La Corte Costituzionale si esprime sui poteri del Giudice contabile

Scarica PDF Stampa
L’articolo 28 della Costituzione stabilisce che “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.”

La Corte Costituzionale con una recente sentenza del 7 luglio 2022 n. 203, illustrando concetti chiari e lineari, analizza un problema tecnico con effetti sostanziali in merito ai poteri del giudice nel processo contabile. Viene infatti sollevata con ordinanza, dalla stessa Corte dei Conti, questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, commi 1 e 2, dell’Allegato 1 al Codice di giustizia contabile[1] che recitano: “1. Nel giudizio per responsabilità amministrativa è preclusa la chiamata in causa per ordine del giudice. 2. Quando il fatto dannoso è causato da più persone ed alcune di esse non sono state convenute nello stesso processo, se si tratta di responsabilità parziaria, il giudice tiene conto di tale circostanza ai fini della determinazione della minor somma da porre a carico dei condebitori nei confronti dei quali pronuncia sentenza.”

Indice

  1. Il Nesso di Causalità
  2. La sentenza della Corte Costituzionale
  3. Conclusioni

1. Il Nesso di Causalità

Ancor prima di affrontare la sentenza in commento vanno analizzate alcune questioni di carattere generale per comprendere la portata della sentenza.

Un evento dannoso è da considerarsi causato da un altro se, ferme le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo. A ciò è necessario apportare un correttivo per evitare evidenti paradossi[2]. In tal senso, si deve, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante, non appaiano del tutto inverosimili.

Nella catena logico giuridica della responsabilità amministrativa “fatto illecito – colpa – causalità materiale – danno evento – causalità giuridica – danno conseguenza” all’interno della causalità materiale, si pongono in correlazione degli accadimenti naturali e per essa si applicano i criteri di stampo penalistico enunciati dagli artt. 40 e 41 codice penale[3] senza alcun correttivo.

In tal senso, interessanti spunti di sintesi vengono forniti da una recente sentenza della Corte di Cassazione[4] la quale rappresenta che “la valutazione delle conseguenze del fatto dannoso, sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l’evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all’esito prodottesi) ascrive (…) all’autore della condotta, responsabile “tout court” sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non (può) comprendere anche la riparazione delle conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all’evento di danno (per) negligenza, imprudenza ed imperizia (…). (P)er accertare se esiste il nesso di causalità materiale, infatti, bisogna considerare il fattore umano autonomamente, per considerare se esso configuri una serie causale autonoma, e quindi se il danno si sarebbe verificato anche in mancanza della concausa naturale, quanto alla causalità giuridica, occorre verificare, sempre con accertamento in fatto sulla base delle risultanze istruttorie, quale sia il danno in concreto provocato dal fattore umano, che dovrà essere responsabile di tutto quel danno e non potrà essere chiamato a rispondere che di ciò che ha provocato con il suo comportamento, attivo o omissivo.”

Occorre quindi accertare due nessi di causalità per capire se si genera l’azione risarcitoria del danno: quello tra la condotta illecita e la lesione dell’interesse; quello, successivo, tra la lesione dell’interesse e il danno risarcibile. La prima verifica, che come indicato dalla catena logica sequenziale esposta attiene alla causalità materiale, trova il suo fondamento negli articoli 40 e 41 del codice penale, la seconda trova i suoi assunti nell’articolo 1223 c.c.[5].

Esistono diverse teorie che tracciano le basi su cui deve avvenire l’“accertamento”[6] e il “calcolo”[7] della causalità.

In ragione dei principi penalistici, va chiarito che l’illecito civile affronta la questione del “fatto illecito” secondo una struttura diversa da quella penale: nella responsabilità civile, diversamente dai fatti penalmente rilevanti dove occorre accertare se la condotta umana abbia effettivamente, e oltre ogni ragionevole dubbio, prodotto l’evento che costituisce il fatto-reato[8], occorre verificare anche se da quella lesione siano derivate conseguenze pregiudizievoli. È stato, infatti, chiarito che nell’ambito della responsabilità civile[9] la lesione dell’interesse giuridicamente protetto non costituisce il danno in quanto tale ma il solo prodromo del danno risarcibile. Secondo tali linee di indirizzo occorre constatare i due nessi di causalità: quello tra la condotta illecita e la lesione della situazione giuridica protetta e quello tra la lesione e il danno effettivamente risarcibile. Non vi è quindi danno conseguenza senza danno evento ma può esistere danno evento senza danno conseguenza.

È di tutta evidenza che in base a questi assunti, se esiste solo il fatto illecito[10], ma non il danno-conseguenza, non sorge l’obbligazione risarcitoria.


Potrebbero interessarti anche:


2. La Sentenza della Corte Costituzionale

La sentenza in commento analizza diverse e centrali problematiche sollevate dalla stessa Corte dei Conti: il cuore della questione si trova nella seguente affermazione: “Il divieto espresso dall’art. 83, comma 1, cod. giust. contabile, tenuto conto del dovere del Collegio[11] di vagliare la condotta di tutti i concorrenti nell’illecito imposto dal comma 2 della stessa norma, violerebbe l’art. 3 Cost. anche sotto il profilo della ragionevolezza, imponendo all’autorità giudiziaria di effettuare una valutazione senza disporre di adeguati elementi conoscitivi acquisiti nel contraddittorio tra tutti i soggetti coinvolti. (…) (I)l divieto di chiamata in causa per ordine del giudice espresso dalla norma censurata potrebbe violare l’art. 24 Cost., nella misura in cui lederebbe il diritto di difesa tanto delle parti convenute quanto di quelle non evocate in giudizio astrattamente coinvolte nella ipotizzata fattispecie di responsabilità, non consentendo che tutte partecipino all’accertamento dei fatti in contraddittorio in modo da pervenire a una «più giusta e avveduta decisione» e impedendo, peraltro, ai soggetti che non siano stati chiamati a prendere parte al processo e nondimeno indicati nella sentenza come «virtualmente» responsabili, di impugnare detto provvedimento. Il vulnus all’art. 24 Cost. sarebbe, inoltre, arrecato anche dal pericolo di giudicati contraddittori sui medesimi fatti.

Il Collegio rimettente assume, inoltre, una possibile violazione, da parte dei primi due commi dell’art. 83 cod. giust. contabile, dell’art. 111 Cost., e ciò sia per l’impossibilità, derivante dal divieto di chiamata in causa iussu iudicis, di instaurare un effettivo contraddittorio processuale, con evidente pregiudizio per i convenuti, sia per l’irragionevole vincolo determinato in capo all’autorità giudiziaria nella ricostruzione della vicenda operata dal PM.

Secondo la prospettazione del giudice a quo, le norme censurate potrebbero altresì porsi in contrasto con l’art. 81 Cost. poiché non consentirebbero all’autorità giudiziaria di chiamare in causa i corresponsabili dell’evento dannoso che, ove ne fosse accertata in giudizio la responsabilità, potrebbero essere condannati realmente (e non solo in modo virtuale, ai fini della riduzione del danno dei soggetti evocati nel giudizio di responsabilità dal PM) al risarcimento in favore dell’ente. (…)”

In particolare, ciò su cui viene posta attenzione è: se la Procura Contabile ha ravvisato i presupposti dell’azione risarcitoria solamente in capo a determinati soggetti ma il giudice, durante il processo, per una diversa rappresentazione degli stessi fatti o per l’emersione di nuovi, constata la responsabilità anche di altri soggetti, come può statuire in sentenza le eventuali riduzioni ex articolo 83 comma 2 del codice di giustizia contabile senza poter integrare il contraddittorio d’ufficio in forza del comma 1 della stessa norma?

Se si osservasse la tematica solo con riguardo al giudizio contabile, al netto di possibili anomalie derivanti dalla statuizione di fatti ascrivibili a soggetti che non sono mai intervenuti nel processo, il problema sembra non porsi; in realtà un passaggio della sentenza della Corte Costituzionale ci ricorda invece che esistono diverse sfere del diritto che si possono attivare alla notizia di danno: “(…) per l’affermazione della responsabilità del pubblico agente sul piano civile e contabile deriva che l’azione di responsabilità per danno erariale promossa dal PM dinanzi alla Corte dei conti e quella di responsabilità civile promossa dalle singole amministrazioni interessate davanti al giudice ordinario restano reciprocamente indipendenti, anche quando investano i medesimi fatti materiali, poiché la prima è volta alla tutela dell’interesse pubblico generale, al buon andamento della pubblica amministrazione e al corretto impiego delle risorse, e la seconda, invece, al pieno ristoro del danno, con funzione riparatoria e integralmente compensativa, a tutela dell’interesse particolare della amministrazione attrice[12].”

Il tema quindi si pone nell’ottica di valutare (in realtà prevedere) gli effetti delle statuizioni puramente incidentali delle sentenze passate in giudicato su altri eventuali nuovi giudizi civili.

3. Conclusioni

Dopo una disamina molto chiara di tutte le possibili diverse interpretazioni delle norme e di tutti i possibili conseguenti effetti, la sentenza conclude sull’inammissibilità delle esaminate questioni. Aggiunge tuttavia un passaggio di fondamentale valore: “il denunciato deficit di tutela del terzo, non convenuto e il cui intervento in giudizio non può essere ordinato dal giudice, né aversi su base volontaria senza aderire alla posizione del PM, chiama il legislatore a intervenire nella materia compiendo le scelte discrezionali ad esso demandate, quando si discuta nel processo della concorrente responsabilità del terzo stesso, pur se al fine di accertare l’eventuale responsabilità parziaria dei soggetti convenuti in causa.”.

La Corte costituzionale, quindi, nel dichiarare inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 83, commi 1 e 2, in realtà rileva un concreto problema tecnico che va risolto sotto un piano politico-legislativo. “Sono, in definitiva, scelte devolute al legislatore, (ndr. rappresenta la sentenza) il quale «dispone di un’ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali, incontrando il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute» (sentenza n. 58 del 2020); scelte, pertanto, precluse a questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 143 e n. 13 del 2022, n. 213, n. 148 e n. 87 del 2021 e n. 80 del 2020).”.


Note

[1]     Decreto Legislativo 26 agosto 2016, n. 174

[2]     si pensi ad esempio alla situazione in cui, il presidente di una commissione di concorso giudichi vincitore della procedura con conseguente assunzione un autista che lavorerà per una pubblica amministrazione, il quale, successivamente, causerà, per colpa, un incidente. Secondo la teoria della “condicio sine qua non” sarebbe, esso stesso, ovvero il presidente di commissione, responsabile dell’incidente.

[3]     articolo 40 c.p.  – Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione. Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo; articolo 41 c.p.  – Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione od omissione e l’evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui.

[4]     Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 25/03/2021) 14-10-2021, nr. 28039.

[5]     che recita: “Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta.”

[6]     causalità materiale.

[7]     causalità giuridica.

[8]     articolo 533 del codice di procedura penale che recita al primo comma: “Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio.”.

[9]     la responsabilità amministrativa mutua i principi civilistici in questo senso.

[10]    inteso, nelle fattispecie rientranti nella giurisdizione della Corte dei Conti, anche e solo come illecito civile con riflessi di natura amministrativa.

[11]    Corte dei Conti nel suo giudizio di responsabilità.

[12]    cfr. Corte di cassazione, sezioni unite civili, ordinanze 23 novembre 2021, n. 36205 e 7 maggio 2020, n. 8634.

Sentenza collegata

122952-1.pdf 626kB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Stefano Saracchi

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento