La delega degli organi di direzione politica verso i dirigenti degli enti pubblici e gli effetti sulla responsabilità penale

Il principio di delega trova la sua ratio nella complessità delle strutture delle imprese in particolare degli enti. Infatti, la molteplicità e varietà delle attività da svolgere all’interno delle organizzazioni complesse inducono i soggetti apicali ad avvalersi di una distribuzione sia orizzontale che verticale di funzioni e relativi poteri e ciò, in particolare, attraverso lo strumento della delega.

Trattasi di un atto amministrativo di tipo organizzativo discrezionale che richiede la forma scritta e mediante il quale, nei casi previsti dalla legge, un organo titolare del potere di svolgere determinate funzioni ne trasferisce l’esercizio ad altro organo (c.d. delega di funzioni). Tuttavia, titolare della funzione resta il delegante; il delegato eserciterà il potere in nome proprio e ne sarà direttamente responsabile.

Lo strumento in questione ha posto il problema di individuare con esattezza i soggetti penalmente responsabili all’interno delle organizzazioni complesse. In particolare, relativamente agli effetti della delega sulla responsabilità penale si registrano sostanzialmente due orientamenti.

Il primo ritiene che il trasferimento delle funzioni metterebbe il delegato nelle condizioni di apprestare un’adeguata tutela al bene protetto dalla norma penale, senza che sia necessario un intervento del delegante; di conseguenza, quest’ultimo non potrebbe essere ritenuto responsabile per l’adempimento del precetto penale. In sostanza, questo indirizzo dà prevalenza al principio in base al quale “la responsabilità penale è personale” (art. 27 Cost.) e ritiene che la legge penale non può essere applicata guardando alla qualifica formale ma al dato della concreta assunzione di poteri ed obblighi da parte di un soggetto.

Secondo l’orientamento opposto, con la delega non vengono meno gli obblighi di garanzia posti in capo ai soggetti apicali. Sul delegante incomberebbe propriamente un dovere di vigilanza e di controllo sull’attività del delegato, in quanto il primo ha un potere-dovere di organizzazione, che deve essere adeguato alla tutela degli interessi dei terzi messi in gioco dallo svolgimento delle attività all’interno delle strutture complesse. Secondo questa tesi il delegante può andare esente da responsabilità qualora dimostri di aver osservato diligentemente tutti i suoi doveri.

Per quanto riguarda, nello specifico, la delega degli organi di direzione politica verso i dirigenti pubblici viene in rilievo il D.lgs. 165/2001 contenente “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” (T.U. Pubblico impiego).

Principio cardine è quello della netta distinzione tra area di direzione politica ed area di gestione amministrativa. Infatti, l’art. 4 al comma 1 stabilisce che gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare, adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti.

Al comma 2 lo stesso articolo stabilisce che ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno nonché la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione di risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati. Queste attribuzioni sono derogabili solo espressamente e ad opera di specifiche disposizioni di legge.

Qui il problema che si pone riguarda la configurabilità o meno di una posizione di garanzia, e nello specifico, di un obbligo di vigilanza e di controllo da pare dell’organo di direzione politica (soggetto delegante) nei confronti dei dirigenti pubblici (soggetti delegati).

Viene in rilievo l’art. 40 c.p. ultimo comma ai sensi del quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” e destinatario di tale obbligo è il titolare della posizione di garanzia, cioè di protezione e di controllo. Sul punto si registra una giurisprudenza dapprima oscillante che però, sostanzialmente, favoriva la non configurabilità di una simile posizione in capo all’organo di direzione politica, sull’assunto che la legge provvede a delineare in modo chiaro e netto le rispettive funzioni: quella di indirizzo per l’organo di direzione politica e quella di gestione per i dirigenti degli enti pubblici.

Una distinzione netta che troverebbe la sua ratio nella necessità di razionalizzare l’attività amministrativa che si svolge all’interno di organizzazioni complesse, e quindi nell’esigenza di individuare una precisa ripartizione di funzioni e poteri. Seguendo questa linea, l’orientamento giurisprudenziale prevalente, aveva escluso anche la configurabilità di una responsabilità di tipo omissivo in capo agli organi di direzione politica. Tuttavia, ad oggi, si mostra abbastanza concorde nel ritenere che la delega possa avere efficacia liberatoria e, quindi, escludere la configurabilità di una responsabilità omissiva degli organi di direzione politica in presenza di determinate condizioni; quali, ad esempio, l’effettiva autonomia del delegato nella gestione della funzione, la capacità tecnica e professionale del delegato nell’assolvimento del compito oggetto di delega, il compimento da parte del delegante di tutto ciò che la legge pone a suo carico. La giurisprudenza precisa, però, che anche in presenza di queste condizioni, il delegante deve sempre esercitare in concreto una funzione di vigilanza e di controllo. Di conseguenza, non potrà andare esente da responsabilità se ha omesso di vigilare sullo svolgimento dell’incarico da parte del delegato oppure se era a conoscenza di eventuali inadempienze da parte di quest’ultimo.

D’altronde, porta a concludere in questo senso lo stesso principio di delega, che affonda le sue radici nell’esigenza di assicurare la continuità dell’attività amministrativa e il buon andamento della pubblica amministrazione, principi ispiratori di tutto il sistema amministrazione e sanciti dalla Carta costituzionale.

Dunque, concludendo, nonostante la distinzione ad opera del legislatore tra organi di direzione politica e dirigenti degli enti pubblici, entrambi non possono prescindere dai suddetti principi nello svolgimento dei loro poteri e delle loro facoltà, avendo un potere-dovere di porre in essere tutti quei comportamenti idonei a garantirne il rispetto, tra i quali nel caso in questione, quello che si estrinseca nella vigilanza e nel controllo da parte dell’organo delegante e ciò nell’interesse di tutti i soggetti dell’ordinamento.

Celentano Giusy Fabiola

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