La democrazia rappresentativa nell’evoluzione del concetto di rappresentanza

Non c’è concetto più labile di quello della rappresentanza politica

Indice

1.  La difficile genesi del concetto di rappresentanza

Forse è utopico pensare di poter estrapolare una definizione esaustiva della rappresentanza politica a fronte della immensa letteratura che il pensiero giuridico e politologico hanno accumulato nei secoli; e sicuramente ancora attualissime  sono , e perciò non banale è il ricordarle,  le parole di D. Fisichella quando nella sua opera del 1996,La rappresentanza politica , scrive  “ se è vero(…) che con qualche   sforzo siamo  in  grado  di  indicare  con sufficiente   approssimazione   ciò che la rappresentanza non è , malgrado molti   secoli   di impegno   teoretico   non possiamo   dire  cosa la rappresentanza  è”.Non    c’è   concetto   più   labile   di quello della rappresentanza politica; la   difficoltà  è    nel    suo   stesso    etimo   visto    che  definisce   il concetto   di   “rendere   presente   qualcosa   che   presente   non   è ”;[1]  sappiamo   infatti     che   il    cittadino   è    assente    dalle   sedi   della decisione   e   non   ha    nessuna    possibilità   di   vincolare    il    suo  rappresentante.   Esso è  un rapporto  istituzionalizzato   tra  elettori  e    parlamentari,    a cui   si    attribuisce    un    potere,  ma   non   si danno   istruzioni    sul    cosa     e    come    decidere.   Il cittadino non   solo è    assente dalle  sedi della    decisione,   ma,  nel moderno sistema   parlamentare, non  ha   strumenti giuridici per vincolare   il rappresentante    nel corso dell’ esercizio   della sua funzione. È pacifico,    viceversa,  che se    ci     limitiamo    ad un’analisi   semplicistica del concetto di    rappresentanza,  quello appunto    di “rendere presente chi non lo è”,
allora   raggiungeremo  sicuramente    una condivisione rimanendo,   però,  su    un concetto   molto generico e semplicistico[2].  Se invece cerchiamo di meglio definirla     con   delle   interpretazioni specifiche,    chiarendone così    la natura;  allora   dobbiamo fare   i conti con una    serie di   diverse  accezioni [3] e   non possiamo    non indagare    anche    sul concetto     stesso del rapporto    giuridico che si  instaura tra rappresentante e    rappresentato, anche se   è  un dato politico.
Solitamente si     opera una    distinzione    della specie   della rappresentanza politica,   rientrati  nel più ampio    genus della rappresentanza    giuridica.   Il fatto  però    di contrapporre    semplicisticamente  queste    due nozioni non    è,   a mio parere,    una buona soluzione.     E’ più corretto     analizzarle su   due   piani  diversi e cioè il modello    privatistico della rappresentanza    giuridica rispetto a quello     costituzionale  della rappresentanza     politica.       Cosi facendo è possibile   superare una lettura     che si fonda    solo su differenze       ed analogie      per giungere    ad una lettura    che si giovi  della influenza reciproca tra   questi   due    istituti e del loro comune     patrimonio concettuale.
