo comma, e da sei mesi a tre anni per l’ipotesi – prevista dal secondo comma – caratterizzata dalla sottrazione o trattenimento di minore ultraquattordicenne con il suo consenso, il terzo comma dell’art. 574-bis prevede, come conseguenza automatica della condanna, la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale a carico del genitore che abbia commesso il fatto «in danno del figlio minore». Tale terzo comma ribadisce in effetti la previsione di cui all’art. 34, secondo comma, cod. pen., che – come si è poc’anzi sottolineato – prevede in via generale la pena accessoria in questione come conseguenza automatica della condanna per tutti i delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale, come è certamente qualificabile il delitto di sottrazione o trattenimento di minori all’estero. In mancanza poi di specifica indicazione sulla durata della pena accessoria nel medesimo terzo comma dell’art. 574-bis cod. pen., essa dovrà ricavarsi dalla stessa disposizione generale di cui all’art. 34, secondo comma, cod. pen., che ne àncora il quantum al doppio della pena principale in concreto inflitta”.

Orbene, dopo essere stato illustrato tale quadro normativo in questa maniera, i giudici di legittimità costituzionale osservavano come, dal tenore complessivo della motivazione dell’ordinanza di rimessione, alla luce del quadro normativo sin qui illustrato, si evincesse che oggetto delle censure del giudice a quo erano: il terzo comma dell’art. 574-bis cod. pen. nella parte in cui prevede come conseguenza automatica della condanna la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale a carico del genitore che abbia commesso il delitto di sottrazione o trattenimento di minore all’estero in danno del figlio minore e il secondo comma dell’art. 34 cod. pen. nella parte in cui dispone che – in tal caso – la durata della pena accessoria in parola è pari al doppio della pena principale inflitta.

Precisato ciò, il giudice delle leggi notava come fossero anzitutto inammissibili le questioni aventi ad oggetto l’art. 34, secondo comma, cod. pen..

In particolare, quanto ai profili concernenti l’automatismo nell’an della pena accessoria in questione, se l’obiettivo della Sezione rimettente era quello di eliminare tale automatismo con riferimento al solo delitto di cui all’art. 574-bis cod. pen., l’oggetto del presente giudizio di costituzionalità doveva essere, per l’appunto, ad avviso della Consulta, confinato al solo terzo comma dell’art. 574-bis cod. pen. che stabilisce la regola secondo cui la condanna del genitore per il delitto di sottrazione o trattenimento di minore all’estero compiuto in danno del figlio minore «comporta», con carattere di automaticità, la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale dato che l’estensione del sindacato di costituzionalità all’art. 34, secondo comma, cod. pen. sui profili concernenti l’automatismo nell’an della pena accessoria sarebbe, per la Consulta, per un verso, inutile rispetto agli scopi perseguiti dalla sezione rimettente posto che l’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen. si atteggia a lex specialis rispetto a quella disposizione e, in quanto tale, destinata a trovare applicazione in caso di condanna per il delitto di sottrazione o trattenimento di minore all’estero in luogo della lex generalis, per altro verso, detta estensione risulterebbe eccedente rispetto a tali scopi dal momento che l’art. 34, secondo comma, cod. pen. si applica alla generalità dei delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale dei quali non si occupa – né potrebbe occuparsi – l’ordinanza di rimessione.

Ciò posto, relativamente poi alle questioni concernenti il quantum della pena accessoria oggetto della disciplina di cui all’art. 34, secondo comma, cod. pen., si riteneva come tali questioni non avessero alcuna rilevanza nel giudizio a quo.

Dall’ordinanza di rimessione, difatti, rilevava la Corte costituzionale, si evince che la ricorrente non aveva articolato motivi di ricorso sul quantum della pena accessoria irrogatale concentrando piuttosto le sue censure sull’an della sua applicazione rispetto alle quali aveva sollecitato la Corte di cassazione a sollevare questioni di legittimità costituzionale.

Ebbene, In caso di rigetto di tali questioni, i giudici di legittimità costituzionale ritenevano come la Sezione rimettente avrebbe dunque dovuto disattendere il ricorso dell’imputata senza poter sindacare la durata della pena accessoria concretamente irrogata mentre, in caso di accoglimento delle questioni aventi ad oggetto l’art. 574-bis cod. pen. in riferimento all’automatismo nell’an della pena accessoria, ben si potrebbe annullare il capo della sentenza impugnata relativo all’applicazione della pena accessoria stessa rinviando gli atti al giudice del merito fermo restando che sarebbe poi quest’ultimo a dover valutare se irrogare la pena accessoria e, in caso affermativo, a determinarne la durata facendo a quel punto applicazione dell’art. 34, secondo comma, cod. pen..

Detto questo, quanto poi ai parametri evocati, si stimava inammissibile la censura formulata in riferimento all’art. 10 Cost., in relazione alla Convenzione sui diritti del fanciullo poiché, secondo la costante giurisprudenza della Consulta, le «norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» cui l’ordinamento italiano si conforma ai sensi dell’art. 10, primo comma, Cost. sono soltanto quelle del cosiddetto diritto internazionale generale, certamente comprensivo delle norme consuetudinarie (sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996 e n. 168 del 1994) ma con esclusione del diritto internazionale pattizio (sentenze n. 224 del 2013, n. 113 del 2011, nonché n. 348 e n. 349 del 2007, e precedenti conformi ivi citati) tenuto conto che la citata Convenzione, come la generalità del diritto internazionale pattizio, vincola piuttosto il potere legislativo statale e regionale ai sensi e nei limiti di cui all’art. 117, primo comma, Cost. secondo le note scansioni enucleate dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 (nel senso, per l’appunto, del rilievo ex art. 117, primo comma, Cost. della Convenzione sui diritti del fanciullo, sentenza n. 7 del 2013) e ciò non impedisce, peraltro, alla predetta Convenzione – così come alla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo 2003, n. 77, citata in motivazione nell’ordinanza di rimessione nonché alla stessa Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), che tra l’altro aspira a sintetizzare le tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri dell’intera Unione – di poter essere utilizzata quale strumento interpretativo delle corrispondenti garanzie costituzionali tra le quali in particolare gli artt. 2, 30 e 31 Cost. specificamente evocati dalle ordinanze di rimessione.

A fronte di ciò, non veniva nemmeno reputata fondata l’eccezione formulata dall’Avvocatura generale dello Stato relativa all’allegato difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni che sarebbe derivata dal non avere il giudice a quo chiarito se la ricorrente avesse già formulato una doglianza contro l’applicazione della pena accessoria innanzi alla Corte d’appello in quanto ciò avrebbe condizionato, ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la stessa ammissibilità del corrispondente motivo di gravame nel giudizio di cassazione.

A prescindere qui dal rilievo che, come risulta dagli atti, la ricorrente aveva in effetti già formulato la doglianza in parola in sede di appello, secondo il giudice delle leggi, l’esigenza di una puntuale motivazione sulla rilevanza della questione non può essere dilatata sino a esigere, nell’ordinanza medesima, una specifica confutazione di tutte le eventuali, e meramente ipotetiche, ragioni di inammissibilità della domanda spiegata innanzi al giudice a quo quanto ciò avviene in assenza, almeno, di plausibili ragioni – emergenti dalla stessa ordinanza di rimessione – che possano condurre la Corte costituzionale a dubitare di tale ammissibilità.

Orbene, nel caso di specie, secondo la Consulta, tali ragioni non solo non sussistevano ictu oculi ma, anzi, dal momento che lo stesso giudice a quo dava atto di come la pena inflitta all’imputata fosse stata rideterminata in peius nel giudizio d’appello, all’imputata sarebbe comunque stato consentito formulare motivi di ricorso per cassazione attinenti al trattamento sanzionatorio – e dunque anche alla pena accessoria in questione – pure laddove una tale doglianza non fosse stata in precedenza articolata quale motivo d’appello (art. 609, comma 2, del codice di procedura penale).

Ciò posto, veniva considerata altresì infondata l’eccezione sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato circa un difetto di motivazione sulla rilevanza delle questioni anche sotto il profilo dell’omessa illustrazione, da parte dell’ordinanza di rimessione, delle circostanze di fatto dalle quali dovrebbe desumersi il carattere pregiudizievole per i figli dell’applicazione della pena accessoria alla madre posto che, se è vero che questioni analoghe a quelle in esame, sollevate da un giudice di merito, erano state ritenute inammissibili dalla Consulta con ordinanza n. 150 del 2013 proprio in ragione dell’insufficiente descrizione della fattispecie oggetto del giudizio a quo, non essendo stato neppure precisato – in quell’occasione – se la pena detentiva fosse stata sospesa o meno, con conseguente incertezza circa la possibilità stessa – giusta il disposto dell’art. 34, ultimo comma, cod. pen. – di applicare la pena accessoria, le questioni in oggetto, tuttavia, erano state sollevate non già da un giudice di merito ma dalla Corte di cassazione investita del ricorso avverso una sentenza di condanna a pena non sospesa alla quale segue di diritto l’applicazione della pena accessoria in esame e, avendo la Corte medesima già ritenuto infondati gli ulteriori motivi di ricorso contro la sentenza di condanna, per il giudice delle leggi, anche le doglianze sulla statuizione relativa alla pena accessoria avrebbero dovuto essere rigettate a meno che non fossero state accolte le questioni di legittimità costituzionale prospettate in questa sede e ciò, a sua volta, avrebbe comportato l’esito obbligato dell’annullamento in parte qua della sentenza di condanna il che bastava, sempre per la Consulta, ai fini della rilevanza delle questioni relative all’automatismo nell’an della pena accessoria all’esame risultando, invece, superflua ogni ulteriore descrizione della fattispecie concreta della quale si sarebbe dovuto semmai occuparsi il giudice del rinvio chiamato a valutare se applicare la pena accessoria medesima.

Precisato ciò, nel merito, la Corte costituzionale riteneva opportuno esaminare congiuntamente le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen. in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost..

Richiamando tali parametri costituzionali, rammentavano i giudici di legittimità costituzionale, il giudice a quo in buona sostanza dubitava della legittimità della disciplina censurata sotto un triplice concorrente profilo in quanto: a) si imporrebbe al giudice penale di irrogare la sanzione accessoria della sospensione dall’esercizio dalla responsabilità genitoriale anche allorché ciò sia contrario all’interesse preminente del minore; b) si violerebbe il diritto del minore di mantenere relazioni con entrambi i genitori; c) si introdurrebbe un automatismo incompatibile con la necessità di una valutazione caso per caso dell’adozione di un provvedimento che riguarda direttamente il minore.

Ebbene, rispetto al primo profilo, per la Consulta, erano certamente pertinenti i richiami agli articoli 30 e 31 Cost.

In particolare, il principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, compresi i tribunali, deve essere riconosciuto rilievo primario alla salvaguardia dei “migliori interessi” (best interests) o dell’“interesse superiore” (intérêt supérieur) del minore secondo le formule utilizzate nelle rispettive versioni ufficiali in lingua inglese e francese nasce nell’ambito del diritto internazionale dei diritti umani a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1959, e di qui confluito – tra l’altro – nell’art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo e nell’art. 24, comma 2, CDFUE, per essere assunto altresì quale contenuto implicito del diritto alla vita familiare di cui all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) dalla stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Grande Camera, sentenza 6 luglio 2010, Neulinger e Shuruk contro Svizzera, paragrafi da 49 a 56 e 135; Grande Camera, sentenza 26 novembre 2013, X contro Lettonia, paragrafo 96; sezione terza, sentenza 19 settembre 2000, Gnahoré contro Francia, paragrafo 59).

Tale principio – già declinato dalla Consulta, con riferimento all’art. 30 Cost., come necessità che nelle decisioni concernenti il minore venga sempre ricercata «la soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona”» (sentenza n. 11 del 1981) – era stato, peraltro, già considerato da plurime pronunce della Corte costituzionale come incorporato altresì nell’ambito di applicazione dell’art. 31 Cost. (sentenze n. 272 del 2017, n. 76 del 2017, n. 17 del 2017 e n. 239 del 2014), il cui contenuto appare dunque arricchito e completato da tale indicazione proveniente dal diritto internazionale (sentenza n. 187 del 2019).

Quanto poi al diritto del minore di mantenere un rapporto con entrambi i genitori, veniva rilevato che tale diritto – riconosciuto oggi, a livello di legislazione ordinaria, dall’art. 315-bis, primo e secondo comma, cod. civ., ove si sancisce il diritto del minore a essere «educato, istruito e assistito moralmente» dai genitori, nonché dall’art. 337-ter, primo comma, cod. civ. ove si riconosce il suo diritto di «mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori» e «di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi» – è affermato altresì da una pluralità di strumenti internazionali e dell’Unione europea al cui rispetto il nostro Paese si è vincolato.

L’art. 8, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, invero, riconosce il diritto del minore alle proprie «relazioni familiari» mentre il successivo art. 9, comma 1, impone agli Stati parte di vigilare «affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell’interesse preminente del fanciullo»; e il comma 3 del medesimo art. 9 ulteriormente chiarisce che «[g]li Stati parte rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo».

L’art. 24, comma 3, CDFUE, dal canto suo, sancisce il diritto del minore di «intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse» e la stessa Corte EDU, in sede di interpretazione dell’art. 8 CEDU, riconosce parimenti il diritto di ciascun genitore e del minore a godere di una «mutua relazione» (Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza 10 settembre 2019, Strand Lobben e altri contro Norvegia, paragrafo 202; sezione prima, sentenza 28 aprile 2016, Cincimino contro Italia, paragrafo 62; Grande Camera, sentenza 12 luglio 2001, K. e T. contro Finlandia, paragrafo 151; Grande Camera, sentenza 13 luglio 2000, Elsholz contro Germania, paragrafo 43; sezione terza, sentenza 7 agosto 1996, Johansen contro Norvegia, paragrafo 52).

Alla luce di tali obblighi internazionali, la Sezione rimettente evocava correttamente, per la Consulta, quale base normativa del diritto in questione nell’ordinamento costituzionale italiano, l’art. 30 Cost. essendo ivi sancito al primo comma il dovere dei genitori di «educare» i figli il che non può che presupporre il correlativo diritto del minore a essere educato da entrambi i genitori e ciò necessariamente implica il suo diritto a vivere con loro una relazione diretta e personale salvo che essa risulti in concreto pregiudizievole per i suoi interessi.

Pertinente è, inoltre, sempre secondo la Corte di legittimità costituzionale, il riferimento all’art. 2 Cost. e ciò, sia perché i due diritti della persona di minore età su cui fa perno l’ordinanza di rimessione devono senz’altro essere ricondotti al novero di quei «diritti inviolabili dell’uomo» che la Repubblica si impegna a riconoscere e garantire, sia perché il principio personalista, che permea tutta la Costituzione italiana e che trova espressione anche e soprattutto in quell’articolo, impone di riconoscere e garantire i diritti della persona non solo come singolo ma anche nelle relazioni in cui essa concretamente si trova, e nelle quali soltanto essa si può sviluppare.

Infine, la censura relativa all’automatismo nell’applicazione della sanzione, che impedirebbe al giudice di ricercare la soluzione ottimale per il minore nella situazione concreta nonché l’eventuale sussistenza di una violazione del suo diritto alle relazioni personali con entrambi i genitori, per i giudici di legittimità costituzionale, appare riconducibile, altresì, all’ambito applicativo dell’art. 3 Cost. che vieta irragionevoli equiparazioni di trattamento di situazioni differenziate e che, non a caso, era stato già utilizzato dalla Consulta quale (unico) fondamento della pronuncia di illegittimità costituzionale di una disposizione che prevedeva una preclusione automatica all’accesso alla detenzione domiciliare, ritenuta incompatibile con le esigenze preminenti di tutela del figlio minore del condannato (sentenza n. 211 del 2018).

Ciò posto, tali questioni, così precisate quanto all’oggetto e ai parametri, venivano stimate fondate per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito prima di tutto che il genitore, che commetta un fatto di sottrazione e trattenimento di minori all’estero, compie, invero, un delitto di elevata gravità che offende, tanto il diritto dell’altro genitore, quanto il diritto del minore a vivere la propria relazione con quest’ultimo.

A sua volta l’eventuale consenso o, comunque, la mancata opposizione del minore alla condotta del genitore autore del reato non esclude, evidentemente, il carattere offensivo del fatto anche nei riguardi dello stesso minore che ha comunque diritto, pure in contesti di elevata conflittualità familiare o di rapporto problematico con l’altro genitore, di essere mantenuto in una situazione che permetta, in futuro, un’evoluzione più armonica di quel rapporto e ciò salvo il caso che esso appaia chiaramente pregiudizievole – e debba per questa ragione essere interrotto – in base a una valutazione che, però, spetta unicamente all’autorità giudiziaria competente in esito a un’accurata istruttoria e che non può certo essere anticipata in via unilaterale dall’altro genitore seppur in ipotesi animato dalle migliori intenzioni (e salvo il caso estremo dello stato di necessità).

Proprio l’elevata gravità del delitto in questione segna, per la Consulta, una netta distinzione tra la questione in esame e quelle decise con le sentenze n. 31 del 2012 e n. 7 del 2013 con le quali fu dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’automatismo applicativo della pena accessoria della perdita della responsabilità genitoriale in conseguenza della condanna per i delitti, rispettivamente, di alterazione e soppressione di stato, entrambi solo eventualmente lesivi dell’interesse del minore fermo restando però che il carattere intrinsecamente offensivo del delitto di cui all’art. 574-bis cod. pen. rispetto allo stesso interesse del minore non basta a giustificare – al metro dei parametri costituzionali evocati – l’automatica applicazione della pena accessoria in questione in caso di condanna a pena non sospesa occorrendo in effetti considerare che tale pena accessoria presenta caratteri del tutto peculiari rispetto alle altre pene previste dal codice penale dal momento che, incidendo su una relazione, colpisce direttamente, accanto al condannato, anche il minore, che di tale relazione è il co-protagonista.

Dunque, la sanzione in esame investe necessariamente anche una persona diversa dal colpevole e ciò accade de iure, e non solo de facto, come invece rispetto alle altre pene i cui effetti pure si possono riverberare – ma in via meramente riflessa ed eventuale – sui familiari del condannato (in questo senso già la sentenza n. 7 del 2013: la pena accessoria allora all’esame incideva «su una potestà che coinvolge non soltanto il suo titolare ma anche, necessariamente, il figlio minore»).

L’impatto di tale sanzione sul minore è, d’altra parte, secondo i giudici di legittimità costituzionale, tutt’altro che trascurabile dal momento che la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale comporta in capo al genitore, che ne è colpito, non solo la perdita temporanea del potere di rappresentanza legale del figlio nell’ambito dei rapporti patrimoniali ma – ben più radicalmente – la privazione, per tutto il tempo della sospensione, dell’intero fascio di diritti, poteri e obblighi inerenti al concetto legale di «responsabilità genitoriale» con conseguente venir meno di ogni potere di assumere decisioni “per” il figlio comprese quelle che attengono alle sue necessità di vita quotidiana e che l’art. 357 cod. civ., nel disciplinare i poteri del tutore, indica riassuntivamente con l’espressione «cura della persona».

Per quanto, allora, la pena accessoria in questione non comporti ipso iure il divieto di convivere con, o di frequentare il minore, è evidente per la Consulta che la privazione di ogni potere decisionale nell’interesse del minore impedirà, di fatto, al genitore sospeso dall’esercizio della propria responsabilità di vivere il proprio rapporto con il figlio al di fuori della immediata sfera di sorveglianza dell’altro genitore o, comunque, di persona che sia titolare della relativa responsabilità e sia, pertanto, in grado di assumere in ogni momento le necessarie decisioni per il figlio.

Una tale situazione, che rende oggettivamente più difficile la stessa relazione con il minore in conseguenza dell’applicazione della pena accessoria in esame, per la Corte costituzionale, rischia così di danneggiare in primis proprio quest’ultimo e ciò in violazione, tra l’altro, dello stesso principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27, primo comma, Cost. il cui contenuto minimale è pur sempre il divieto di prevedere a applicare pene a danno di una persona per un fatto altrui (sentenza n. 364 del 1988).

Difatti, se è vero che le ragioni di tutela del diritto del minore, di intrattenere regolarmente relazioni e contatti personali con il genitore, vengono meno, come prevedono all’unisono l’art. 9, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo e l’art. 24, comma 3, CDFUE, allorché la prosecuzione di tale rapporto sia contraria all’interesse preminente del minore, non è irragionevole assumere che la sospensione dalla responsabilità genitoriale, di chi si sia in passato reso responsabile del delitto di cui all’art. 574-bis cod. pen., costituisce sempre e necessariamente, come pare presupporre il legislatore, la soluzione ottimale per il minore.

Al riguardo, si considerava anzitutto che i fatti sussumibili nell’art. 574-bis cod. pen. possono presentare caratteristiche assai varie anche in relazione alla loro concreta dimensione offensiva per l’interesse del minore come può evincersi dal terzo comma censurato il quale prevede la medesima pena accessoria (automatica) della sospensione della responsabilità genitoriale tanto per le ipotesi di cui al primo comma, più severamente sanzionate (reclusione da uno a quattro anni), quanto per quelle di cui al secondo comma, meno severamente sanzionate (reclusione da sei mesi a tre anni). Queste ultime ipotesi, in particolare, sono caratterizzate dal consenso del minore ultraquattordicenne alla condotta del genitore autore della sottrazione o del trattenimento e, in tale ipotesi, il fatto resta qui gravemente lesivo dei diritti dell’altro genitore ma la sua concreta dimensione offensiva per il minore, che pure permane in relazione all’esigenza di garantirgli la possibilità di un più armonico sviluppo futuro del proprio rapporto anche con quel genitore, è certamente attenuata posto che il minore stesso, ormai adolescente, vive oggi evidentemente come problematico quel rapporto.

Pur tuttavia, si evidenziava al contempo che, anche all’interno delle ipotesi abbracciate dal primo comma, non è infrequente che la condotta costitutiva del reato venga compiuta da un genitore straniero in contesti di elevata conflittualità familiare in cui accade che l’autore conduca all’estero il minore – o semplicemente lo trattenga oltre il termine assentito dall’altro genitore, o comunque autorizzato dal provvedimento del tribunale – ritenendo che la condotta dell’altro genitore sia pregiudizievole per il minore ma ciò, per la Consulta, non giustifica il fatto, che resta qualificabile come reato, il quale, seppur non comporta che la valutazione di un genitore ovviamente possa sostituirsi a quella dell’autorità giudiziaria competente, non consente nemmeno di desumere meccanicamente dalla commissione del reato che il mantenimento del rapporto tra il suo autore e il minore sia senz’altro pregiudizievole per gli interessi di quest’ultimo.

Né, ancora, potrebbe argomentarsi che la sospensione della responsabilità genitoriale è destinata a operare soltanto a fronte di fatti che in concreto assumano una elevata gravità sul rilievo che – ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 34 cod. pen. – tale pena accessoria non trova applicazione nel caso di pena detentiva condizionalmente sospesa posto che non sempre una pena inferiore a due anni di reclusione può essere sospesa e ciò per ragioni che nulla hanno a che fare con la gravità del singolo fatto di reato dal momento che l’autore potrebbe, ad esempio, avere già fruito in passato della sospensione condizionale per un reato del tutto eterogeneo e non potere per tale ragione ottenere il beneficio nemmeno a fronte di una pena di pochi mesi di reclusione inflitta per un ritardo di qualche giorno nel rimpatrio del minore dopo una vacanza nel proprio paese d’origine.

Anche in un caso siffatto, secondo il giudice delle leggi, la disposizione censurata imporrebbe al giudice di applicargli la pena accessoria in parola.

Detto questo, sempre a parere della Consulta, il problema principale determinato dalla previsione della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale come pena accessoria che segue automaticamente alla condanna per il delitto di cui all’art. 574-bis cod. pen. consiste però nella cecità di questa conseguenza – concepita in chiave sanzionatoria dal legislatore – rispetto all’evoluzione, successiva al reato, delle relazioni tra il figlio minore e il genitore autore del reato medesimo atteso che, se una misura che frappone significativi ostacoli alla relazione tra il figlio e il genitore in tanto può legittimarsi in quanto tale relazione risulti in concreto pregiudizievole per il figlio (artt. 8, comma 1, e 9, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo; art. 24, comma 3, CDFUE) in base al principio generale secondo cui ogni decisione che riguarda il minore deve essere guidata dal criterio della ricerca della soluzione ottimale per il suo interesse, la stessa applicazione della pena accessoria in esame potrà giustificarsi solo ove risponda in concreto agli interessi del minore,da apprezzare secondo le circostanze di fatto esistenti al momento della sua applicazione le quali, naturalmente, comprendono anche tutto ciò che è accaduto dopo il fatto da cui è scaturita la responsabilità penale del genitore dato che tali circostanze ben potrebbero evidenziare come il mantenimento del rapporto con il genitore autore della sottrazione o trattenimento all’estero non risulti pregiudizievole per il minore ma, anzi, corrisponda a un suo preciso interesse e che lo Stato avrebbe allora il dovere di salvaguardare in via preminente rispetto alle stesse esigenze punitive nei confronti di chi abbia violato la legge penale.

Quanto appena esposto rileva per la Corte tanto più quando le stesse autorità giudiziarie italiane, competenti nei paralleli procedimenti civili concernenti la salvaguardia degli interessi del minore, successivamente alla sottrazione o al trattenimento illeciti all’estero, abbiano deciso di affidarlo – in via condivisa o addirittura esclusiva – proprio al genitore autore del reato ritenendolo il più idoneo a farsi carico degli interessi del figlio.

Oltre a ciò, veniva inoltre fatto presente che l’irragionevolezza dell’automatismo previsto dalla disposizione censurata, rispetto all’esigenza primaria di ricerca della soluzione ottimale per il minore, è vieppiù evidenziata dalla circostanza che la pena accessoria in questione è destinata a essere inesorabilmente eseguita soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza spesso a molti anni di distanza dal fatto.

Orbene, prima di tale momento, rilevavano i giudici di legittimità costituzionale, l’ordinamento offre alle diverse autorità giurisdizionali che si succedono nel corso del procedimento penale – il giudice per le indagini preliminari, il tribunale in composizione monocratica e, infine, la Corte d’Appello – un ampio margine di valutazione relativamente alla possibile adozione di un provvedimentocautelare di sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale; un provvedimento, peraltro, il cui contenuto può, ai sensi dell’art. 288, comma 1, cod. proc. pen., essere opportunamente calibrato a seconda delle specifiche esigenze del caso concreto potendo il giudice privare «in tutto» o anche solo «in parte» l’imputato dei poteri inerenti a tale responsabilità.

Tale margine di discrezionalità concesso al giudice penale durante il procedimento penale viene però del tutto meno quando la sentenza di condanna passa in esecuzione qualunque cosa sia accaduta nel frattempo e indipendentemente da qualsiasi valutazione circa l’interesse attuale del minore in quel momento e ciò in frontale ed evidente contrasto con i diritti del minore sin qui rammentati.

Da tutto quanto precede se ne faceva discendere che l’automatica applicazione della pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale prevista dall’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen. è incompatibile con tutti i parametri costituzionali sopra indicati interpretati anche alla luce degli obblighi internazionali e del diritto dell’Unione europea in materia di tutela di minori che vincolano l’ordinamento italiano.

Pur tuttavia, per la Corte costituzionale, i limiti del devolutum non consentivano a costei di affrontare l’interrogativo – sul quale peraltro ben potrà il legislatore svolgere ogni opportuna riflessione – se il giudice penale sia l’autorità giurisdizionale più idonea a compiere la valutazione di effettiva rispondenza all’interesse del minore di un provvedimento che lo riguarda quale è l’applicazione di una pena accessoria che incide sul suo diritto a mantenere relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori ferma restando comunque la necessità di assicurare un coordinamento con le autorità giurisdizionali – tribunale per i minorenni o, se del caso, tribunale ordinario civile – che siano già investite della situazione del minore e ciò anche al fine di garantire il rispetto della previsione – sancita espressamente dall’art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo e dagli artt. 3 e 6 della Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, e ripresa in linea di principio a livello di legislazione ordinaria dagli artt. 336-bis e 337-octies cod. civ. – di sentire il minore che abbia un discernimento sufficiente e di tenere in debito conto la sua opinione, in relazione a tutte le decisioni che lo riguardano.

I vincoli costituzionali sopra menzionati imponevano però, per la Corte di legittimità costituzionale, comunque di porre rimedio al vulnus riscontrato in continuità con lo spirito delle sentenze n. 31 del 2012 e n. 7 del 2013 sostituendo l’attuale automatismo con il dovere di valutazione caso per caso, da parte dello stesso giudice penale, se l’applicazione della pena accessoria in questione costituisca in concreto la soluzione ottimale per il minore, sulla base del criterio secondo cui tale applicazione «in tanto può ritenersi giustificabile […] in quanto essa si giustifichi proprio in funzione di tutela degli interessi del minore» (sentenza n. 7 del 2013) rendendosi dunque necessaria una valutazione da doversi compiere in relazione alla situazione esistente al momento della pronuncia della sentenza di condanna e dunque tenendo conto necessariamente anche dell’evoluzione delle circostanze successive al fatto di reato.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen., nei termini appena indicati, inoltre, comportava, per la Consulta, che esso dovrà trovare applicazione in quanto lex specialisl’attribuzione al giudice il “potere” di disporre la pena accessoria in questione anziché il “dovere” di irrogarla – nelle ipotesi di condanna per il delitto di sottrazione e trattenimento di minori all’estero rimanendo così esclusa in queste specifiche ipotesi – limitatamente all’an della pena accessoria – l’applicabilità della regola generale di cui all’art. 34, secondo comma, cod. pen. la quale prevede in caso di «condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale» l’automatica applicazione di tale pena accessoria.

Pertanto, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, restando assorbita la questione di legittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma, cod. pen. formulata in riferimento al principio di proporzionalità della pena di cui agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., la Corte costituzionale dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma, del codice penale nella parte in cui prevede(va) che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale anziché la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Conclusioni

Con la decisione in esame, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 574-bis, terzo comma, del codice penale nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale anziché la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.

Da ciò consegue che la sospensione dell’esercizio della responsabilità genitoriale non costituisce più un effetto ex lege nel caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore essendo ora rimessa al giudice la possibilità di disporre tale sospensione.

Oltre a ciò, i giudici di legittimità costituzionale, oltre a pervenire a siffatta declaratoria di illegittimità costituzionale, chiariscono come tale provvedimento dovrà essere emesso attraverso una valutazione che deve essere compiuta in relazione alla situazione esistente al momento della pronuncia della sentenza di condanna e dunque tenendo conto necessariamente anche dell’evoluzione delle circostanze successive al fatto di reato dal momento che questa pena accessoria può essere comminata nella misura in cui essa costituisca in concreto la soluzione ottimale per il minore posto che tale applicazione, in tanto può ritenersi giustificabile, in quanto essa si giustifichi proprio in funzione di tutela degli interessi del minore.

Tale pronuncia, di conseguenza, deve essere presa nella dovuta considerazione non solo nella parte in cui è stata dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 574-bis, c. 3, c.p. in questi termini, ma anche perché si spiega in che modo il giudice deve valutare se debba essere disposta o meno la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale nell’ipotesi di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all’estero ai danni del figlio minore.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché fa chiarezza su tutte queste tematiche giuridiche, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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