Non c’è concetto più labile di quello della rappresentanza politica
Indice
1. La difficile genesi del concetto di rappresentanza
Forse è utopico pensare di poter estrapolare una definizione esaustiva della rappresentanza politica a fronte della immensa letteratura che il pensiero giuridico e politologico hanno accumulato nei secoli; e sicuramente ancora attualissime sono , e perciò non banale è il ricordarle, le parole di D. Fisichella quando nella sua opera del 1996,La rappresentanza politica , scrive “ se è vero(…) che con qualche sforzo siamo in grado di indicare con sufficiente approssimazione ciò che la rappresentanza non è , malgrado molti secoli di impegno teoretico non possiamo dire cosa la rappresentanza è”.Non c’è concetto più labile di quello della rappresentanza politica; la difficoltà è nel suo stesso etimo visto che definisce il concetto di “rendere presente qualcosa che presente non è ”;[1] sappiamo infatti che il cittadino è assente dalle sedi della decisione e non ha nessuna possibilità di vincolare il suo rappresentante. Esso è un rapporto istituzionalizzato tra elettori e parlamentari, a cui si attribuisce un potere, ma non si danno istruzioni sul cosa e come decidere. Il cittadino non solo è assente dalle sedi della decisione, ma, nel moderno sistema parlamentare, non ha strumenti giuridici per vincolare il rappresentante nel corso dell’ esercizio della sua funzione. È pacifico, viceversa, che se ci limitiamo ad un’analisi semplicistica del concetto di rappresentanza, quello appunto di “rendere presente chi non lo è”,
allora raggiungeremo sicuramente una condivisione rimanendo, però, su un concetto molto generico e semplicistico[2]. Se invece cerchiamo di meglio definirla con delle interpretazioni specifiche, chiarendone così la natura; allora dobbiamo fare i conti con una serie di diverse accezioni [3] e non possiamo non indagare anche sul concetto stesso del rapporto giuridico che si instaura tra rappresentante e rappresentato, anche se è un dato politico.
Solitamente si opera una distinzione della specie della rappresentanza politica, rientrati nel più ampio genus della rappresentanza giuridica. Il fatto però di contrapporre semplicisticamente queste due nozioni non è, a mio parere, una buona soluzione. E’ più corretto analizzarle su due piani diversi e cioè il modello privatistico della rappresentanza giuridica rispetto a quello costituzionale della rappresentanza politica. Cosi facendo è possibile superare una lettura che si fonda solo su differenze ed analogie per giungere ad una lettura che si giovi della influenza reciproca tra questi due istituti e del loro comune patrimonio concettuale.
Per quanto il diritto privato abbia fornito molti strumenti concettuali applicabili all’istituto della rappresentanza politica quali i poteri, i doveri e la legittimazione dei rappresentante, ma anche del rappresentato, ed ancora la natura giuridica dei vincoli tra i due soggetti; è intuibile, però, che molto difficile appare la piena trasferibilità dell’esperienza e della creazione giuridica degli stessi ad un tema, così squisitamente politico, come quello della rappresentanza politica. In quest’ultimo istituto, infatti, non vi è una diretta imputazione giuridica ai rappresentati dell’attività posta in essere dal rappresentante. Niente, in quanto questa attività va imputata allo Stato – persona. Attività che si caratterizza per l’aspetto squisitamente politico delle funzioni svolte; caratteristica che è sconosciuta al diritto civile. Ancora, a ciò bisogna aggiungere altri aspetti distintivi degli istituti de quibus quali l’indeterminatezza dell’oggetto dell’incarico rappresentativo, infatti, nemmeno negli ordinamenti più semplici, è possibile individuare un chiaro contenuto del mandato politico ab initio.
In effetti la moderna rappresentanza costituisce uno strumento giuridico tra il più complessi che l’ ordinamento ha saputo creare. Varie le posizioni dottrinarie che evidenziano come sia ampia e complessa la figura della rappresentanza in nome del popolo sovrano, chiedendosi come una pluralità di individui possa essere ridotta ad unità, cosi come evidenzia Kelsen in “ Essenza e valore della democrazia”[4]
Quest’ultimo è stato infatti uno dei principali sostenitori della rappresentanza giuridica come fictio in quanto costituisce l’unico modo in cui è possibile, come dicevamo, rendere presente ciò che presente non è. Già nei rapporti di diritto privato, ma soprattutto in quelli propri della dinamica della rappresentanza politica, la formula che il membro del Parlamento non sia rappresentante dei singoli elettori ma di tutto il popolo, o come qualcuno scrive, di tutto lo Stato, è una regola propria di questo tipo di finzione politica[5]. Infatti individua una distinzione tra la ricostruzione della rappresentanza come finzione politica e quella come finzione giuridica.
