La convivenza “more uxorio” deve essere considerata come una famiglia

Pavone Mario 09/03/06
In un momento in cui il dibattito politico nazionale si confronta sulla necessità dei **** **** per le coppie di fatto,la Cassazione interviene sull’argomento delle convivenze “more uxorio” stabilendo che la vita delle coppie di fatto deve essere equiparata a quella delle coppie sposate in virtù della "signifi cativa evoluzione sociale" degli ultimi tempi.
E’ quanto ha affermato la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione,con la sentenza n.109/ 2006 del 5 Gennaio 2006 decidendo in relazione all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di una coppia convivente.
La Suprema Corte ha,infatti,stabilito che, ai fini del calcolo del reddito per l’ammissione al gratuito patrocinio, il rapporto di convivenza non si interrompe con lo stato detentivo, in considerazione della "significativa evoluzione sociale, normativa e giurisprudenziale registratasi negli ultimi tempi", finaliz zata a dare rilievo sociale e giuridico alla convivenza "more uxorio".
La Corte,con la decisione in commento, ribadisce un orientamento formatosi sotto la vigenza della legge n. 219 del 1990,come sostituita dalla legge n. 134 del 2001,ed afferma che per la determi- nazione dei limiti di reddito ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato occorre tenere conto della somma dei redditi facenti capo all’interessato ed agli altri familiari conviventi, compreso il convivente more uxorio.
In conseguenza,afferma la Corte che,in relazione alla normativa nella quale vi era esplicito e letterale riferimento alla convivenza con il coniuge, ai fini delle individuazioni del limite reddituale per l’ammis sione al gratuito patrocinio nei procedimenti penali (ed a differenza di quelli civili ed amministrativi),la norma stessa va interpretata nel senso dell’equiparazione della convivenza coniugale alla convivenza more uxorio.
Il Collegio ha ritenuto pienamente condivisibile l’indirizzo interpretativo appena ricordato, anche per ché lo stesso “risulta assolutamente in linea con la significativa evoluzione sociale, normativa e giuris prudenziale, registratasi negli ultimi tempi ed evidentemente finalizzata a dare rilievo sociale e giuri dico (ovviamente, sia in bonam che in malam partem) alla famiglia di fatto e, di conseguenza, al rap porto more uxorio che nel caso di specie non pare possa essere messo in discussione, sotto il profilo fattuale” ed avrebbe portato al riconoscimento della famiglia di fatto, quale situazione di rilevanza giuridica.
Muovendo dalla evidente necessità di porre l’accento sulla realtà sociale piuttosto che sulla veste formale dell’unione tra due persone conviventi, è stata dunque riconosciuta valenza giuridica a quella relazione interpersonale che presenti carattere di tendenziale stabilità, natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale. A conforto di tale orientamento,la Corte cita tra i principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità in sede civile,a quello secondo cui deve attribuirsi rilievo,quanto alla corresponsione dell’assegno divor- zile dovuto in conseguenza di scioglimento del matrimonio,al rapporto di convivenza more- uxorio,caratterizzato da stabilità,continuità e regolarità,eventualmente instaurato dal coniuge benefi- ciario dell’assegno stesso.(****************. Prima n. 11975/03)
Dovendo confrontarsi con le mutate concezioni che si sono affermate nella società moderna, la giuris prudenza, in materia di rapporti interpersonali, ha dunque considerato la famiglia di fatto quale realtà sociale che, pur essendo al di fuori dello schema legale cui si riferisce, esprime comunque caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia stricto sensu intesa.
Sin qui la sentenza della Cassazione che merita una attenta lettura alla luce della attuale legislazione in materia.
Secondo l’art. 29 della Costituzione, la famiglia è una società naturale fondata sul matrimonio.
Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra conviventi, non si ritiene sia possibile applicare le norme previste per la famiglia legittima e ciò lo si può evincere dal dettato dell’art. 29 Cost. atteso che questa norma attribuisce alla famiglia legittimamente costituita una particolare tutela, in considerazione della peculiarità e dell’importanza sociale svolta dalla famiglia quale luogo di formazione e sviluppo della persona.
Nondimeno, si fanno sempre più frequenti i casi di famiglia non fondata sul matrimonio (c.d. famiglia di fatto, o convivenza more uxorio).
La convivenza more uxorio, che non è neppure più riprovata socialmente, rappresenta una situazione non illecita,giacché è una formazione sociale nel cui ambito può svolgersi la personalità degli individui
come sancito dall’art. 2 della Costituzione.
Occorre,tuttavia,che essa non sia occasionale, bensì caratterizzata da società di intenti e da stabilità come afferma il ****** e come conferma la giurisprudenza
Più precisamente la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha specificato che, al fine di distinguere tra semplice rapporto occasionale e famiglia di fatto, si deve tenere soprattutto conto del carattere di stabilità del rapporto, carattere che conferisce certezza al rapporto stesso e lo rende rilevante sotto il profilo giuridico.
Dalla convivenza, però, non nasce un impegno di continuità del rapporto e la sua rottura non può fondare pretese risarcitorie o alimentari.
Lo scioglimento della convivenza non abbisogna,allo stato,di nessun atto formale, come del resto la sua "istituzione" a differenza del matrimonio che presuppone la continuità del rapporto e, di conse guenza, le formalità previste per il divorzio
Al momento, è assente nel nostro ordinamento un riconoscimento esplicito, ed una disciplina organica, della famiglia non fondata sul matrimonio atteso che non è ancora operativa la riforma all’esame del Parlamento.
In ogni caso,anche nell’ultima legislatura, non sono mancate proposte di legge per offrire una regolamentazione organica alla famiglia di fatto.
In tale ambito si pongono le proposte di legge tendenti ad una regolamentazione completa delle unioni di fatto e tra di esse ve ne sono alcune che aprono la via alla convivenza tra soggetti di eguale sesso, non richiedendo come requisito di riconoscimento dell’unione la diversità di sesso.
L’assenza di norme specifiche non ha tuttavia portato ad escludere un riconoscimento, anche giurisprudenziale, ad alcuni profili della convivenza more uxorio, sicché più di un effetto giuridico viene ora riallacciato ad essa, anche se è sicuro che non è immaginabile una piena parificazione alle unioni fondate sul matrimonio, almeno sino a quando permarrà la chiara, fondamentale enunciazione di cui all’art. 29 Costituzione.
Deve escludersi l’applicazione analogica delle norme dettate in tema di famiglia legittima a quella non fondata sul matrimonio, come non manca di statuire la giurisprudenza
Parte della dottrina (tra cui il Bianca) ammette, tuttavia, che la convivenza stabile può rilevare nella impresa familiare (art. 230 bis, del Codice civile).
Nel tentativo di attribuire una tutela alla convivenza more uxorio la Corte Costituzionale, con sentenza del 1988 ha sancito, in materia di locazione, l’incostituzionalità della legge in materia di locazioni lì ove questa non prevedeva il diritto di succedere nel contratto di locazione anche alle persone conviventi con il conduttore.
Inoltre è stata sancita dal nuovo codice di procedura penale la facoltà di astensione dal deporre contro l’imputato, concessa ai suoi prossimi congiunti, anche al convivente more uxorio.
Viceversa la Corte Costituzionale ha bocciato l’aspettativa delle coppie non coniugate di adottare un bambino: con sentenza 281/94 è stata negata l’adozione ad una coppia sposata da due anni, ma con una convivenza di dieci anni alle spalle.
La motivazione della Corte è consistita nel fatto che mancava un anno (la legge richiede minimo tre anni di matrimonio) per poter richiedere l’adozione, a nulla rilevando la precedente convivenza
A livello di legislazione ordinaria e speciale sono stati attribuiti degli effetti giuridici alla convivenza more uxorio, ma solo relativamente ad alcuni ambiti circoscritti.
Le fonti di diritto interessate sono le seguenti:
  1. D.L. n. 1726 del 27.10.1918: è possibile ottenere la corresponsione della pensione di guerra, in presenza di specifici requisiti, per la vedova, la promessa sposa, la convivente more uxorio;
  2. art. 6 L. n. 356 del 13.03.1958: è riconosciuta assistenza, per i figli naturali non riconosciuti dal padre caduto in guerra, quando questo e la madre abbiano convissuto "more uxorio", nel periodo del concepimento;
  3. art. 2 D.p.r. n. 136 del 31.01.1958: considera famiglia anagrafica non solo quella fondata sul matrimonio e legata da rapporti di parentela, affinità, affiliazione ed adozione ma, ogni altro nucleo che si fonda su legami affettivi, caratterizzato dalla convivenza e dalla comunione di tutto o parte del reddito dei componenti per soddisfare le esigenze comuni, quindi anche la famiglia di fatto;
  4. art. 1 L. n. 405/1975 (istitutiva dei consultori familiari): ricomprende tra gli aventi diritto alle prestazioni assistenziali anche le "coppie";
  5. art. 30 L. n. 354/1975 (Riforma dell’ordinamento penitenziario): attribuisce un permesso al condannato, in caso di imminente pericolo di vita di un familiare, indicando anche il convivente;
  6. art. 5 L. n. 194/1978 (interruzione di gravidanza): permette la partecipazione al procedimento di chi è indicato "padre del concepito", quindi anche in presenza di convivenza more uxorio;
  7. art. 44 L. n. 184/1983: permette in alcuni casi, l’adozione a chi non è coniugato, concessione attribuita quindi, anche alla famiglia di fatto;
  8. art. 17 L. n. 179/1992: permette la sostituzione, al socio assegnatario defunto del convivente, purché documenti lo stato di convivenza da almeno due anni dal decesso.
Una maggiore equiparazione della famiglia di fatto alla famiglia legittima si è verificata anche in ambito penale, e precisamente:
  1. art. 199, 3° co. lettera A) c.p. (obbligo di testimoniare): è prevista la facoltà di astenersi dal testimoniare anche per il convivente more uxorio;
  2. art. 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia): vi è equiparazione alla disciplina applicata alla famiglia legittima;
  3. artt. 342 bis e ter, L. 154/2001 (abusi familiari): la condotta anche del convivente more uxorio che determini un grave pregiudizio al nucleo familiare, comporta l’allontanamento del soggetto e l’obbligo al versamento di un assegno, se i familiari restano privi di mezzi adeguati per il loro sostentamento;
  4. art. 680 c.p. (domanda di grazia): permette al convivente more uxorio di proporre domanda di grazia.
Quello di convivere senza alcun vincolo formale idoneo ad assicurare certezza al rapporto è una libera scelta di ogni individuo.
Oggi aumentano le separazioni ed i divorzi e si moltiplicano le convivenze, mentre la famiglia fondata sul matrimonio sta attraversando una crisi profonda che ha determinato la rottura dei tradizionali equilibri e delle dinamiche che da sempre sono state fondamento dei rapporti familiari.
Non sussiste,tuttavia, una regolamentazione ordinaria generale, né speciale, da applicare alla famiglia di fatto.
L’unico modo per ottenere una tutela, ad oggi, è quello di autoregolamentarsi mediante la stipulazione di patti, diretti a disciplinare taluni aspetti di natura patrimoniale al fine di evitare conflitti durante il menage oppure al momento della cessazione del rapporto e in modo da garantire i diritti successori anche al partner.
La Cassazione, con la sentenza in commento,aggiunge,quindi,un importante tassello al confronto in atto tra favorevoli e contrari ad una regolamentazione giuridica delle convivenze more uxorio.
Ostuni ,febbraio 2006
                ************ Avvocato in Brindisi
Patrocinante in Cassazione
 
Qui di seguito la sentenza
 
CORTE DI CASSAZIONE
IV SEZIONE PENALE
SENTENZA
n.109/2006 del 5 Gennaio 2006
OSSERVA
C. N. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con la quale il Tribunale di Milano aveva respinto il ricorso/ reclamo presentato dal C. contro il provvedimento del Giudice dell’esecuzione di rigetto dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’impugnato provvedimento, deducendo violazione di legge sotto un duplice profilo: la norma richiamata dal giudice nel suo provvedimento, deducendo violazione di legge sotto un duplice profilo: la norma richiamata dal giudice nel suo provvedimento, art. 15 ter della legge 30/7/1990 n. 217 [1] e succ. mod., in forza del quale, in caso di convivenza, il reddito ai fini della norma stessa è costituito dalla somma dei redditi di ogni componente del nucleo stabilmente convivente, troverebbe applicazione solo in relazione ai procedimenti civili e amministrativi, e non anche in sede penale, laddove, invece, lo stato di convivenza rileverebbe solo con riferimento al coniuge ed ai familiari ai sensi dell’art. 3, comma secondo, della legge n. 134/2001 (già legge n. 217/90), poi sostituito dall’art. 76 del TU n. 115/02 attualmente in vigore; lo stato di convivenza sarebbe risultato comunque interrotto in conseguenza dei periodi di detenzione del C. e di quelli da costui trascorsi in comunità terapeutiche.
Sono poi pervenute note del difensore, con argomentazioni a sostegno della tesi prospettata con il proposto gravame.
Il ricorso deve essere rigettato perché infondato alla luce dell’orientamento delineatosi in materia nella giurisprudenza di legittimità.
Ed invero questa Corte ha già avuto modo di occuparsi della questione relativa ai limiti di reddito, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, nel caso di situazione di convivenza more uxorio; e, con riferimento a fattispecie relativa alla disciplina di cui alla legge n. 134/01 (che aveva sostituito quella n. 214/90), ha precisato che per la individuazione del reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, occorre tener conto, a norma dell’art. 3, comma II, della legge 30 luglio 1990 n. 217, della somma dei redditi facenti capo all’interessato e agli altri familiari conviventi, compreso il convivente more uxorio (Sez. 4, n. 13265/04, imp. ***, rv. 228035).
Orbene, come detto, tale principio è stato affermato in relazione alla disciplina prevista dalla legge 219/90 come sostituita dalla legge n. 1354/01, in cui per i procedimenti civili ed amministrativi risultava indicata genericamente la convivenza (art. 15 ter, comma II, inserito proprio con legge 134/01) mentre per i procedimenti penali vi era lo specifico riferimento alla convivenza con il coniuge.
Dunque, questa Corte, in relazione alla normativa nella quale vi era esplicito e letterale riferimento alla convivenza con il coniuge, ai fini delle individuazioni del limite reddituale per l’ammissione al gratuito patrocinio nei procedimenti penali (ed a differenza di quelli civili ed amministrativi), ha interpretato la norma stessa nel senso dell’equiparazione della convivenza coniugale alla convivenza more uxorio.
Non vi è, pertanto, alcuna ragione per discostarsi da detto orientamento, pur nella vigenza del testo unico n. 115/02, applicabile nella concreta fattispecie avuto riguardo alla data della sua entrata in vigore (1° luglio 2002) ed all’epoca dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio (18 luglio 2002), pur non essendo stata prevista alcuna differenza per i procedimenti penali rispetto a quelli civili ed amministrativi, e pur essendo stata testualmente indicata, ai fini che in questa sede rilevano, la convivenza con il coniuge.
Il Collegio ritiene penalmente condivisibile l’indirizzo interpretativo appena ricordato, anche perché lo stesso risulta assolutamente in linea con la significativa evoluzione sociale, normativa e giurisprudenziale, registratasi negli ultimi tempi ed evidentemente finalizzata a dare rilievo sociale e giuridico (ovviamente, sia in bonam che in malam partem) alla famiglia di fatto e, di conseguenza, al rapporto more uxorio che nel caso di specie non pare possa essere messo in discussione, sotto il profilo fattuale, avendovi fatti esplicito riferimento lo stesso C. nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio per come si rivela dal testo dell’impugnato provvedimento.
Come è noto, infatti, e con particolare riferimento proprio al vincolo tra soggetti conviventi more uxorio, l’evoluzione giurisprudenziale ha portato al riconoscimento della famiglia di fatto, quale situazione di rilevanza giuridica.
Muovendo dalla evidente necessità di porre l’accento sulla realtà sociale piuttosto che sulla veste formale dell’unione tra due persone conviventi, è stata dunque riconosciuta valenza giuridica a quella relazione interpersonale che presenti carattere di tendenziale stabilità, natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale (basti pensare, tra i principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità in sede civile, a quello secondo cui deve attribuirsi rilievo, quanto alla corresponsione dell’assegno divorzile dovuto in conseguenza di scioglimento del matrimonio, al rapporto di convivenza more uxorio, caratterizzato da stabilità, continuità e regolarità, eventualmente instaurato dal coniuge beneficiario dell’assegno stesso: Sez. 1, n. 11975/03, rv. 565799).
Dovendo confrontarsi con le mutate concezioni che via via si sono affermate nella società moderna, la giurisprudenza, in materia di rapporti interpersonali, ha dunque considerato la famiglia di fatto quale realtà sociale che, pur essendo al di fuori dello schema legale cui si riferisce, esprime comunque caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia stricto sensu intesa.
Parimenti infondato è il secondo profilo del ricorso, secondo cui il rapporto di convivenza sarebbe risultato interrotto dalla detenzione del C. (nonché ai periodi dallo stesso trascorsi presso comunità terapeutiche).
Anche su tale punto questa Corte ha avuto già modo di pronunciarsi ed ha enunciato il condivisibile principio di diritto secondo cui il rapporto di convivenza, ai fini del calcolo reddituale per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non si interrompe con lo stato detentivo della persona interessata al gratuito patrocinio (in tale senso, ex plurimis: Sez. I, n. 16160/01, Crissantu, rv. 218638; Sez. IV, n. 37992/02, imp. Lucchese, rv. 223790).
Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Roma, 26 ottobre 2005.
Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2006.

Pavone Mario

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