La CTU di tipo percipiente può essere disattesa dal giudice solo sulla base di una diversa motivazione fondata su dati tecnici e scientifici

I fatti

I parenti di un paziente deceduto, in particolare la moglie e i figli, adivano il Tribunale di Roma al fine di far accertare la responsabilità del Policlinico Casalino e della ASL Roma B per il decesso del loro congiunto a causa di un trattamento sanitario eseguito con grave imperizia e negligenza.

Gli attori deducevano che il deceduto si era recato presso il PS del Policlinico per un persistente sanguinamento da una ferita chirurgica alla coscia destra, a seguito di intervento di esportazione di lipoma effettuato presso un’altra struttura sanitaria. Il paziente veniva quindi ricoverato e, nonostante le gravi condizioni, il personale sanitario effettuava TAC ad addome ed arti inferiori solo dopo vari giorni dalla data di ricovero. Il giorno seguente all’esame radiologico il paziente veniva sottoposto ad intervento chirurgico durante il quale decedeva a causa di shock emorragico dovuto alla dissezione dell’aneurisma dell’arteria iliaca destra.

Il giudizio di primo grado si concludeva con la sentenza di accoglimento della domanda attorea; in particolare i giudici avevano accertato l’inadempimento del contratto di prestazione professionale e di spedalità intercorso tra il paziente, poi deceduto, e la Asl Roma B: ritenevano infatti che i medici avevano tardivamente e non correttamente eseguito l’intervento chirurgico che, se correttamente espletato, avrebbe permesso di individuare la fonte dell’emorragia tempestivamente e con esisti diversi.

Avverso la sentenza di primo grado, proponeva appello, innanzi la Corte d’Appello territorialmente competente, la Asl Roma B, la quale chiedeva ai giudici di merito non solo di rigettare e riformare integralmente la sentenza del Tribunale, ma anche di eseguire la CTU, non espletata nel giudizio di primo grado.

I giudici di seconde cure accoglievano l’appello e rigettavano la domanda degli attori in quanto ritenevano che non era stato provato correttamente il nesso di causalità tra la condotta dei sanitari e il decesso del paziente: in particolare, secondo i giudici d’appello era errato ritenere che durante l’operazione, anche se correttamente espletata,  i medici avrebbero potuto individuare la fonte dell’emorragia.

Inoltre, per la Corte d’Appello non erano condivisibili le risultanze cui era addivenuta la CTU poiché ritenevano incomprensibile il criterio utilizzato per giungere alla conclusione per cui se l’intervento fosse stato più tempestivo e appropriato, il paziente avrebbe avuto il 50% di chance in più di sopravvivenza.

Avverso la sentenza dei giudici d’Appello, proponevano ricorso per Cassazione gli attori, ossia i figli e la moglie del paziente deceduto presso al struttura sanitaria.

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I motivi di ricorso

I ricorrenti chiedevano alla Suprema Corte di annullare la sentenza di secondo grado sulla base di tre motivi.

Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentavano che la motivazione dei giudici d’appello si sarebbe fondata su un’alterazione dell’affermazione della CTU circa i rischi dell’intervento chirurgico.  Infatti, affermavano i ricorrenti che la CTU concludeva che i sanitari si sarebbero dovuti attivare tempestivamente al fine di tamponare la zona addominale, bloccare la fuoriuscita di sangue e, successivamente, individuare correttamente le sedi delle lesioni.

Con il secondo motivo di ricorso, invece, lamentavano che i Giudici d’Appello avevano omesso di richiedere al CTU chiarimenti in merito alle sue conclusioni, ritenendo, dunque, che gli stessi abbiano formato la propria decisione sulla base di valutazioni elusivamente di carattere personale.

Infine, con il terzo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentavano che i giudici ‘Appello erano incorsi in un errore di percezione e di valutazione circa le risultanze della CTU, secondo la quale solo con una corretta esecuzione dell’operazione chirurgica sarebbe stato possibile individuare la lacerazione e impedirne così il nefasto evolversi.

La decisione della Suprema Corte

Gli Ermellini hanno accolto tutti i motivi di ricorso.

Il fulcro della motivazione esposta dai giudici della Cassazione ha riguardo all’espletamento della CTU e la conseguente valutazione del giudice sulla stessa.

Innanzitutto, i Giudici hanno osservato che nel nostro ordinamento vige il principio judex peritus perito rum, in base al quale il giudice ha la facoltà di disattendere le argomentazioni peritali sia quando le stesse siano contraddittorie sia quando il giudice, utilizzando la propria scienza, sia in grado di sostituirle con argomentazioni personali.

Inoltre, hanno osservato i giudici supremi che la giurisprudenza di legittimità e di merito ha reiteratamente precisato, in relazione alla CTU, come essa costituisca meramente un mezzo di ausilio per il giudice, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, la cui interpretazione richiede nozioni tecnico scientifiche, e non un mezzo di soccorso volto a sopperire all’inerzia delle parti medesime. Allo stesso tempo, è orami noto che la CTU non possa avere carattere esplorativo e debba essere intesa come strumento ad aiuvandum del Giudice e non ad explorandum.

In particolare, il consulente tecnico, in virtù di particolari competenze cognitive in discipline specifiche, è chiamato a consigliare al giudice, durante il processo, emettendo pareri che forniscano un quadro esaustivo della fattispecie, sulla base degli elementi probatori forniti dalle parti.

Nella motivazione degli Ermellini si legge che la CTU non è qualificabile come mezzo di prova in senso proprio. Anche questo è un dato giurisprudenziale consolidato: la Cassazione aveva, infatti, già stabilito che la CTU non è un mezzo istruttorio in senso proprio, avendo al finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitano di specifiche conoscenze e che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova.

Gi Ermellini hanno proseguito la loro motivazione osservando che al consulente tecnico può essere affidato sia l’incarico di procedere alla valutazione di fatti accertati o fatti preesistenti, in tal caso prende il nome di consulente deducente; sia l’incarico di procedere all’accertamento di fatti stessi, in tal caso prende il nome di consulente percipiente. In quest’ultimo caso, è necessario che la parte deduca il fatto che pone  fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.

La CTU espletata nel corso del giudizio oggetto di nostra attenzione è stata di tipo percipiente, per la quale sono previste particolari regole che il giudice dovrà seguire nel caso in cui, una volta espletata, decida di disattenderla.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ricordato che il Giudice può disattendere le conclusioni della CTU, purché fornisca una coerente e convincente motivazione critica e indichi con precisione gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico giuridici di cui si è servito per contrastare il parere del consulente.

Considerato che la consulenza tecnica, espletata dalla Corte d’Appello nel corso giudizio di nostra attenzione, è stata di tipo percipiente, deve applicarsi la regola per cui la stessa non possa essere disattesa in modo criptico, con modalità poco esaustive, bensì è necessario che la ctu sia sostituita con adeguata valutazione tecnica.

Gli Ermellini, dunque, hanno ritenuto inadeguato il passaggio con il quale i giudici di secondo grado hanno disatteso le risultanze tecniche evidenziando che non è stata acquisita la prova della preesistenza dell’aneurisma all’intervento. Infatti, la CTU aveva evidenziato la sussistenza del nesso causale accertato tenendo conto sia del fatto che l’intervento doveva essere eseguito prima sia del fatto che i medici avrebbe dovuto utilizzare una tecnica meno invasiva.

Dunque, secondo gli Ermellini, le argomentazioni della CTU sono state oggetto di una generica e poco attenta disamina da parte dei giudici d’Appello che hanno violato il principio secondo cui la consulenza di tipo percipiente può essere disattesa solo sostituendo la valutazione tecnica non condivisa con un’altra valutazione diversa e convincete a sua volta fondata su dati tecnici e scientifici.

In conclusione, per tutto ciò detto, la Corte di Cassazione ha rigettato a sentenza della corte d’Appello e rinviato la causa alla corte territoriale in diversa composizione.

 

Sentenza collegata

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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