Nella rappresentanza come finzione politica si evidenziano le componenti sostanziali e ideologiche del rapporto rappresentativo dove i parlamentari rappresentano la nazione, lo Stato e il popolo; essa è la vera fictio necessaria e con essa il potere che la stessa rappresenta. E’ la genesi della distinzione, dallo stesso posta, tra democrazia ideale e reale, laddove la prima dovrebbe basarsi sulla perfetta autodeterminazione politica degli individui, ossia la negazione del dominio in cui sia il principio della uguaglianza sia quello della libertà trovano la loro perfetta realizzazione; la seconda si fonda invece sulla distinzione tra governati e governanti, sul parlamentarismo, sull’eteronomia. Nel passaggio dal piano ideale a quello reale si verifica infatti un cambiamento del significato e delle caratteristiche della democrazia, perchè nella realtà- sottolinea Kelsen- esiste l’ordine sociale al quale nessuno può sottrarsi e la cui esistenza rende altamente problematica la possibilità di creare un sistema politico in cui tutti siano liberi ed uguali.
La soluzione a questo problema consiste, secondo Kelsen, nella ricerca di un compromesso tra l’aspirazione alla perfetta autodeterminazione e l’esistenza necessaria dell’ordine sociale: “Dalla negazione assoluta del dominio, e perciò dello Stato, si passa- osserva Kelsen- ad una particolare forma del dominio stesso “[6] e tale, particolare forma è la democrazia moderna e rappresentativa nella quale i cittadini, in possesso dei diritti fondamentali e politici, partecipano alla creazione della volontà statale attraverso la pratica parlamentare.
Potrebbero interessarti anche:
2. Brevi cenni sugli aspetti problematici della sua teoretica.
Non è facile operare una ricostruzione teorica largamente condivisa della nozione di rappresentanza perché da sempre è in bilico una nozione di rappresentanza come situazione di potere dell’eletto, chiamato liberamente ad interpretare un oggettivo interesse nazionale, e quella invece del rappresentante tenuto a rispettare ed eseguire un preciso mandato ricevuto al momento dell’investitura popolare.
In funzione dei diversi periodi storici e del pensiero politico dominante, queste due letture sono state a turno celebrate , senza però che mai una delle due fosse definitivamente messa da parte[7], per cui il prevalere dell’una sull’altra è quanto mai periodico e legato ad un dato momento storico perché mai l’eletto è stato un semplice nuncius, neanche quando doveva rappresentare interessi di un determinato ceto dinnanzi al sovrano, né lo stesso è potuto mai essere insensibile alle sollecitazioni dei propri elettori, nemmeno nel periodo di maggior voga del sentimento nazionale[8] La diversità di cui si discute è originata dal diverso modo di intendere il rapporto rappresentativo e dalle premesse con cui lo stesso è stato inteso nel tempo.La rappresentanza come situazione[9], tipica della dottrina liberale, ha come premessa, si diceva, la concezione del Popolo/Nazione come un soggetto privo della capacità di volere, senza la possibilità di esercitare una propria sovranità se non attraverso i suoi rappresentanti, i quali però hanno una piena autonomia. Vige perciò il principio del libero mandato parlamentare e delle elezioni.
Tutto ciò, a sua volta, presuppone l’esistenza di interessi comuni e riferibili all’intera comunità che può essere, indifferentemente, il Popolo e la Nazione, che trascendono sia l’interesse del singolo che la molteplicità degli interessi dei singoli e che si esprimono al momento delle elezioni da parte del corpo elettorale.[10]
All’estremo opposto rintracciamo le premesse della rappresentanza come rapporto laddove il rappresentante esprime la volontà del rappresentato in una sorta di surrogazione della democrazia diretta. Sappiamo però il popolo è un’entità articolata e complessa con una sua volontà, che è la mediazione delle volontà delle sue diverse articolazioni e della cui realizzazione l’eletto diventa responsabile. Ecco perché le elezioni non sono solamente una modalità atta a selezionare le persone più capaci, ma sono il modus per la manifestazione della volontà popolare e gli eletti sono tenuti a realizzare quella parte di interessi del corpo elettorale da cui sono stati eletti e che ad essi assegnano un mandato.
Anche per questa nozione di rappresentanza sono individuabili tre filoni. Un primo è quello del giacobinismo per cui l’eletto è il mandatario di quella parte di popolo che lo ha eletto; un secondo pensiero di matrice pluralista secondo il quale la varietà degli interessi trova nelle elezioni la sua composizione in unità. Infine un’ultima scuola di pensiero secondo la quale solo l’elezione garantisce la rappresentatività, senza eccezione alcuna.
3.Le Costituzioni moderne e la rappresentanza politica.
Un esempio emblematico del passaggio dalla rappresentanza giuspubblicistica dell’epoca medievale alla rappresentanza politica delle Costituzioni liberali la ritroviamo nell’ ordinamento inglese.
Dai primi limiti al potere regio contenuti nella Magna Charta Libertatum del 1215, sino ai Bill of Rights del 1689, con i quali si vietava al sovrano di imporre altre imposte, è sempre più evidente e conclamata la messa in discussione del re, l’affermazione del Parlamento e la crescente autonomia dei rappresentanti i quali sono sempre meno collegati alle comunità di riferimento e sempre più vicini al concetto unitario di Nazione .
Non chiara, ma emblematica, la posizione del London Journal di R. Walpole che scrive ai sudditi inglesi, rispetto ai rappresentanti, segnalando che “ non abbiamo autorità e non possiamo comandare loro; abbiamo dato ad essi il potere di fare leggi per noi, e li abbiamo scelti giudicando che avessero attitudini ed integrità sufficienti per fare il loro dovere. (…) Se non gradiamo quanto essi hanno fatto, abbiamo la libertà , quando il tempo del loro ufficio è scaduto, di scegliere altri: questo, e solo questo, è il nostro potere “[11]
Si tratta dello sviluppo del concetto della “ rappresentanza virtuale” cioè dell’idea che i rappresentanti hanno ricevuto il loro mandato virtualmente ed implicitamente da tutti i sudditi della Corona e perciò a prescindere dalla concreta partecipazione alle elezioni, segnando così la fine di ogni particolarismo , frutto del retaggio medievale delle assemblee parlamentari e dello stesso vincolo di mandato.[12]
Anche in Francia si assiste ad un analogo processo di affermazione del concetto di “rappresentanza nazionale “ in capo all’Assemblea che rappresenta, per l’appunto, l’intera Nazione. Un processo che vede l’affermarsi del concetto di rappresentanza non solo a favore , però, dell’Assemblea, ma anche del singolo delegato che agisce non secondo un mandato imperativo , ma liberamente secondo la propria volontà avvantaggiata da quanto acquisito dalla discussione in Assemblea[13].
Dal sistema duale della Costituzione del 1791 che attribuiva la rappresentanza della Nazione sia al re che all’ Assemblea, ognuno secondo le proprie competenze , con il periodo giacobino si passa dalla sovranità della Nazione alla sovranità del popolo ; mutamento che naturalmente comporta un nuovo modello di rappresentanza.
Infatti con la Costituzione del 1793 rivendica un paradigma della rappresentanza politica totalmente nuovo: non più una rappresentanza senza vincoli di mandato e difatti insindacabile, ma, a contrario, ina rappresentanza politica vincolata, per la quale ogni rappresentante è responsabile davanti al popolo sia in caso di violazione del mandato ricevuto ma anche in caso di mala gestio . In verità per i giacobini è il concetto stesso di rappresentanza ad essere messo in discussione perché ogni forma di intermediazione tra popolo e governo viene vista come un “ intralcio” che ne complicava i rapporti ed aumentava in modo sproporzionato il rischio della non estta rappresentazione della volontà, se non proprio del tradimento dell’autentica e unica volontà del popolo , vera sede della sovranità. Ecco perché si cercò di favorire al massimo la partecipazione del popolo alla gestione della res pubblica e diverse furono le sanzioni poste a carico dei rappresentanti corrotti del popolo.
Tale periodo si concluderà ben presto con l’adozione di un nuovo modello costituzionale [14], quello liberale- borgese, esportato in tutta Europa e i suoi principi verranno studiati per costituire le basi del moderno costituzionalismo.
4. Quali previsioni in seno alla nostra Carta costituzionale?
L’analisi storica operata non può che condurci all’evoluzione del concetto di rappresentanza anche alla luce della sua lettura contemporanea e quindi all’analisi dello stesso in una delle più belle Costituzioni “moderne”: quella italiana. Bisogna, a tale proposito, analizzare una serie di articoli della Carta del 1948 al fine di approfondire non solo l’oggetto della rappresentanza o la figura del rappresentante, ma anche il rapporto tra il rappresentato, il popolo sovrano, ed il rappresentante , il parlamentare, ed infine come esso si sviluppa nella prassi politica ed istituzionale[15].
L’articolo 1 della nostra Costituzione da subito sancisce il principio della sovranità popolare
” la sovranità appartiene al popolo “ e successivamente i limiti che incontra nel suo esercizio quali elementi costitutivi e la modalità di esercizio della sovranità spettante al popolo. Al definitivo superamento delle impostazioni dottrinarie della sovranità spettante alla nazione , si conferisce quest’ultima prima al popolo, a cui appunto appartiene, con conseguenze sul piano della rappresentanza. Sicuramente una notevole evoluzione verso una sempre maggiore democraticità dell’ordinamento rispetto al sistema precedente, anche in considerazione del suffragio universale nel frattempo raggiunto . Infatti le costituzioni del XVIII e XIX secolo disegnavano una rappresentanza politica ancora duale perché, nel rispetto del modello tipico delle monarchie costituzionali, alla rappresentanza degli organi parlamentari eletti dal popolo, si affiancava la rappresentanza nel monarca, quale capo dello Stato, e quindi legittimando anche il potere del re. Gli stessi organi elettivi lo erano solo in parte in considerazione del suffragio limitato solo per ceti ed ai soli uomini ( nel 1871 il diritto di voto era riconosciuto solo a circa il 2 % dell’intera popolazione), impedendo cosi la rappresentanza a notevoli classi di cittadini, in una sorta di modello democratico controllato. La parentesi fascista sappiamo essere stata la negazione di ogni precedente riconoscimento di un potere al popolo, in nome della sua vocazione statalista e totalitaria, con un esercizio di sovranità incarnato solo ed unicamente in capo al Governo ed al suo Capo, e quindi in aperto disconoscimento di ogni principio democratico e composizione elettiva agli organi rappresentativi. In effetti anche, come si diceva poc’anzi, nonostante la formale affermazione della sovranità popolare, si introducono, di seguito all’ art 1 , delle previsioni non proprio allineate. E’ il caso dell’art 7, relativo ai rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica laddove al comma 1 definisce lo Stato , come la Chiesa, un ordine “indipendente e sovrano”.Se però, con il concetto della sovranità dello Stato- apparato istituzionale, si era risolto ogni difficoltà di rappresentazione della volontà politica, svuotando il popolo di ogni effettivo valore giuridico e facendone un principio; con la moderna Carta costituzionale torna alla ribalta il problema dell’assenza del rappresentato e parimodo quella di una sovranità esercitata direttamente dal popolo[16]. Sappiamo non potersi parlare , infatti, di un decisore unico, portatore di una volontà unica, anche in caso delle più semplici decisioni; a maggior ragione poi, la difficoltà aumenta, se son da assumere valutazioni che richiedono una valutazione comparata che debba considerare l’an, il quomodo, il quando, e quini riportare all’unità le diverse volontà. Ancora c’ è poi un’altra considerazione da tenere in debito conto: non è conveniente rimettere alla volontà popolare, e quindi alla asetticità del dato numerico, senza alcun conforto argomentativo ed esperenziale, ogni singola decisione da prendere, soprattutto quelle di maggiore valenza socio-economica e politica, ed infatti un tale sistema politico non lo ritroviamo in nessuna realtà socio-politica che abbia una minima articolazione[17].
Qual’ è allora, in conclusione il rapporto che intercorre tra lo Stato ed il popolo con riferimento all’art.1 della Costituzione? Tra le diverse letture dottrinali, sicuramente condivisibile resta quella che attribuisce alla sovranità popolare un vero e proprio valore di principio giuridico, facendo propria la distinzione tra lo Stato- comunità e lo Stato-apparato senza però, poi, proporre alcuna scissione di sovranità, ma conferendo quest’ultima solo ed esclusivamente al popolo , vero e proprio soggetto giuridico soggettivo, il quale fa dello Stato – apparato il suo rappresentante giuridico[18]La sovranità che il popolo esercita attraverso le tre forme riconosciute dalla Costituzione: quella tipica degli istituti della democrazia diretta ( ed in particolare la possibilità di rivolgere petizioni alle Camere- art. 50-, all’iniziativa legislativa popolare- art. 71- al referendum popolare- art. 75- al referendum costituzionale- art 138- ed ancora alle previsioni degli artt. 123, 132, 133; alla partecipazione alla definizione dell’indirizzo politico dello Stato, art. 2,3, 17, 18, 21 e 49, ed infine ricorrendo alle forme della democrazia pluralista, artt. 48,49 e 67 Cost).
Piuttosto limitata la previsione degli istituti della democrazia diretta a fronte del governo rappresentativo, la partecipazione al governo nazionale è esercitata anche e soprattutto grazie a forme decentrate quali quelle dell’associazionismo, del pluralismo partitico ed in generale degli altri strumenti previsti dalla Costituzione.
- [1]
L.Rossi, I principi fondamentali della rappresentanza politica, Bologna, Vita e pensiero-pubblic Università Cattolica Sacro Cuore, 1984
- [2]
G.Pasquini, Rappresentanza e democrazia, Bari ,Laterza, 1988
- [3]
G.Sartori, La rappresentanza politica, estratto da “ Studi politici”, anno IV,II serie, Firenze,Sansoni,1957
- [4]
H.kelsen , Essenza e valore della democrazia, G. Giappichelli editore, Torino ,2004.
- [5]
H. kelsen , Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, Edizioni di Comunità ,1980.
- [6]
Ibidem: 4
- [7]
Ottima sintesi di queste due posizioni troviamo in D.Nocilla, Situazione rappresentativa e rapporto nel diritto positivo e nelle prospettive di riforma della rappresentanza politica, in Arch. Giurid, 1990, 86 e ss
- [8]
E’questa la ricostruzione elaborata dalla dottrina giuridica liberale- e che si ritrova nelle istituzioni rappresentative del XVIII e XIX secolo-fondata sul principio del libero mandato, sulla rappresentanza della nazione e sull’autonomia ed indipendenza del rappresentante nel farsi interprete privilegiato di tale volontà
- [9]
Tra i tanti C.Esposito, La rappresentanza istituzionale, in Scritti giuridici scelti, II, Teoria generale dello Stato e diritto costituzionale prerepubblicano, Napoli, Jovene, 1999,p.369,secondo il quale il proprium della rappresentanza consiste “ in una situazione giuridica per cui il rappresentante come tale, entro determinati limiti, sta giuridicamente in luogo del rappresentato”
- [10]
D.Nocilla, L. Ciaurro, Rappresentanza politica, in Enc.dir, vol .XXXVIII,1897 Gli autori riconducono a tale impostazioni tre indirizzi di pensiero. Una prima, liberale classica per cui il Popolo o la Nazione sono un’entità astratta, incapace di manifestare una propria volontà se non per il tramite dei suoi rappresentanti, i soli che realmente possono volere per il Popolo/Nazione in assoluta indipendenza rispetto agli elettori. Essi hanno infatti autorità propria che consegue alla avvenuta elezione, ma che si manifesta in modo libero a seguito delle elezioni che hanno una doppia valenza: quella di selezionare i migliori e di legittimare gli stessi all’esercizio della funzione di rappresentante.
Un secondo filone di matrice monarchica secondo i quale tutti gli organi dello Stato sono rappresentativi in quanto tali e perciò connotati da una totale indipendenza da ogni momento elettivo.
Infine un ultimo indirizzo di pensiero, molto conservatore tanto da attecchire soprattutto durante il periodo fascista, secondo cui gli organi di governo sono totalmente svincolati dal momento elettivo, siano essi un monarca, un leader carismatico o un capo di Stato. Essi sono de plano rappresentativi per il solo fatto di essere chiamati a svolgere una pubblica funzione. - [11]
D. Fisichella, La rappresentanza politica, Universale Laterza, 1996
- [12]
J.Locke, Il secondo Trattato sul Governo, trad. it. A. Gialluca, Milano, Rizzoli, 2009, cap VIII,” C’è una distinzione comune tra consenso espresso e tacito che ci interessa nello specifico. Nessuno dubita che il consenso esplicito di un uomo che entra in società lo renda a tutti gli effetti membro di quella società e suddito di quello stato. La difficoltà sta nell’ individuare cosa si debba intendere per consenso tacito, e quanto esso sia vincolante, ovvero fino a che punto si possa ritener che uno abbia dato il proprio consenso, e quindi si sia sottomesso ad un governo se non ha formulato alcuna espressione esplicita. A questo punto dico che ogni uomo che ha un possesso o un godimento di una parte dei territori di uno stato, dà per ciò stesso il proprio consenso, ed è quindi,, pe tutto il periodo in cui ne trae vantaggio, tenuto a dare obbedienza alle leggi di quel governo (…)”
- [13]
A Musi, Le vie della modernità, Sansoni ,Sansoni, 2004, Con il trasferimento della Costituente a Parigi nacque una sorta di democrazia parlamentare sotto l’egida del re e della legge. Il pinto di arrivo fu la Costituzione del 1791, ma finalmente erano realizzate le idee ispiratrici di una nuova concezione della rappresentanza fondata sulla democrazia parlamentare. La sovranità appartiene alla Nazione e nessun individuo può attribuirsene l’esercizio consacrando , nel contempo, il libero mandato e l’insindacabilità delle opinioni espresse dal parlamentare. La rappresentanza politica non è più una concessione del sovrano a rappresentare le proprie istanze, ma è un diritto in quanto è il potere a fondarsi sulla rappresentanza perché è l’Assemblea che incarna la Nazione sovrana. Né tale rappresentazione è scalfita dall’assenza del suffragio universale , in quanto il diritto di voto è ancora su base cetuale e difatti l’Assemblea è espressione della sola classe borghese. Ciò perché, come accadeva in Inghilterra, titolare della sovranità e oggetto della rappresentanza non è il popolo ma la Nazione; concetto questo non coincidente con il popolo nella sua totalità.
- [14]
Triste intermezzo la reazione termidoriana ( 1794-1795) con l’abbandono delle politiche radicali dei giacobini e la riproposizione di politiche più conservatrici . Lo storico B.Braczko li definisce dei “realisti” perché consci che la rivoluzione aveva perso il suo slancio e della incapacità di mantenere le promesse fatte, essi ne capirono i limiti e cercarono di arginarli. Dopo la violenza del Terrore , molti francesi desideravano stabilità piuttosto che il promesso progresso rivoluzionario. I termidoriani cercarono di dargliela. Quindi una sorta di Controrivoluzione che si allontanava dal radicalismo dei giacobini e cercava di tornare ad uno stabile conservatorismo.
- [15]
Oltre all’architettura che emerge dalla Carta è fondamentale analizzare non solo il modello di rappresentanza politica di un dato ordinamento democratico, ma anche come esso si articola e si dispiega in un dato momento e contesto storico; insomma come esso è vissuto da rappresentati e rappresentanti e cioè la rappresentanza così come emerge dalla Costituzione materiale e da quello che potemmo definire il grado di rappresentatività. Ciò che T. Martines, Diritto costituzionale, op. Cit, . 223 definisce , quando scrive “ Rappresentanza e rappresentatività vanno, infatti , tenute distinte . L’una ( la rappresentanza) attiene al momento delle autorità ( lo Stato rappresentativo, gli organi rappresentativi) , l’altra (la rappresentatività) attiene invece al momento della libertà e trova il suo fondamento nel consenso, nella corrispondenza, nell’ adesione al sentimento ( in senso etimologico) popolare, in una parola nella consonanza che si viene a stabilire fra governanti e governati quando i primi riescono a tradurre in formule giuridiche, e quindi a tutelare, i valori i valori che si manifestano come preminenti nella comunità che lo ha espressi”
- [16]
C. Schmitt, Dottrina della costituzione, Giuffrè editore, Milano, 1984, 270 “ Non c’è nessuno Stato senza rappresentanza (…) in una democrazia diretta pienamente attuata, nella quale tutto il popolo, cioè tutti i cittadini attivi, è effettivamente riunito in una piazza (…) agiscono al massimo tutti i componenti adulti del popolo e solo nel momento in cui sono riuniti”
- [17]
Se prendiamo a riferimento quelli che sono considerati i più validi esempi di democrazia diretta adattati ad una realtà complessa quali le polis greche, osserviamo come nella stessa città ateniese in effetti al popolo erano rimandate solo le decisioni non esecutive, riservate, viceversa, agli alti magistrati.
- [18]
V Crisafulli, La sovranità popolare nella Costituzione italiana, in Stato popolo governo, Giuffrè, Milano, 1985, 216 “ Lo Stato non è il popolo, ma lo rappresenta nel mondo del diritto”
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento