Premessa
La cremazione è una forma di trattamento del cadavere attraverso la sua combustione e conseguente riduzione in ceneri praticata già da civiltà mediterranee quali gli etruschi, i greci e i romani. Il cristianesimo preferì l’inumazione o la tumulazione nelle catacombe e intorno al IX secolo la chiesa vietò la cremazione considerata una forma pagana di trattamento del defunto. Il dibattito sull’introduzione della cremazione si riaprì durante la rivoluzione francese e, ancora di più, nella seconda metà del IX secolo promosso da uomini ispirati al positivismo. Da allora la cremazione si è affermata nel mondo occidentale quale, da un lato, espressione di un pensiero libero e razionale, e, dall’altro, efficace soluzione al problema degli spazi cimiteriali.
Nel nostro paese la cremazione è diffusa in percentuali che variano sensibilmente da regione e regione. Se in alcune zone della penisola si ricorre alla cremazione anche nel 30% dei casi di scelta di trattamento del cadavere, in altre la percentuale non raggiunge l’1%. Si noti anche che vi sono grandi città prive di forni crematori.
Le presenti riflessioni intendono soffermarsi, senza l’ambizione di calare troppo nel dettaglio, sulle problematiche che riguardano la cremazione in senso lato intesa esaminando le procedure vigenti per il rilascio dell’autorizzazione, le forme di gestione dei crematori, la natura giuridica delle associazioni cremazioniste e le novelle legislative che introdurranno, quando il Governo raccoglierà la delega parlamentare della legge 30 marzo 2001, n.130, la dispersione delle ceneri anche in natura e l’affido dell’urna ai familiari.
La gestione dei crematori
La cremazione è un servizio pubblico a domanda individuale ai sensi dell’articolo 12, comma 4 del D.L. 31 agosto 1987, n. 359 convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1987, n. 440. Tale servizio era gratuito per i cittadini nel senso che le spese erano sostenute dal comune di residenza fino alla legge 28 febbraio 2001, n. 26 che lo ha reso oneroso.
A livello normativo si parlava però di cremazione già nel Testo Unico delle Leggi Sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265. Recitava, infatti, l’articolo 343 che “la cremazione dei cadaveri è fatta in crematori autorizzati dal prefetto, sentito il medico provinciale. I comuni debbono concedere gratuitamente l’area necessaria nei cimiteri per la costruzione dei crematori.”
La norma sopra riportata va oggi letta tenuto conto della recentissima legge 30 marzo 2001, n. 130 recante “Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri”. Con tale novella legislativa, all’articolo 6, si dispone che “…le regioni elaborano piani regionali di coordinamento per la realizzazione dei crematori da parte dei comuni, anche in associazione tra essi, tenendo conto della popolazione residente, dell’indice di mortalità e dei dati statistici sulla scelta crematoria da parte dei cittadini di ciascun territorio comunale prevedendo, di norma, la realizzazione di almeno un crematorio per regione.” Il secondo comma dell’articolo 6 dispone poi che “la gestione dei crematori spetta ai comuni, che la esercitano attraverso una delle forme previste dall’articolo 113 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali… Agli oneri connessi alla realizzazione ed alla gestione dei crematori si provvede anche con i proventi derivanti dalle tariffe di cui all’articolo 5, comma 2.”. E’ dunque da considerarsi implicitamente abrogato l’art. 343 del R.D. n. 1265/34 laddove si prevedeva la concessione a titolo gratuito dell’area per la costruzione dei crematori. Oggi è dunque chiarito che la gestione dei crematori spetta all’ente comunale che utilizzerà una delle forme per la gestione dei servizi pubblici disciplinate dal T.U. sull’ordinamento degli enti locali. Il riferimento all’art. 113 va inteso, dopo l’approvazione della legge finanziaria per il 2002 che ha modificato, con l’articolo 35, le norme sui servizi pubblici locali, come artt. 113 e 113 bis ritenendo di dovere valutare se inserire tale norma tra i servizi pubblici a rilevanza industriale (art. 113) o meno (art. 113 bis). Sul punto, in ogni caso, è meglio essere prudenti, considerato che spetterà al Governo con regolamento sentite le autorità indipendenti di settore (ma il settore cimiteriale non ne ha) e la conferenza unificata di cui al d.lgs . 281 del 28 agosto 1997 individuare i servizi a rilevanza industriale. Si può comunque, in merito, fare qualche osservazione. Se consideriamo il servizio cremazione come disgiunto da un più generale ed esteso concetto unitario di servizi cimiteriali, resta difficile sostenere che la cremazione non rientri nei servizi a rilevanza industriale. Questa conclusione discende, infatti, da come la giurisprudenza ha definito il concetto di attività industriali di cui all’art. 2195 del codice civile. Se infatti si è partiti da una definizione più restrittiva, e forse più condivisibile, connessa al processo di trasformazione di materie prime in semilavorati o in lavorati (Cass., 21 gennaio 1985, n. 237 in Giur. Agr. It., 1985, 472) la giurisprudenza, che si è trovata a stabilire i confini dell’attività industriale soprattutto a fini di risoluzione di controversie previdenziali, vi ha incluso anche le attività dirette, mediante un’organizzazione imprenditoriale dei vari fattori produttivi, alla produzione di servizi, costituenti nuove utilità, capaci di soddisfare particolari bisogni degli utenti (tra le tante: Cass. 4 luglio 1997, n. 6018, in Giust. Civ. Mass. 1997, 1133). Nella gestione di un crematorio, mi si perdoni l’apparente cinismo, non possono non ravvisarsi i segni di un processo di trasformazione di una materia (il corpo privo di vita) in un quid di diverso (le ceneri) al fine della produzione, se non di un bene, sicuramente di un servizio teso a soddisfare un particolare bisogno dell’utente. Resta comunque il fatto che difficilmente si vorrà considerare il crematorio come disgiunto dai restanti servizi legati al cimitero anche considerato che permane l’obbligo della costruzione degli impianti crematori all’interno dell’area cimiteriale. Stante la particolarità della materia è auspicabile un intervento del legislatore che disciplini anche questi aspetti posto che le nuove formulazioni degli artt. 113 e 113 bis del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali fanno salve le normative di settore.
Come potranno dunque i comuni gestire i crematori? Se si considera il servizio come a rilevanza industriale si dovrà distinguere tra la gestione delle reti, degli impianti e delle dotazioni patrimoniali necessarie all’esercizio del servizio e il servizio stesso. La norma dell’articolo 113, contenuta in ben 15 commi, è molto complessa e certo non è stata formulata pensando agli impianti di cremazione. Rimandando il lettore ad un più attento studio della norma, sottolineiamo solamente qualche punto che, ai fini del presente lavoro, sembra rilevante. Il comma 2 dispone che gli enti locali non possono cedere la proprietà degli impianti, reti e dotazioni se non a società di capitali di cui detengono la maggioranza, che è incedibile. Tali società, recita il comma 13, pongono reti, impianti e dotazioni a disposizione dei gestori incaricati del servizio o, ove prevista la gestione separata della rete, dai gestori di quest’ultima, a fronte di un canone. In base al comma 3 sono le discipline di settore che stabiliscono i casi in cui l’attività di gestione delle reti e degli impianti può essere separata da quella di erogazione del servizio. In tali casi gli enti locali, ai sensi del comma 4, gestiscono reti, impianti e altre dotazioni patrimoniali affidandole direttamente a società di capitali a propria partecipazione maggioritaria oppure tramite imprese da individuarsi con procedura di gara ad evidenza pubblica. L’erogazione del servizio avviene invece, dovendosi assicurare il rispetto delle norme in materia di concorrenza sul mercato, con conferimento della titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso l’espletamento di gare con procedura ad evidenza pubblica. Il comma 6 prevede casi di esclusione dalla partecipazione alle gare, tra i quali le società che gestiscono pubblici servizi non in virtù di procedure ad evidenza pubblica e i soggetti di cui al comma 4. Rilevante è ancora il comma 14 laddove dispone che, fermo restando quanto disposto nel comma 3, se reti, impianti e altre dotazioni per la gestione dei servizi pubblici sono di proprietà di soggetti diversi dall’ente locale, questi possono essere autorizzati a gestire i servizi o loro parti a condizione che siano rispettati alcuni standard e siano praticate tariffe non superiori alla media regionale, salvo che le discipline o la authorities di settore non dispongano altrimenti.
Se il servizio è considerato, invece, privo di rilevanza industriale, in base all’articolo 113 bis, i comuni li potranno affidare direttamente a istituzioni, aziende speciali anche consortili o società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali. Il comma 4 del nuovo articolo 113 bis prevede, qualora sussistessero ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale, la possibilità di affidamenti a terzi in base a procedure ad evidenza pubblica ma solo secondo modalità previste dalle normative di settore; modalità che, per i crematori, al momento non sono previste.
In merito va osservato che vi è chi sostiene che la riforma (o quanto meno parti di riforma) dei servizi pubblici locali operata a livello di legge finanziaria sia incostituzionale in quanto andrebbe a ledere l’autonomia degli enti locali così come risultante dalla riforma del Titolo V della Costituzione di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001. Chi sostiene la tesi contraria la fonda sul fatto che tutta la materia rientrerebbe nella “tutela della concorrenza” che ai sensi del novellato articolo 117, comma 2, lettera e) della Costituzione rimane nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. Alla Corte Costituzionale lasciamo la quanto mai proverbiale ardua sentenza.
Tra le forme di gestione dei servizi pubblici locali non si dimentichi, in ogni caso, che la riforma non ha interessato l’articolo 30 del d.lgs n. 267/00 (convenzione), l’articolo 31 (consorzio) e l’articolo 34 (accordo di programma) che quindi rimangono possibilità previste dalle norme in vigore. Nell’ambito di un bacino regionale, il consorzio tra comuni potrebbe essere una forma di gestione di impianti crematori di estremo interesse.
Torniamo all’ormai implicitamente abrogato articolo 343, comma 1 del R.D. n. 1265/34. Le Regioni dovranno o meglio avrebbero dovuto entro gli ormai scaduti 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge n. 130 del 2001, elaborare i piani regionali di coordinamento per la realizzazione di crematori da parte di comuni anche associati tra essi. I parametri da tenere presente sono: residenti e indice di mortalità – statistiche sulla scelta crematoria da parte dei residenti, tenendo presente l’indicazione di carattere generale (“di norma”) sulla presenza di almeno un crematorio per regione. Con decreto del Ministro della Salute di concerto con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro dell’industria, commercio e artigianato dovranno poi essere definite norme tecniche sui limiti di emissione sugli impianti, sugli ambienti tecnologici e sui materiali per la costruzione delle bare per la cremazione. Fino all’approvazione dei citati decreti interministeriali i progetti di costruzione degli impianti dovranno comunque tenere conto delle norme in materia di tutela dell’aria (legge 13 luglio 1966, n. 615 e i suoi regolamenti approvati con D.P.R. 22 dicembre 1970, n. 1391 e D.P.R. 15 aprile 1971, n. 323) e delle emissioni nell’atmosfera (D.P.C.M. 21 luglio 1989, D.M. 12 luglio 1990 e D.M. 19 novembre 1997, n. 503).
L’autorizzazione alla cremazione
Chiarito, per quanto possibile, chi può e come gestire i crematori, caliamoci invece nel profilo amministrativo dell’autorizzazione alla cremazione. In base alla presenza di quali requisiti normativi si autorizza la cremazione? Si inizi con il dire che correttamente si parla di “autorizzazione” intendendo con essa il provvedimento amministrativo con il quale la Pubblica Amministrazione, in funzione preventiva e su istanza di parte, provvede alla rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto soggettivo preesistente in capo al destinatario. Il diritto soggettivo in discorso non è tanto il cd. jus eligendi sepulchrum, ovvero il diritto di scegliere la propria sepoltura, quanto il diritto, secondo alcuni personalissimo, a disporre del proprio corpo nei limiti di cui all’articolo 5 del codice civile. Ogni persona ha il diritto di scegliere se farsi cremare o no. Il problema è però il seguente: quid juris se la scelta cremazionista proviene non dal defunto ma dal familiare, come consentito dal D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 recante “regolamento di polizia mortuaria”? E’ corretto allora parlare di diritto personalissimo? In verità si può parlare di atto di disposizione del proprio corpo e come tale esercizio di un diritto personalissimo e pertanto indisponibile e imprescrittibile finché il soggetto del cui corpo si tratta è in vita. Altri parlano di diritto su cosa futura (il cadavere) da esercitarsi nel rispetto alla dignità e ai fondati sentimenti degli uomini e nell’ambito della pietas che circonda l’entità che ha rivestito una persona. Superato questo momento, in ogni caso, e in assenza di una esplicitazione della volontà del defunto in merito, il familiare, essendo ciò previsto dalle norme in vigore, può esercitare la scelta, che sarà espressione di una propria volontà, di fare cremare il corpo del proprio congiunto, esercitando così un diritto, non personalissimo, ma comunque privato non patrimoniale (Trib. Torino, 16.10.1985 in Dir. Famiglia 1986, 1077).
Si diceva prima che la Pubblica Amministrazione, individuata nel comune del luogo dove è avvenuto il decesso dall’art. 79 del D.P.R. 285/90 (Regolamento di Polizia Mortuaria), autorizza la cremazione consentendo pertanto la piena espansione di un diritto soggettivo del defunto o del familiare rimossi i limiti legali ad essa. Ma quali sono i limiti legali? Va detto, per sciogliere il quesito, che la cremazione è assoggettata ad una sorta di aggravio del procedimento legalizzato dal D.P.R. 285 del 1990. Mentre infatti l’accesso alle pratiche amministrative per l’inumazione (sepoltura in terra) o la tumulazione (sepoltura in loculo o colombario) non è assoggettato a specifichi procedimenti, la scelta della cremazione lo è. Innanzitutto esaminiamo le modalità di scelta della cremazione diverse se la scelta è operata dal defunto finché in vita o dai suoi familiari. L’interessato può avvalersi di due modalità. Può fare testamento pubblico, segreto od olografo (artt. 602 e ss. c.c.) – con l’avvertenza che gli ultimi due dovranno essere pubblicati per acquisire efficacia – o può aderire ad associazione riconosciuta avente tra i propri scopi statutari quello della cremazione. Si tratta del fenomeno associativo noto come SO.CREM., sigla che indica le Società di Cremazione su cui ritorneremo più avanti. In tal caso è sufficiente una dichiarazione autografa scritta e datata dall’interessato, convalidata dal presidente dell’associazione che, così, riconosce l’adesione del soggetto all’associazione. Qualora il defunto non abbia in vita espresso volontà cremazionista i familiari possono esprimere la propria volontà. Ma quali familiari? Innanzitutto il coniuge, in sua mancanza tutti i parenti di primo grado e così via fino al sesto grado. Come si vede sono esclusi gli affini. I parenti esprimono tale volontà in forma scritta e la sottoscrizione deve essere autenticata da pubblico ufficiale oggi nelle forme di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 recante “Testo Unico sulla Documentazione Amministrativa”. Vale la pena, a tal proposito, di menzionare un parere del ministero dell’Interno del 26 marzo 1999 che, interrogato sul quesito se si potesse fare ricorso alle procedure semplificate di cui all’allora vigente D.P.R. n. 403/98, e quindi non autenticare la firma del congiunto nell’istanza scritta di cremazione di cui all’articolo 79, comma 2 del D.P.R. n. 285/90, ha dato risposta positiva. La risposta sembra però nascere da un equivoco di fondo: il Ministero, nell’occasione, ha infatti ritenuto che la dichiarazione del familiare fosse una semplice dichiarazione di conoscenza di una volontà espressa in vita dal defunto, ovvero di un atto notorio. Pertanto il familiare sarebbe un semplice nuncius, e la dichiarazione sarebbe ascrivibile tra le dichiarazioni sostitutive di atto notorio che non richiedono autenticazione della firma. In verità, come già abbiamo avuto modo di sottolineare, il familiare esercita un proprio diritto privato non patrimoniale produttivo di determinati effetti giuridici e non si rientra pertanto fra gli atti suscettibili di dichiarazione sostitutiva.
Espressa la volontà cremazionista sarà necessario acquisire il certificato medico da cui risulti escluso che la morte è dovuta a causa violenta o sospetta di esserlo, a reato o che sussista sospetto di reato. Si tratta di un certificato che deve rilasciare il medico curante o il necroscopo in caso di morte senza assistenza medica. La sottoscrizione va autenticata dal coordinatore sanitario della ASL. In dottrina ci si interroga sui motivi di tale pesante aggravio di procedura. Risulta infatti illogico prevedere l’autenticazione della firma di chi, per funzione, è, come il medico curante, incaricato di pubblico servizio. Nel caso, invece, in cui la morte sia dovuta a reato o vi sia sospetto di reato, o a causa violenta o sospetta causa violenta, il certificato del medico curante sarà sostituito dal nulla osta dell’autorità giudiziaria (art. 79 del D.P.R. 285/90). Tale disposizione va coordinata con l’articolo 116 del d.lgs 28 luglio 1989, n. 216 dove si dispone che in caso indagini sulla morte di una persona per la quale sorge sospetto di reato la sepoltura non può essere eseguita senza l’ordine del procuratore della Repubblica. Accade così che le procure, di norma, ordinano la sepoltura vietando espressamente la cremazione salvo poi, dietro espressa istanza, rilasciare il nulla osta alla cremazione. L’articolo 79, comma 5 del D.P.R. n. 285/90, in verità, richiede il nulla osta dell’autorità giudiziaria, anche in caso di morte improvvisa. La morte improvvisa, però, rileva più sotto il profilo sanitario che giudiziario specie in riferimento all’accertamento dell’effettività della morte.
Per ciò che concerne il soggetto investito della potestà autorizzatoria esso viene individuato dall’art. 79 del D.P.R. 285/90 nel Sindaco del comune dove è avvenuto il decesso. In verità è più corretto individuare tale potestà nel Dirigente – o nel Responsabile degli uffici e dei servizi per i comuni privi di figure dirigenziali – in base all’ormai consolidato principio di separazione tra gestione e politica.
Questa la procedura come individuata nel vigente D.P.R. 285/90. La citata legge 130/01, però, dà mandato al Ministro della Salute, sentito il Ministro dell’interno e il Ministro della Giustizia e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari di modificare il regolamento di polizia mortuaria (entro termini al momento in cui si scrive già abbondantemente scaduti) sulla base di una serie di principi. Tra essi si menziona l’attribuzione della competenza al rilascio dell’autorizzazione alla cremazione in capo all’ufficiale di stato civile del comune di decesso acquisito un certificato in carta libera del medico necroscopo dal quale risulti escluso il sospetto di morte dovuta a reato ovvero, in caso di morte improvvisa o sospetta segnalata all’autorità giudiziaria, il nulla osta della stessa autorità recante specifica indicazione che il cadavere può essere cremato. L’autorizzazione è rilasciata nel rispetto della volontà del defunto o dei suoi familiari acquisita attraverso: testamento (salva la presentazione di successiva dichiarazione autografa del defunto contraria alla cremazione) o l’iscrizione, certificata dal rappresentante legale, alle Società di Cremazione (anche qui salva presentazione di successiva rispetto all’iscrizione e contrastante dichiarazione autografa del defunto). Si precisa, inoltre, che l’iscrizione alle associazioni riconosciute di cremazione vale anche contro il parere dei familiari. In mancanza di esplicita previsione del defunto vale la volontà del coniuge o, in difetto, del parente più prossimo individuato ai sensi degli artt. 74 e ss. del codice civile. In caso di concorrenza di familiari dello stesso grado non sarà, nel testo novellato del regolamento, più necessario il consenso di tutti essendo sufficiente la maggioranza assoluta di questi espressa dinanzi all’ufficiale di stato civile del comune del decesso.
Dispersione delle ceneri: la legge 130 del 2001
Si passi ora a trattare un diverso tipo di problema: la dispersione delle ceneri. E’ noto infatti come in alcuni paesi anche culturalmente vicini al nostro sia consentita la dispersione delle ceneri in natura. Nel nostro paese tale pratica non era possibile in quanto l’art. 411 del codice penale – Distruzione, soppressione o sottrazione di cadavere – dispone che “1. Chiunque distrugge, sopprime o sottrae un cadavere, o una parte di esso, ovvero ne disperde le ceneri, è punito con la reclusione da due a sette anni. 2. La pena è aumentata se il fatto è commesso in cimiteri o altri luoghi di sepoltura, di deposito o di custodia.” Era dunque espressamente prevista come fattispecie penalmente rilevante la dispersione delle ceneri. Essa trovava un’unica attenuazione nella possibilità prevista dal regolamento di polizia mortuaria, il già citato D.P.R. n. 285/90, di conferire, e l’uso del termine non è casuale, le ceneri indistintamente in un cinerario comune all’interno del cimitero in caso di mancata scelta dei familiari su una forma di sepoltura delle ceneri. Il cinerario comune, però, raccoglie e racchiude al suo interno le ceneri e pertanto non può essere considerata una forma di dispersione.
La legge 30 marzo 2001, n. 130 recante “Disposizioni in materia di cremazione e dispersione delle ceneri” ha modificato all’articolo 2 l’articolo 411 del codice penale aggiungendo ai commi sopra riportati altri due. La nuova formulazione della norma è la seguente: “3. Non costituisce reato la dispersione delle ceneri di cadavere autorizzata dall’ufficiale dello stato civile sulla base di espressa volontà del defunto. 4. La dispersione delle ceneri non autorizzata dall’ufficiale dello stato civile, o effettuata con modalità diverse rispetto a quanto indicato dal defunto, è punita con la reclusione da due mesi a un anno e con la multa da lire cinque milioni a lire venticinque milioni”. La dispersione delle ceneri non è più reato dunque, a meno che non sia autorizzata dall’ufficiale di stato civile o che sia effettuata con modalità diverse da quelle volute dal defunto. Si può dunque già da oggi disperdere le ceneri di un proprio congiunto in mare, in montagna o altrove? La risposta è negativa. Le modalità procedurali perché l’ufficiale di stato civile possa autorizzare la dispersione delle ceneri di un cadavere passano infatti dalla modifica del D.P.R. n. 285/90 cui il Ministro della Salute, sulla base dei principi di cui alla stessa legge 130/01, era tenuto entro termini, come già evidenziato, scaduti. L’articolo 3, comma 1 lettera c) della legge n. 130 dispone infatti che il regolamento di polizia mortuaria dovrà essere modificato facendo sì che la dispersione delle ceneri venga consentita nel rispetto della volontà dei defunti all’interno del cimitero oppure in natura oppure in aree private. In tale ultimo caso la dispersione deve avvenire all’aperto e con il consenso dei proprietari e non può dare luogo ad attività aventi finalità di lucro. La dispersione delle ceneri è vietata nei centri abitati, e per la definizione si fa riferimento al codice della strada. La dispersione in mare, nei laghi e nei fiumi è consentita nei tratti liberi da natanti e da manufatti. Chi esegue la dispersione? La lettera d) del citato articolo 3, comma 1 della legge 130/01 dispone che la dispersione delle ceneri è eseguita dal coniuge o da altro familiare avente diritto, dall’esecutore testamentario o dal rappresentante legale dell’associazione cremazionista cui era iscritto il defunto o, in mancanza, da personale autorizzato dal comune. Altra novità della legge 130/01 è la possibilità di affidare l’urna ai familiari che potranno, ad esempio, interrarla nel giardino di casa o tenerla in una stanza della casa. La dispersione, dunque, si fonda sulla volontà del defunto e non anche dei familiari. In attesa di sapere come il ministero disciplinerà la materia si inizi a dire che la volontà del defunto non può che essere provata in tre modi: con dichiarazione scritta del de cuius; con manifestazione scritta dei familiari che riportano la volontà del de cuius; con prove testimoniali attraverso sentenza del giudice. Questo potrebbe rivelarsi utile qualora si decidesse di iniziare ad accogliere le domande per la dispersione delle ceneri in attesa di poterla materialmente autorizzare.
Le Società di cremazione
Si è avuta già occasione di citare le Società di cremazione – cd. Socrem -, associazioni senza scopo di lucro dotate di personalità giuridica che perseguono statutariamente finalità di diffusione del rito cremazionista. Molto spesso queste associazioni gestiscono per conto di pubbliche amministrazioni il servizio di cremazione, esse spesso gestiscono anche aree crematorie e cinerari. Si deve osservare, al di là del fenomeno puramente associazionista, che la gestione del servizio di cremazione – servizio “pubblico” solamente dall’anno 1987 con legge 440 – dovrà ora avvenire, stante l’articolo 6, comma 2 della legge n. 130 del 2001 che la demanda ai comuni, in una delle forme previste dagli articoli 113 o 113bis (a seconda che il servizio venga o meno fatto rientrare tra quelli a rilevanza industriale) del d.lgs 18 agosto 2000, n. 267 così come modificati dall’articolo 35 della legge 448 del 2001 (finanziaria per il 2002).
Ma cosa succede degli affidamenti in essere? Va innanzitutto detto che le Socrem che gestiscono i crematori lo fanno in virtù di concessioni – contratto. Si faccia un passo indietro nel dire che fra le novità introdotte dalla legge n. 448/2001 rileva l’eliminazione della concessione quale sistema generale di assegnazione dei servizi pubblici locali. Solo nell’ambito dei servizi privi di rilevanza industriale, infatti, vi è la residuale possibilità di affidare il servizio a terzi, in ogni caso tramite procedure ad evidenza pubblica, per ragioni di natura tecnica, economica o di opportunità sociale. Anche nel caso in cui, pertanto, per ragioni di opportunità sociale si ritenesse, con adeguata motivazione dell’atto, di scegliere la strada della concessione, bisognerà individuare l’affidatario del servizio tramite gara pubblica. Tornando però agli affidamenti in essere, anche qui si deve rilevare che lo spartiacque è rappresentato dalla classificazione del servizio come a rilevanza industriale o meno. Nulla si dice nell’articolo 113 bis e pertanto si deve ritenere che siano fatti salvi se considerati riferiti a servizi privi di rilevanza industriale; mentre nell’ambito dell’articolo 113 (servizi a rilevanza industriale) il comma 2 dell’articolo 35 della legge finanziaria per il 2002 demanda ad un congruo periodo di transizione previsto dalle normative di settore o, in mancanza, sarà il regolamento ministeriale che indicherà i termini non inferiori a tre anni e non superiori a cinque (con alcune deroghe previste al comma 3), di scadenza o di anticipata cessazione delle concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica.
Per ciò che concerne le aree che le società di cremazione gestiscono all’interno dei cimiteri come cinerari, va detto che si tratta di sepolture su aree che sono date in concessione ad enti per la tumulazione delle urne cinerarie dei propri soci in base alle norme statutarie e attraverso l’assegnazione di un diritto d’uso che non può estendersi temporalmente oltre la durata della concessione dell’area (artt. 90, comma 1 e 93, comma 1 del D.P.R. n. 285/90). E’ ovviamente vietato in tale ambito alcuno scopo di lucro o di speculazione (articolo 92, comma 4 del D.P.R. n. 285/90) e tutta questa attività è assoggettata alla vigilanza del comune in qualità di ente concedente.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento