Al comma 1 viene sancita la norma per cui, su istanza di parte ricorrente, di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, possono essere definite le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui l’Agenzia delle entrate è legittimata passiva, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello di Cassazione, a mezzo del pagamento di un importo pari al valore della controversia. Si precisa che l’oggetto della controversia deve essere un atto impositivo e che la determinazione del valore della controversia avviene in applicazione della disposizione di cui all’art. 12 D.Lgs. n. 546/1992.
Dalla lettura del primo comma appare chiaro che risultano escluse le controversie che non vedano l’Agenzia delle entrate quale legittimata passiva, quantomeno in litisconsorzio con altre amministrazioni (come suggerisce il comma 16 dell’articolo in esame), e che non abbiamo ad oggetto un atto impositivo.
Sono escluse, inoltre, dalla possibilità di definizione agevolata, ex comma 5 dell’articolo de quo, le liti relative alle risorse proprie tradizionali previste dall’art. 2, par. 1, lett. a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom del Consiglio, del 7/6/2007, e 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26/5/2014, e l’imposta sul valore aggiunto riscossa all’importazione. Inoltre, sono escluse le controversie relative alle somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato ai sensi dell’art. 16 del Regolamento UE 2015/1589 del Consiglio, del 13/7/2015.
Le novità
La norma di cui al primo comma viene derogata dal disposto del comma 2 che prevede due distinte fattispecie. Ivi, infatti, si afferma che se vi è già stata una pronuncia non cautelare con soccombenza per l’Agenzia delle entrate la controversia può essere definita con il pagamento di un importo inferiore al valore della controversia. In particolare, se si è avuta soccombenza con pronuncia di primo grado la definizione può avvenire a mezzo pagamento di un importo pari al 50% del valore della controversia, se, invece, la soccombenza è avvenuta nella pronuncia di secondo grado la percentuale scende al 20%. Per le controversie relative a sanzioni non collegate al tributo, la somma da pagarsi al fine della definizione agevolata de quo si riduce al 15% nel caso vi sia stata la soccombenza dell’Agenzia delle entrate nell’ultima o unica pronuncia non cautelare, sul merito o sull’ammissibilità del ricorso; al 40% in tutti gli altri casi.
Nel caso in cui vi siano state più pronunce si fa riferimento all’ultima di esse.
Nei casi di controversie relative esclusivamente a sanzioni collegate al tributo, invece, non è dovuto alcun importo se il rapporto relativo ai tributi da cui scaturiscono è stato oggetto di definizione anche se con modalità differenti da quelle previste nell’articolo in oggetto.
Ai sensi del comma 8 dell’articolo de quo, la domanda (ed il relativo versamento) deve essere presentata per ciascuna controversia autonoma, ossia distintamente per ogni controversia relativa a ciascun atto impugnato. Ne discende che, quando con il medesimo ricorso siano stati impugnati più atti impositivi si hanno tante liti autonome quanti sono gli atti impugnati, con riferimento a ciascuno dei quali deve essere calcolato il valore della controversia. Pertanto, la non definibilità di una o più liti autonome non esclude la possibilità di riferire la definizione anche alle altre “liti autonome” per le quali sussistano i requisiti di cui all’art. 6 D.L. 119/18.
Possono avvalersi della definizione agevolata delle liti fiscali pendenti anche le società e le associazioni sportive dilettantistiche, iscritte nel Registro CONI, secondo le specifiche norme di cui all’art. 7, co. 2, lett. b), D.L. n. 119/2018.
Il procedimento
La domanda di definizione può essere presentata entro il 31/5/2019. Per importi superiori ad euro 1.000 si può richiedere il piano di rateizzo, fino ad otto rate trimestrali che possano diventare venti in caso di pagamento di somme superiori a 50.000 euro.
Dagli importi dovuti per la definizione devono essere scomputate le somme che sono state già versate dal contribuente, a qualsiasi titolo, in pendenza di giudizio. La locuzione “a qualsiasi titolo” utilizzata dalla norma lascia intendere che dalle somme dovute potrebbero scomputarsi anche le eventuali somme versate, ad esempio, per il pagamento di sanzioni.
Se vi sono stati pagamenti in eccedenza, le somme non possono essere rimborsate.
Ai fini della definizione è esclusa la possibilità di pagamento con compensazione ex art. 17 D.Lsg. 241/97.
Qualora non vi siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la presentazione della sola domanda.
La domanda non sospende automaticamente il giudizio, salvo istanza ad hoc del contribuente. Quest’ultima sospende il giudizio fino al 10/6/2019. Se entro tale data il contribuente deposita domanda di definizione e ricevute di pagamento delle rate, il giudizio è sospeso fino al 31/12/2020. Se entro tale data non viene depositata istanza di trattazione dalla parte interessata, il processo viene dichiarato estinto con decreto del Presidente.
Gli effetti della definizione perfezionata prevalgono sulle eventuali pronunce non passate in giudicato prima del 24/10/18. Pertanto, se al 24/10/18 è stata emessa una pronuncia sfavorevole al contribuente e la stessa sia stata definita con le modalità descritte nel presente articolo, il dispositivo della sentenza deve ritenersi superato da quanto concluso con la definizione.
Per le controversie definibili, il comma 11 dell’art. 6 prevede la sospensione, per nove mesi, dei termini di impugnazione (sia principale che accidentale) delle pronunce giurisdizionali, di riassunzioni, nonché della proposizione del controricorso in Cassazione, con scadenza compresa tra il 24/10/18 ed il 31/07/2019. L’impugnazione della sentenza e del diniego hanno l’efficacia dell’istanza di trattazione di cui sopra, per cui, interrompono la sospensione del procedimento.
L’istanza di definizione può essere rigettata. Il diniego dovrà essere notificato all’istante entro il 31/7/2020 con le modalità previste per la notifica degli atti processuali e potrà essere impugnato entro 60 giorni dalla notifica, innanzi l’Autorità Giudiziaria presso cui pende la controversia. L’impugnazione varrà anche come istanza di trattazione.
Qualora la domanda di definizione sia stata presentata in pendenza del termine per impugnare e, successivamente, intervenga diniego alla definizione, la sentenza può essere impugnata unitamente al diniego, entro 60 giorni dalla notificazione di quest’ultimo.
La norma in esame pone una interessante questione attinente all’impugnazione della pronuncia giurisdizionale unitamente al diniego della definizione, entro 60 giorni dalla notifica di quest’ultimo, quando la definizione della controversia è stata avanzata in pendenza del termine per impugnare. Stando al tenore letterale della norma si avrebbe una rimessione in termini per impugnare una sentenza, divenuta definitiva, nel caso fosse notificato un provvedimento di diniego sulla medesima questione, al fine di evitare l’impugnazione “cautelativa” della sentenza in attesa dello spirare del termine ultimo per la notifica del diniego.
Il comma 14, poi, prevede che la definizione agevolata perfezionata da un coobbligato giova in favore degli altri.
Inoltre, il comma 15 statuisce che le modalità di attuazione delle richiamate disposizioni verranno stabilite dal direttore dell’Agenzia delle entrate; ed al comma 16 si legge che entro il 31/3/2019 ciascun ente territoriale può stabilire l’applicazione delle disposizioni dell’articolo de quo alle controversie in cui lo stesso è parte.
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