Legittimazione ad agire e legittimazione processuale
Per esercitare l’azione civile occorrono la c.d. legitimatio ad causam e la legitimatio ad processum.
La prima, la legitimatio ad causam, consiste nella titolarità del diritto azionato; occorre, cioè, avanzare una pretesa risarcitoria in relazione al reato per il quale il processo è incardinato; individuare una lesione alla posizione giuridica soggettiva da cui derivi un danno precisando il nesso
causale danno/reato.
La costituzione di parte civile non è ammissibile nei processi per l’accertamento della responsabilità “amministrativa da reato” ex d.lgs. 231/2001.
Ad agire possono anche essere i congiunti della persona che ha subìto il danno, per il ristoro dei danni patrimoniali e soprattutto non patrimoniali
sofferti; in questo caso essi intervengono in quanto portatori di un loro diritto al risarcimento. Inoltre, possono agire i soggetti che sono successori
universali del danneggiato; in tal caso costoro agiscono iure successionis.
La giurisprudenza ha gradualmente esteso l’ambito del danno risarcibile, con la conseguenza di ampliare le categorie dei soggetti legittimati a
costituirsi parte civile, riconoscendo la legittimazione anche a soggetti precedentemente esclusi. Per esempio, dopo un indirizzo contrario, è stato
riconosciuto il “danno all’immagine” patito dal comune a causa delle condotte di peculato commesse da sindaco con conseguente ammissibilità
della costituzione di parte civile.
Per i reati commessi da magistrati, la Cassazione ha ritenuto la legittimazione a costituirsi parte civile del Ministro della giustizia; in precedenza la stessa Corte, pur assumendo la configurabilità di un danno risarcibile, aveva stabilito che legittimato alla costituzione fosse il Presidente del
Consiglio dei Ministri.
La legittimazione alla costituzione di parte civile va valutata anche in sede di patteggiamento.
La legitimatio ad processum, invece, è la capacità di agire nel processo; coloro i quali non hanno il libero esercizio dei diritti non possono costituirsi parte civile se non sono rappresentati, autorizzati o assistiti nelle forme prescritte per l’esercizio delle azioni civili.
La revoca e l’esclusione della parte civile
L’esclusione. La richiesta di costituzione di parte civile è oggetto di un vaglio di ammissibilità da parte del giudice il quale, ove ritenga che ne
manchino i requisiti (perché tardiva, perché vi è carenza di legittimazione o di capacità processuale, perché non si è in presenza di un danno risarcibile ecc.), può escluderla su richiesta delle parti o di sua iniziativa. Parti legittimate sono il Pubblico Ministero, l’imputato e il responsabile civile. A pena di decadenza tale esclusione deve essere chiesta prima che siano eseguiti i controlli relativi alle parti.
Il giudice provvede con ordinanza non impugnabile. La decisione con cui la parte viene esclusa, avendo valore meramente processuale (dovuta,
per esempio, all’assenza di uno dei requisiti necessari dell’atto di costituzione),
non incide sul diritto che il soggetto intende far valere e tale diritto potrà essere esercitato in sede civile.
La revoca. Oltre che su provvedimento di esclusione del giudice, la parte civile può “uscire” dal processo di sua iniziativa revocando la costituzione;
la revoca può essere espressa o tacita (es. non presentando le conclusioni o promuovendo l’azione davanti al giudice civile) e non implica di per sé rinuncia alle pretese civili salvo che non contenga una espressa dichiarazione anche in ordine a tale aspetto.
I presenti contributi, corroborati da giurisprudenza e formule, sono tratti da
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento