La cooperazione internazionale tra imprese: la joint venture

Michele Mauro 13/07/21
Abstract: il presente lavoro è il primo di una serie di pubblicazioni che propongono chiarimenti in merito agli strumenti al servizio degli imprenditori e degli operatori economici per la realizzazione di obiettivi economici e produttivi comuni.

INDICE

  • L’iniziativa economica in Costituzione
  • Le joint ventures cooperative e le joint ventures concentrative nel contesto europeo
  • Perchè creare una joint venture?
  • La fase precontrattuale
  • Il main agreement e gli operation agreements
  • Processo decisionale, deadlock e misure di risoluzione

L’iniziativa economica in Costituzione

La Carta Costituzionale nostrana già nell’anno in cui fu adottata dall’Assemblea Costituente (con deliberazione del 22.12.1947) riconobbe l’importanza della regolamentazione, almeno in via di principio, dei rapporti economici di natura pubblica e privata.

Basti anche solo considerare che la Parte I è dedicata ai “Diritti e doveri dei cittadini” (che disciplina e garantisce, ad esempio, la libertà personale, di pensiero, la libertà religiosa e politica, l’inviolabilità del domicilio, la personalità della responsabilità penale), la Parte II informa i “Rapporti etico-sociali” (riconosce i doveri dei genitori nei confronti dei figli, riconosce il matrimonio come fondamento della famiglia, il dovere assistenziale dello Stato nei confronti delle persone indigenti, la tutela della salute personale e collettiva e, si perdoni la preferenza personale, sancisce che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”).

Dopo aver dedicato attenzione a tali sensibili rapporti e libertà, la Costituzione pone alla Parte III immediatamente l’attenzione sui “Rapporti economici” riconoscendone il peso fondamentale nella vita quotidiana di qualsiasi persona. Ad oggi, purtroppo, alcune enunciazioni non trovano ancora piena e compiuta realizzazione, basti pensare che già nel 1947 fu prevista la parità salariale tra uomini e donne alla quale ancora oggi si cerca di giungere.

Quel che interessa particolarmente nel presente lavoro, è la portata dell’art. 41 che statuisce: “1. L’iniziativa economica privata è libera. 2. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. 3. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perchè l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

Tralasciando l’analisi delle problematiche del coordinamento tra economia pubblica e privata ed il contemperamento delle esigenze sociali con le iniziative economiche private, in questo elaborato si pone l’attenzione sulla portata del comma 1 della norma costituzionale appena richiamata che stabilisce la libertà, seppure mediata, dell’iniziativa economica. Tale libertà deve essere certamente garantita sia nel momento genetico che nella fase evolutiva dell’attività economica.

Ogni cittadino è libero di intraprendere un’attività economica pienamente soddisfacente e deve altrettanto essere libero di gestire e proseguire la propria attività, professionale o d’impresa, nel modo che ritiene più confacente ai propri obiettivi economici, sociali, personali.

Tale principio, ovviamente, comporta la libertà, nel caso di specie per gli imprenditori (ma tale discorso vale anche per operatori economici e professionisti), di scegliere la strada ritenuta migliore per la prosecuzione dell’attività di impresa.

Una delle possibilità che spesso si presenta agli imprenditori è quella di intraprendere un percorso di cooperazione condiviso con altri imprenditori. Diverse sono le possibili forme di cooperazioni, nazionali o internazionali, attuabili: consorzi, associazioni temporanee d’impresa (A.T.I.), gruppi europei di interesse economico (G.E.I.E.) e, quelle che qui saranno analizzate, le joint ventures.

 

Le joint ventures cooperative e le joint ventures concentrative nel contesto europeo.

Questa non è la sede opportuna per un’ampia ed approfondita analisi della normativa comunitaria in materia di tutela della concorrenza e valutazione delle concentrazioni tra imprese, argomento al quale si riserverà un’autonoma trattazione in futuro.

Appare, tuttavia, utile un sommario e breve richiamo ai principi comunitari che regolano e disciplinano l’ipotesi di cooperazioni internazionali tra imprese, in quanto, la maggior parte delle joint venture (sia contrattuali che societarie) sono stipulate tra imprenditori di Paese diversi..

Secondo quanto previsto dal “Regolamento Comunitario sulle concentrazioni” (Reg. n. 139/2004 del 20.01.2004) l’azione della Comunità Europea e dei singoli Stati membri deve essere improntata al principio di rafforzamento di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza.

L’Unione Europea è ben consapevole che la riduzione degli ostacoli internazionali al libero commercio ed agli investimenti porteranno ad una serie di profonde ristrutturazioni delle imprese che, quindi, tenderanno inevitabilmente a creare delle concentrazioni tra soggetti economici, finanziari e commerciali.

L’UE, tuttavia, non vede in maniera negativa tali forme di aggregazione che, anzi, sono valutate positivamente se corrispondenti alle esigenze di una concorrenza dinamica e se possono altresì aumentare la competitività dell’intera industria europea.

Ciò che l’UE intende scongiurare è che tali concentrazioni possano portare ad un’alterazione, anche temporanea o limitata soltanto ad alcuni Paesi, della concorrenza del mercato con la creazione di monopoli di fatto o abusive posizioni dominanti. Sono complessivamente valutate dalla Commissione Europea, per verificare che tali concentrazioni siano compatibili con gli obiettivi comunitari, la struttura dei mercati interessati e della concorrenza effettiva e potenziale delle imprese situate all’interno o all’esterno della comunità (Reg. n. 139/2004, art. 2, par. 1, lett. a), la “posizione sul mercato delle imprese partecipanti, del loro potere economico e finanziario, delle possibilità di scelta dei fornitori e degli utilizzatori, del loro accesso alle fonti di approvvigionamento o agli sbocchi, dell’esistenza di diritto o di fatto di ostacoli all’entrata, dell’andamento dell’offerta e della domanda dei prodotti e dei servizi in questione, degli interessi dei consumatori intermedi e finali nonché dell’evoluzione del progresso tecnico ed economico purché essa sia a vantaggio del consumatore e non costituisca impedimento alla concorrenza” (Reg. n. 139/2004, art. 2, par. 1, lett. b).

Tale breve considerazione conduce alla necessaria distinzione tra joint venture cooperativa e joint venture concentrativa che si configura, a ben vedere, in uno specchio della differenza tra joint venture contrattuale e joint venture societaria che di seguito saranno analizzate.

La joint venture concentrativa (= societaria) è quella alla quale si applica il Regolamento sopra richiamato, in quanto, la costituzione di una nuova compagine viene considerata come concentrazione (sebbene occorrerà poi distingue tra concentrazioni comunitarie e non, ma, come già detto in precedenza, questi specifici aspetti, data la complessità, saranno analizzati in un futuro studio): la Commissione Europea, infatti, considera come jv concentrative quelle che creano una nuova società che opera autonomamente sul mercato ma che sia controllata da venturers indipendenti gli uni dagli altri.

La joint venture cooperativa si concretizza in un accordo tra due o più venturers indipendenti che coordinano la reciproca attività in relazione ai prezzi offerti al mercato, oppure che disciplinano di comune accordo le rispettive produzioni in modo da modificare a proprio vantaggio (ed in danno dei consumatori) il rapporto domanda-offerta. Come già detto, tali forme di cooperazioni non comportano la nascita di un nuovo soggetto che opera autonomamente sul mercato (a differenza di quanto previsto dalle jv societarie-concentrative) e sono quindi valutate, per la loro conformità ai principi di libero mercato, alla luce della normativa antitrust che tende al totale contrasto della formazione di cartelli tra imprese (vietati ai sensi dell’art. 101, par. 1, TFUE).

Bisogna chiarire che nella pratica possono individuarsi anche delle joint venture concentrative con effetti cooperativi: è il caso in cui due o più venturers creino una nuova società (ciò indurrebbe erroneamente a pensare di trovarsi davanti ad una jv concentrativa) che tuttavia non ha una propria autonomia in quanto opera sul mercato perseguendo un’utilità riferibile non alla stessa jv bensì ai singoli venturers. Appare chiaro, quindi, che per distinguere tra jv cooperativa e jv concentrativa sia rilevante l’elemento dell’autonomia della jv che deve consistere in un controllo congiunto di due o più venturers e, contemporaneamente, in un’autonomia della nuova società rispetto ai venturers. Tale autonomia dovrà essere economica (sufficienza di mezzi per lo svolgimento dell’autonoma attività) ed organizzativa (durata medio lunga della collaborazione e terzietà, rispetto ai venturers, nei rapporti commerciali). In caso di sussistenza di tale autonomia, quindi, avremo una jv che sarà definibile come concentrativa.

Occorre chiarire, per fugare qualsiasi dubbio in merito, che l’UE non vieta le jv cooperative e consente, invece, quelle concentrative. Entrambe le forme di cooperazione sono consentite ma tali operazioni saranno sottoposte ad un diverso controllo: le jv concentrative saranno vagliate alla luce della disciplina del merger control mentre le jv cooperative dovranno superare “l’esame” dell’antitrust.

 

Perchè creare una joint venture?

Per ben comprendere i motivi per i quali due o più imprenditori intendano assumere reciproci e vincolanti impegni, preme, innanzitutto, chiarire come con il termine di joint venture si faccia riferimento non soltanto ad una realtà giuridica ma anche, e forse soprattutto, ad una realtà economica. Il principale motivo che spinge i futuri venturers ad impegnarsi reciprocamente è, come facilmente desumibile, la realizzazione di obiettivi economici profittevoli per tutti i partecipanti all’impresa comune. Obiettivi economici che, per diversi motivi, non potrebbero essere raggiunti oppure non potrebbero essere raggiunti con tempi e costi sopportabili dai singoli venturers.

Le ragioni economiche che possono spingere due o più imprese a collaborare possono essere molteplici: spesso le joint ventures nascono dall’esigenza dei partecipanti di condividere gli sforzi ed i costi di un’attività scientifica di ricerca e sviluppo. Basti pensare al costo ed ai lunghi tempi di ricerca per lo sviluppo di nanotecnologie applicabili al settore medico-chirurgico, alla fase di ricerca e sperimentazione di nuovi farmaci. In questi casi due o più società possono decidere di cooperare per condividere i rispettivi progetti di ricerca e sviluppo ed i reciproci risultati già raggiunti per giungere al risultato finale in tempi brevi e, alla fine, condividere sia i costi sia i profitti. Spesso nel mercato conta arrivare per primi per acquisire vantaggi (come ad esempio la registrazione di un brevetto) che, sebbene condivisi con un partner, sono di gran lunga superiori al medesimo risultato raggiunto singolarmente ma in un tempo eccessivamente lungo.

In altri casi i venturers cooperano per ottimizzare un processo produttivo: l’esempio più semplice può essere quello della produzione di automobili. Spesso alcune case automobilistiche sviluppano soltanto la componentistica meccanica (si pensi al motore ed alla carrozzeria) mentre per la componentistica elettronica si avvalgono della collaborazione di una società che si occupa esclusivamente dello sviluppo e produzione di tali elementi. Per il primo venturer sarebbe estremamente costoso e comporterebbe tempi estremamente lunghi ampliare il proprio impianto produttivo senza, magari, riuscire a raggiungere standard qualitativi e quantitativi in un periodo di accettabile. Ciò potrebbe compromettere la propria presenza sul mercato e, quindi, decide di concludere una joint venture con un produttore di componentistica elettronica che può vantare un know-how di elevato profilo ed una considerevole capacità produttiva.

In altri casi i motivi della cooperazione potrebbero essere “politici”. Questo caso non va considerato come residuale ma, anzi, è forse uno dei motivi principali per i quali due venturers decidono di allearsi e cooperare. Ancora una volta può ben soccorrere un esempio: il venturer Alfa (società del Paese A) è altamente specializzata nella lavorazione di pietre preziose. Nel Paese B viene scoperto un enorme giacimento di diamanti ma il governo di tale Paese vieta l’esportazione dei diamanti grezzi consentendo solo quella dei “diamanti lavorati”. A questo punto la società Alfa stipula una joint venture con la società Beta (che ha già sede nel Paese B e che si occupa dell’estrazione dei diamanti dai giacimenti) per la creazione di una società Delta (con sede nel Paese Beta) che si occuperà dell’estrazione dei diamanti e della loro lavorazione in loco per poi procedere all’esportazione del prodotto finito. In questo caso Alfa e Beta si accordano di modo che Alfa conceda alla nascente società Delta il proprio know-how (tecniche di lavorazione, personale altamente qualificato, attrezzature di lavorazione) mentre la società Beta conferirà alla società Delta i propri impianti produttivi e le proprie concessioni allo sfruttamento dei giacimenti minerari.

Ovviamente sono stati formulati esempi estremi per ben rendere l’idea delle problematiche risolvibili con una joint venture tra un socio locale ed uno straniero, ma occorre pensare che spesso tale possibilità aggregativa viene utilizzata anche nel caso in cui vengano imposti gravosi dazi sull’esportazione di materie prime, oppure per aggirare (creando una joint venture con un socio locale) normative che impongono tassazioni elevate agli investimenti di stranieri.

 

La fase precontrattuale

La joint venture non è null’altro che un contratto con cui due o più imprenditori, oppure operatori economici o finanziari, si accordano assumendo un reciproco impegno per un periodo medio lungo per la realizzazione di un determinato progetto (si pensi a due imprese che si accordano per la realizzazione di un un ponte o di un aeroporto) oppure per dare vita ad una nuova società che consenta ai singoli venturers di raggiungere obiettivi produttivi ed economici che singolarmente non potrebbero raggiungere.

Come già intuibile anche dalla lettura del precedente paragrafo, oltre che dalla premessa del presente, la joint venture non è riconducibile ad un unico tipo legale. La joint venture può sussistere tra due o più imprenditori che stipulano diversi contratti con i quali disciplinano i propri rapporti, le reciproche fasi di produzione e la presenza su un determinato mercato senza tuttavia creare una nuova società, ed è questo il caso delle cd. joint venture unincorporated (o contrattuali), oppure può concretizzarsi nella creazione di una nuova ed autonoma società partecipata dai venturers, questa è invece l’ipotesi della joint venture incorporated ( o societaria).

Per fugare anticipatamente qualsiasi tipo di dubbio, occorre chiarire che i venturers, per il solo fatto di aver contratto una joint venture (sia contrattuale sia societaria) non perdono automaticamente la loro individualità: ciò significa che, parallelamente alla partecipazione alla joint venture, i singoli venturers continueranno a svolgere autonomamente la propria attività finanziaria o produttiva, infatti, la joint venture (specie quella societaria) non va mai confusa con la fusione di due, o più, società. Per questo motivo nel main agreement (che dopo analizzeremo) particolare attenzione dovrà essere prestata proprio agli aspetti concorrenziali dell’attività propria della joint venture con l’attività dei singoli venturers.

Affinchè possa ritenersi sussistente una joint venture unincorporated (visto che questa si basa “soltanto” su una serie di contratti e non si concretizza con la creazione di un nuovo soggetto giuridico ed economico) è tuttavia necessario che i contratti stipulati tra i venturers diano vita ad una stretta correlazione di disponibilità economica, finanziaria e produttiva e tale correlazione deve essere finalizzata alla realizzazione del progetto o al raggiungimento degli obiettivi. Già solo tale sintetica definizione ci consente di comprendere come la joint venture contrattuale sia la forma ideale per la realizzazione di una singola opera, lavoro, commissione o progetto, mentre si rileva poco adatta ad una collaborazione destinata ad avere ampio respiro temporale.

La joint venture incorporeted, per contro, è la figura che richiede un maggiore approfondimento ed attenzione, in quanto, la scelta di due o più imprenditori di creare un nuovo soggetto giuridico autonomo comporta necessariamente una fase preliminare di trattative particolarmente complesso.

Nella fase che precede la conclusione dell’accordo non esiste una specifica normativa applicabile ed occorre quindi fare richiamo alla normativa di carattere generale che impronta la responsabilità precontrattuale ai principi di buona fede e correttezza, principi universalmente riconosciuti (nel nostro ordinamento sono gli artt. 1337 e 1338 c.c. a disciplinare la cd. culpa in contrahendo) sebbene con le dovute differenze e vincoli previsti dai singoli ordinamenti.

La fase delle trattative, per contro, è regolata da una prassi negoziale internazionale ormai ben consolidata alla quale fare riferimento.

Sicuramente il primo approccio alla valutazione di fattibilità della costituzione di un rapporto di joint venture (sia contrattuale che societaria) è rappresentato dalla lettera di intenti con cui le parti manifestano il proprio interesse a tale forma di cooperazione e cercano di vagliare una convergenza di intenzioni della controparte. Generalmente nella lettera di intenti le parti tendono a non disciplinare compiutamente la successiva attività negoziale, in quanto, solitamente un’autentica road map delle trattative viene concordata con il cd. Memorandum of Understandig (MoU) che è oggetto di specifica contrattazione tra le imprese.

Con il MoU le parti fissano (in maniera piuttosto rigida) gli obiettivi perseguiti, le modalità di contrattazione preliminare (scegliendo, ad esempio, la lingua che sarà utilizzata per lo scambio di documenti e di proposte e controproposte), i tempi della contrattazione (fissando eventualmente anche un calendario degli incontri nonchè il termine ultimo per la stipula dell’accordo) e prevedendo anche determinati obblighi che diventano già vincolanti tra le parti anche prima della stipula dell’accordo definitivo.

Clausole particolarmente importanti che, a parere di chi scrive, devono sempre essere inserite in un MoU sono l’impegno alla contrattazione in esclusiva (le parti si impegnano reciprocamente a non iniziare, o continuare, trattative con terzi partner tendenti ai medesimi obiettivi perseguiti con la contrattazione in essere) e, soprattutto, l’accordo di riservatezza (non disclosure agreement). Tale ultima pattuizione è particolarmente rilevante perchè nella fase di trattative con il MoU vengono anche fissate le modalità (compresi i limiti), tempistiche e costi della due diligence nel corso della quale i contraenti mettono a disposizione della controparte documenti riservati (progetti di ricerca e sviluppo, processi produttivi brevetti, documenti contabili) la cui divulgazione potrebbe comportare danni economici enormi.

La violazione del contenuto della lettera di intenti o del MoU può originare un’autentica responsabilità contrattuale visto che determinate clausole rassegnate in tali documenti hanno in tutto e per tutto valore contrattuale.

Non di rado si prevede nel MoU anche una penale per un recesso dalle trattative che può variare a seconda dello stato raggiunto dalle trattative stesse, sebbene sia la lettera di intenti sia il MoU non possano mai prevedere un obbligo delle parti a concludere il contratto definitivo. Resta salva, in ogni caso ed al di là di qualsiasi previsione di lettera di intenti o MoU, l’applicabilità del principio della buona fede precontrattuale (art. 1337 c.c. “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”), quindi, sarà certamente censurabile e perseguibile giuridicamente il rifiuto della controparte di stipulare il contratto definitivo una volta che sia stata raggiunta l’intesa sugli elementi essenziali del contratto.

 

Il main agreement e gli operation agreements.

Conclusa l’attività di due diligence e gli studi di fattibilità della collaborazione, raggiunta l’intesa su tutti gli aspetti della cooperazione, avremo la conclusione dell’accordo.

La joint venture si caratterizza per la conclusione non di un unico contratto, bensì, di più contratti tra loro funzionalmente collegati.

Il main agreement costituisce il corpo principale dell’accordo. In tale contratto sono riassunti i motivi che hanno motivato le parti a creare la jv e sono indicati gli obiettivi perseguiti. Già nel main agreement sono richiamati i singoli contratti esecutivi dell’accordo principale (cd. operational agreement) oppure la previsione che singoli aspetti della vita della collaborazione saranno in futuro disciplinati con appositi singoli contratti. A tal fine nell’accordo principale è già inserita la cd clausola di collegamento (che sarà richiamata di volta in volta in tutti i successivi contratti esecutivi), la quale prevede che la risoluzione anticipata del main agreement comporterà l’automatica risoluzione dei successivi operational agreements. Sempre nel main agreement saranno indicate le clausole che regolamentano il funzionamento e i poteri degli organi sociali della jv, la durata della cooperazione (e quindi anche della joint venture societaria). Poichè la nascente jv incorporated sarà una società di capitali, dovrà essere indicata  la quota di partecipazione di ogni singolo venturer (ovviamente la partecipazione avrà riflessi anche sulla composizione degli organi della jv incorporated).

Clausole significative del main agreement sono quelle che rientrano nella cd. exit strategy. Nella prassi si impongono limiti ai singoli venturers di alienazione a terzi della propria quota di partecipazione alla jv incorporated. Tale previsione certamente è rispondente alla natura stessa della jv che si basa sugli specifici apporti (scientifici, tecnologici, economici e finanziari) spesso infungibili dei singoli partecipanti ma sarebbe illegittima se prevedesse un divieto assoluto di alienazione e, quindi, viene temperata con la previsione di un diritto di prelazione della quota in favore degli altri partecipanti oppure con la previsione per il venturer di poter sottrarsi alla jv societaria soltanto dopo un determinato periodo di tempo (cd. lock up clause).

Un’ipotesi particolare che potrebbe essere meritevole di regolamentazione nel main agreement è quella di una jv incorporated partecipata da un imprenditore individuale. Quale sarebbe la sorte della jv societaria, o della quota di partecipazione, in caso di decesso dell’imprenditore individuale? Anche in questo caso la soluzione deve essere rimessa alla pattuizione da inserire nell’accordo principale. Potrebbe essere previsto lo scioglimento della jv societaria, oppure può essere previsto il subentro degli eredi nella partecipazione, oppure può determinarsi l’assorbimento della partecipazione in capo all’altro venturer con conseguente liquidazione economica della quota partecipativa in favore degli eredi.

Solitamente non sono previste particolari limitazioni alla possibilità per il partecipante di cedere la propria quota ad una società appartenente al medesimo gruppo societario del quale fa parte.

Già in precedenza si è fatto riferimento alle clausole di non concorrenza che sono inserite nell’accordo principale. Tali disposizioni contrattuali, è bene chiarirlo, non tendono alla limitazione della concorrenza tra i venturers (che comunque non perdono, in ragione della joint venture, la propria individualità giuridica ed economica) nei rispettivi mercati (anche perché spesso i venturers sono pur sempre dei competitors), ma tendono a limitare la concorrenza dei ventures con la joint venture da loro costituita. Tali limitazioni possono essere previste per determinate categorie di prodotti oppure per determinate aree geografiche (spesso i venturers decidono di cooperare per inserirsi in un mercato geografico in cui non riescono individualmente ad essere presenti oppure dove non riescono ad essere particolarmente competitivi).

E’ facilmente intuibile come con il main agreement vengano definiti tutti gli aspetti che porteranno poi alla formale costituzione della corporation, alla redazione dell’atto costitutivo e dello statuto.

Come già accennato in precedenza, al main agreement seguiranno, e saranno collegati, poi gli operational agreements con cui saranno disciplinati i singoli rapporti tra i venturers. Tra tali accordi (che potranno disciplinare qualsiasi tipo di rapporto economico, partecipativo, produttivo) assumono notevole importanza i cd warranties and representation. Tali accordi (che in realtà sarebbe più corretto definire clausole perchè spesso accedono a singoli contratti anche se, nel caso delle joint venture incorporated, vengono stipulati in forma autonoma)  sono di origine anglosassone ed in common law rappresentano i fatti che vengono posti a base di un accordo. Nel caso che ci interessa, tali accordi comportano reciproche rassicurazioni di impegno che i venturers assumo tra loro e nei confronti della jv societaria. Ancora una volta può aiutare un esempio: un venturer fornisce alla nascente società un particolare tipo di tecnologia da applicarsi al ciclo produttivo della jv incorporated. Il venturer, con i warranties and representation, si impegna a continuare i propri progetti di sviluppo della tecnologia fornita alla compagine societaria ed a mettere a disposizione della jv gli eventuali sviluppi positivi che potrebbero migliorare la produzione ed aumentare il profitto della comune impresa. In linea generale ben può affermarsi che con tali contrattazioni i venturers si impegnano a mettere a disposizione della jv, per la durata della cooperazione, il proprio know how, i propri impianti produttivi, le licenze e brevetti, le risorse umane. Questi operational agreements sono particolarmente importanti perchè a garanzia degli impegni assunti possono essere anche previsti indennizzi di notevole entità da porre a carico del venturer infedele. Tale eventuale indennizzo, tuttavia, non dovrà essere corrisposto agli altri venturers bensì alla stessa joint venture incorporated in caso di inadempimento.

D’altro canto può anche essere previsto che in caso di miglioria dell’apporto del venturer all’impresa comune, miglioria che determini un incremento notevole del profitto (o un notevole abbattimento dei costi di produzione) sia rinegoziata la ripartizione degli utili con una maggiore soddisfazione del venturer in questione.

 

Processo decisionale, deadlock e misure di risoluzione.

Uno degli aspetti principali che deve essere disciplinato dal main agreement, e per questo motivo gli si dedica un apposito paragrafo, è quello del processo decisionale della joint venture incorporated in merito alle strategie ed alle singole operazioni che la nascente jv societaria dovrà perseguire o compiere. Va sempre tenuta presente, infatti, la natura dinamica dell’attività produttiva ed economica delle imprese che può trovarsi a dover affrontare scelte che, inizialmente, non erano nemmeno prevedibili, sia in senso positivo che negativo.

Oltre all’esempio sopra richiamato delle migliorie dell’apporto del venturer, migliorie profittevoli per la jv, ben potrebbe capitare (visto che la stragrande maggioranza delle jv incorporated sono costituite tra venturers di diverse nazionalità) che possa intervenire una modifica legislativa del Paese in cui è stata costituita la jv societaria che comporti limiti alla distribuzione degli utili in favore del socio straniero oppure una diversa tassazione di tali profitti. Certamente una tale possibilità non era prevedibile al momento della stipula del main agreement o dei precedenti operational agreements e, quindi, qualora i venturers intendano continuare la loro cooperazione, sarà necessario rinegoziare tale aspetto della partecipazione.

Bisogna, inoltre, premettere che in una joint venture, al di là della ripartizione delle quote di partecipazione tra i singoli cooperanti, gli apporti (economici, scientifici, tecnologici e produttivi), anche se di diversa consistenza economica, sono pur sempre tra loro complementari all’impresa comune. Per questo motivo spesso nel main agreement viene previsto, soprattutto a tutela dei venturers di minoranza, che determinate decisioni siano assunte non a maggioranza ma all’unanimità dei partecipanti oppure a maggioranza qualificata.

Ciò comporta che vi sia sempre un costante dialogo ed una continua contrattazione tra i venturers e proprio per questo motivo al main agreement fanno seguito una serie di successivi operational agreements che ridisegnano gli equilibri societari.

Anche in presenza di un main agreement particolarmente previdente non può escludersi una possibilità di stallo decisionale detto deadlock, vale a dire una situazione in cui, in mancanza del raggiungimento dell’unanimità (oppure di una maggioranza qualificata) nel consiglio di amministrazione della jv incorporated (alla quale partecipano i rappresentanti dei singoli venturers), la corporation non riesca ad adottare una decisione determinante per la prosecuzione dell’attività comune.

Per questo motivo, in caso di deadlock, nel main agreement devono necessariamente essere previste anche le modalità di risoluzione di tali conflitti. Diverse sono le possibilità che offre la prassi internazionale e non tutte sono necessariamente alternative (o una o l’altra), in quanto, ben possono essere previste diverse e successive fasi di risoluzione del conflitto (cercando di risolvere prima il conflitto in un modo, ed in caso di insuccesso in un altro).

Un possibile tentativo di risoluzione è rappresentato dalla move up clause (letteralmente “clausola di spostamento verso l’alto”). In caso di deadlock, uno dei venturer invia all’altro (o agli altri), una deadlock notice, vale a dire, una comunicazione con cui si avvisano gli altri partecipanti della fase di stallo verificatasi nel CdA della jv societaria. A questo punto si apre un dialogo non più tra i rappresentanti dei venturers in sede di CdA della jv societaria, ma direttamente tra gli amministratori delegati dei venturers (o tra soggetti da questi individuati, oppure tra i legali rappresentanti delle imprese coinvolte nella jv) che coopereranno, nei tempi previsti dal main agreement, al fine di superare la fase di stallo e proseguire l’attività comune.

Un altro tentativo di risoluzione di deadlock è prevedibile con la cooling off clause che, in caso di stallo, prevede l’opportunità di rinviare la riunione del CdA della jv incorporated ad una data successiva (entro comunque un termine massimo che deve essere previsto dal main agreement) al fine di giungere nel frattempo ad un accordo profittevole e soddisfacente per tutti i partecipanti.

In caso di mancato esito positivo dei procedimenti di move up e cooling off, i venturers nel main agreement potrebbero anche prevedere l’opportunità di individuare un terzo soggetto imparziale (selezionato secondo i criteri previsti nel contratto principale) al quale devolvere l’adozione della migliore decisione nell’interesse della jv societaria e tenuti in debito conto gli interessi contrastanti dei singoli venturers. Tale soluzione, sebbene possibile, appare difficilmente percorribile, in quanto, è davvero difficile ipotizzare che degli imprenditori possano devolvere a terzi soggetti (nonostante la loro imparzialità) la cura dei propri interessi.

Residuale ed estrema, invece, rispetto alle ipotesi sopra prefigurate, è la cd way out clause che, in caso di conflitto irrisolvibile, disciplina la cessione da parte di un venturer della propria quota di partecipazione all’altro venturer o agli altri venturers. Con tale clausola dovranno essere disciplinati anche i criteri di liquidazione, nonchè i tempi della procedura, della quota partecipativa del venturer che intende avvalersi della way out clause.

 

Lo scioglimento e la liquidazione della joint venture

Come qualsiasi rapporto contrattuale, l’accordo di joint venture (facciamo in questo caso riferimento sia alla jv contrattuale sia a quella societaria) può ben prevedere una durata della collaborazione instaurata.

Il termine della collaborazione può essere riferito alla realizzazione del progetto (si pensi al caso in cui tale collaborazione venga instaurata per la realizzazione di un’opera, come ad esempio la costruzione di un aeroporto. Il termine di cessazione del rapporto coinciderà con la conclusione dei lavori.) sia ad una data certa determinata nello stesso MoU e trasfusa (nel caso di jv incorporated) nell’atto costitutivo.

Ovviamente un termine finale non è necessario e, quindi, potremmo avere una durata illimitata con la previsione, tuttavia, del diritto di recesso del venturer che dovrà essere, per modalità e tempistiche, appositamente disciplinato dal main agreement.

Un contratto principale doviziosamente predisposto certamente dovrà provvedere a stabilire i criteri di liquidazione una volta esauritasi la collaborazione. Tale fase può essere anche particolarmente complessa soprattutto con riguardo alla proprietà industriale.

Nell’ipotesi in cui un venturer sia titolare di un marchio o brevetto che intenda conferire alla nascente jv societaria, si ritiene che possa essere utile nel main agreement prevedere che sia concessa alla jv corporated una mera licenza del marchio/brevetto anzichè il trasferimento degli stessi in proprietà alla jv. Nella prassi, in realtà, questa evenienza è molto più frequente di quel che potrebbe ipotizzarsi, in quanto, spesso un marchio viene registrato per la produzione e commercializzazione di diversi beni (molto semplicisticamente, si pensi ad un marchio con cui vengono venduti sia prodotti alimentari che bevande. Come detto in precedenza, a seguito della stipula della jv, il venturer non perde la propria autonomia giuridica, economica e commerciale e, quindi, potrebbe concedere in licenza alla jv il marchio per la sola commercializzazione delle bevande mentre in proprio potrebbe continuare a sfruttare il marchio per la commercializzazione dei prodotti alimentari. Ben potrebbe, addirittura, il venturer concedere la licenza del marchio alla jv per la commercializzazione dei prodotti soltanto in un determinato territorio). In questo caso al momento dello scioglimento non ci sarebbero particolari problemi in quanto la licenza cesserebbe di esistere in quanto sarebbe venuto meno il soggetto licenziatario ed avremmo un nuovo consolidamento della titolarità con il pieno diritto di sfruttamento del marchio/brevetto in capo al titolare. Nel caso in cui, per contro, il venturer dovesse trasferire la titolarità del marchio/brevetto in capo alla jv societaria, in caso di scioglimento di quest’ultima, il venturer non avrebbe il diritto di riappropriarsi del marchio/brevetto conferito ma, al pari degli altri partecipanti, avrebbe un mero diritto di credito nei confronti della compagine in fase di scioglimento,. In questo caso, qualora volesse garantirsi al venturer il diritto di riacquisire la titolarità del marchio/brevetto conferito, tale possibilità dovrebbe essere espressamente prevista nel main agreement.

Per quanto riguarda i marchi e brevetti che sono frutto diretto dell’attività della jv societaria, in caso di mancata specifica previsione contrattuale trovano certamente applicazione le norme di cui agli art. 2484 c.c. e seguenti.

 

Per la redazione del presente lavoro mi sono avvalso della consultazione di:

  • “Joint Venture tra concentrazione e cooperazione” di Alessandro Massolo e Giovanni Spedicato;
  • “Alleanze tra imprenditori e crescita: le joint venture tra opportunità e regole” di Marzio Molinari e Guidalberto Gagliardi;
  • “La cooperazione tra imprese: consorzi, geie, joint-venture e associazioni temporanee” di Paolo Celentano;
  • “Joint venture societarie: e se nel CdA i soci litigano e non riescono a decidere cosa di fa? Deadlock, move up, side move e way out: definizioni e clausole” di Marco Bianchi.

 

Michele Mauro

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