Per  quanto    il diritto privato   abbia fornito    molti strumenti         concettuali applicabili      all’istituto  della  rappresentanza      politica   quali i poteri,   i doveri e la legittimazione dei rappresentante,  ma  anche del rappresentato, ed   ancora    la natura giuridica   dei    vincoli tra i due soggetti; è   intuibile,  però,  che     molto difficile appare la    piena trasferibilità     dell’esperienza  e   della creazione    giuridica degli stessi    ad un tema,   così squisitamente  politico, come quello della    rappresentanza politica. In quest’ultimo istituto,  infatti,  non vi è    una diretta    imputazione giuridica       ai  rappresentati     dell’attività posta in essere   dal rappresentante.  Niente, in quanto   questa   attività   va    imputata allo Stato – persona. Attività  che si   caratterizza per   l’aspetto    squisitamente politico      delle funzioni  svolte;   caratteristica    che è sconosciuta   al diritto    civile.     Ancora, a ciò bisogna    aggiungere altri aspetti      distintivi degli  istituti       de quibus  quali l’indeterminatezza    dell’oggetto     dell’incarico   rappresentativo, infatti, nemmeno      negli ordinamenti      più   semplici, è possibile      individuare un chiaro contenuto del   mandato politico ab initio.
In effetti la moderna rappresentanza costituisce uno strumento giuridico tra il più complessi che  l’ ordinamento   ha   saputo creare.   Varie le posizioni dottrinarie che evidenziano come sia ampia e complessa la figura della rappresentanza in nome del popolo sovrano, chiedendosi come una  pluralità di individui possa essere ridotta ad unità, cosi come evidenzia Kelsen in  “ Essenza e valore della democrazia”[4]
Quest’ultimo è stato infatti uno dei principali sostenitori della rappresentanza giuridica come fictio in quanto costituisce l’unico modo in cui è possibile, come dicevamo,  rendere presente ciò che presente non è. Già nei rapporti di diritto privato, ma  soprattutto in  quelli  propri della dinamica della  rappresentanza politica, la formula  che  il membro   del Parlamento   non sia    rappresentante dei singoli elettori ma di tutto il popolo, o come qualcuno scrive,   di tutto lo Stato,   è  una  regola propria di questo tipo di finzione politica[5].  Infatti  individua una distinzione tra la ricostruzione della rappresentanza come finzione   politica   e quella come finzione giuridica.
Nella rappresentanza  come  finzione politica si evidenziano le componenti sostanziali e ideologiche del rapporto rappresentativo dove i parlamentari rappresentano la nazione,  lo Stato  e il popolo; essa  è la  vera    fictio necessaria e con  essa il potere che la stessa rappresenta.  E’ la genesi della distinzione,  dallo stesso posta, tra democrazia ideale e reale, laddove  la prima   dovrebbe   basarsi    sulla   perfetta autodeterminazione  politica degli individui,  ossia la negazione del  dominio in cui sia il principio della uguaglianza   sia quello    della libertà  trovano la loro perfetta realizzazione; la seconda si fonda   invece  sulla distinzione  tra governati e governanti, sul parlamentarismo,  sull’eteronomia.  Nel   passaggio  dal piano   ideale a quello reale si verifica   infatti un cambiamento del significato e delle caratteristiche della democrazia,   perchè    nella realtà- sottolinea Kelsen-  esiste  l’ordine   sociale al quale nessuno    può sottrarsi   e la cui esistenza   rende  altamente  problematica la possibilità di creare un sistema politico in cui tutti siano liberi ed uguali.
La soluzione a questo problema consiste, secondo Kelsen, nella ricerca di un compromesso tra l’aspirazione alla perfetta autodeterminazione e l’esistenza necessaria    dell’ordine sociale:   “Dalla negazione assoluta del dominio, e perciò dello Stato, si   passa- osserva Kelsen-  ad  una   particolare   forma del dominio stesso “[6]  e  tale,  particolare    forma è la democrazia moderna e rappresentativa nella quale i cittadini,  in possesso    dei diritti fondamentali e politici, partecipano alla creazione della volontà statale attraverso   la pratica parlamentare.
Potrebbero interessarti anche:

2. Brevi cenni sugli aspetti problematici della sua teoretica.

Non è   facile  operare una   ricostruzione teorica  largamente   condivisa della nozione di rappresentanza perché da sempre è in bilico una nozione di  rappresentanza come situazione di potere dell’eletto, chiamato liberamente ad interpretare un oggettivo interesse nazionale, e quella invece del rappresentante tenuto a rispettare ed eseguire un preciso mandato ricevuto al momento dell’investitura popolare.
In funzione dei   diversi  periodi storici e del pensiero  politico dominante,   queste due   letture   sono state  a turno celebrate ,  senza però che   mai una   delle  due fosse  definitivamente   messa da parte[7], per  cui il    prevalere   dell’una  sull’altra   è quanto   mai   periodico e legato ad un dato   momento storico   perché mai l’eletto è stato   un semplice nuncius,  neanche   quando   doveva rappresentare    interessi  di un determinato   ceto dinnanzi  al  sovrano, né   lo stesso è potuto  mai essere insensibile     alle     sollecitazioni dei propri elettori,    nemmeno   nel periodo di maggior   voga     del   sentimento nazionale[8] La diversità di     cui   si discute è   originata   dal diverso modo di intendere il rapporto rappresentativo e dalle premesse con cui lo stesso è stato inteso nel tempo.La rappresentanza   come situazione[9], tipica   della dottrina liberale, ha come premessa,  si diceva,    la concezione  del    Popolo/Nazione    come un   soggetto privo    della capacità  di volere, senza la   possibilità  di esercitare   una    propria sovranità   se   non attraverso i   suoi   rappresentanti, i quali   però   hanno    una piena   autonomia.   Vige   perciò   il principio del libero mandato parlamentare e delle elezioni.
Tutto ciò, a  sua volta,   presuppone  l’esistenza di interessi comuni e riferibili all’intera comunità  che può essere,   indifferentemente,   il Popolo e   la  Nazione, che trascendono   sia l’interesse del singolo    che la molteplicità degli interessi dei singoli    e che si esprimono al momento   delle elezioni da parte del corpo elettorale.[10]   
All’estremo  opposto   rintracciamo   le premesse  della rappresentanza come rapporto  laddove   il rappresentante  esprime   la volontà del rappresentato in una sorta di surrogazione   della  democrazia diretta.    Sappiamo però il popolo è un’entità   articolata e complessa   con una sua volontà,  che è la mediazione delle volontà delle sue diverse articolazioni e  della   cui realizzazione   l’eletto diventa responsabile. Ecco perché le elezioni non sono solamente una modalità atta a selezionare le persone più capaci,  ma  sono  il modus per la manifestazione della volontà   popolare e gli eletti sono tenuti a realizzare quella parte di interessi del corpo elettorale  da cui sono stati eletti e  che ad essi  assegnano un mandato.
Anche per questa   nozione  di rappresentanza sono individuabili tre filoni. Un primo è quello   del   giacobinismo    per cui   l’eletto è il mandatario di quella parte di popolo che  lo   ha eletto; un  secondo   pensiero di   matrice pluralista secondo il quale   la varietà degli interessi   trova nelle  elezioni la  sua   composizione in unità. Infine   un’ultima    scuola di pensiero  secondo la quale solo l’elezione garantisce la rappresentatività, senza eccezione alcuna.

3.Le Costituzioni moderne e la rappresentanza politica.

Un esempio  emblematico  del  passaggio   dalla  rappresentanza   giuspubblicistica    dell’epoca    medievale  alla   rappresentanza   politica delle    Costituzioni liberali   la  ritroviamo   nell’ ordinamento inglese.
Dai   primi  limiti   al  potere   regio contenuti     nella   Magna  Charta   Libertatum  del 1215, sino ai Bill of   Rights del 1689,  con i quali si vietava al sovrano di imporre   altre   imposte,   è  sempre   più  evidente  e    conclamata   la messa   in discussione  del   re,    l’affermazione     del   Parlamento    e la   crescente   autonomia   dei   rappresentanti   i    quali  sono   sempre   meno    collegati   alle   comunità    di  riferimento      e   sempre   più   vicini   al   concetto      unitario   di   Nazione .
Non chiara,  ma   emblematica,   la    posizione     del  London    Journal   di  R.   Walpole  che  scrive   ai sudditi   inglesi,  rispetto   ai rappresentanti,  segnalando  che   “   non abbiamo   autorità    e non possiamo    comandare loro;   abbiamo  dato ad  essi  il potere   di  fare leggi  per  noi,   e li  abbiamo  scelti  giudicando che avessero  attitudini ed integrità   sufficienti  per  fare  il  loro    dovere. (…)  Se  non  gradiamo    quanto essi   hanno  fatto, abbiamo   la libertà ,  quando  il  tempo  del  loro  ufficio   è scaduto,    di scegliere  altri:  questo,  e   solo  questo,    è  il   nostro  potere “[11]
Si tratta    dello    sviluppo del   concetto   della   “ rappresentanza   virtuale” cioè   dell’idea  che i rappresentanti    hanno  ricevuto     il   loro   mandato virtualmente  ed    implicitamente     da tutti   i sudditi    della  Corona   e perciò  a   prescindere     dalla   concreta  partecipazione   alle  elezioni, segnando   così   la  fine  di ogni   particolarismo ,   frutto    del retaggio    medievale  delle assemblee parlamentari e dello stesso vincolo  di mandato.[12]
 Anche   in    Francia   si assiste  ad un   analogo  processo   di    affermazione  del  concetto  di “rappresentanza   nazionale   “  in capo    all’Assemblea    che   rappresenta,   per   l’appunto,   l’intera  Nazione.  Un processo    che vede   l’affermarsi    del  concetto di rappresentanza  non solo a favore , però,  dell’Assemblea,    ma    anche del  singolo  delegato   che agisce   non secondo un mandato  imperativo , ma liberamente     secondo  la   propria    volontà   avvantaggiata     da quanto  acquisito  dalla    discussione  in Assemblea[13]
Dal  sistema   duale   della   Costituzione  del 1791  che  attribuiva  la rappresentanza  della   Nazione  sia  al   re  che    all’ Assemblea,  ognuno  secondo  le   proprie   competenze ,  con  il   periodo  giacobino  si  passa dalla   sovranità   della   Nazione   alla   sovranità  del popolo ;    mutamento   che naturalmente   comporta    un  nuovo   modello   di rappresentanza.
Infatti  con  la Costituzione   del  1793  rivendica   un paradigma  della rappresentanza  politica  totalmente   nuovo:  non  più  una rappresentanza  senza    vincoli  di mandato    e  difatti   insindacabile,  ma,  a  contrario,   ina rappresentanza   politica   vincolata,  per  la quale   ogni rappresentante è responsabile davanti    al  popolo   sia in caso  di violazione  del mandato  ricevuto  ma  anche in caso di mala gestio  .  In  verità  per  i  giacobini   è  il concetto   stesso di rappresentanza  ad essere   messo in  discussione  perché  ogni  forma  di intermediazione  tra    popolo    e governo viene  vista   come  un  “ intralcio”  che  ne  complicava  i  rapporti  ed  aumentava   in  modo  sproporzionato  il  rischio della non estta   rappresentazione  della volontà,  se non  proprio  del  tradimento dell’autentica  e unica volontà  del  popolo   ,  vera  sede  della   sovranità. Ecco   perché   si  cercò  di favorire  al  massimo  la   partecipazione   del popolo  alla  gestione   della res   pubblica  e diverse    furono    le sanzioni poste   a carico dei rappresentanti   corrotti   del   popolo.   
Tale  periodo   si concluderà   ben presto     con    l’adozione  di un  nuovo  modello  costituzionale [14],  quello  liberale- borgese,    esportato  in tutta    Europa  e  i suoi  principi  verranno studiati  per costituire  le basi  del moderno  costituzionalismo.

4. Quali previsioni in seno alla nostra Carta costituzionale?

L’analisi  storica operata non può  che  condurci  all’evoluzione  del   concetto  di rappresentanza  anche alla luce della sua  lettura   contemporanea  e quindi  all’analisi dello stesso in una delle più belle Costituzioni “moderne”: quella italiana. Bisogna, a tale proposito,   analizzare   una serie   di articoli    della    Carta  del 1948 al  fine  di    approfondire non solo l’oggetto  della rappresentanza o la figura  del  rappresentante,  ma  anche il rapporto tra  il rappresentato, il popolo sovrano,  ed il rappresentante , il parlamentare,  ed infine  come esso  si sviluppa nella    prassi   politica   ed  istituzionale[15].
L’articolo 1 della nostra Costituzione da subito sancisce  il principio della sovranità popolare
la sovranità appartiene al popolo “ e successivamente   i limiti  che   incontra nel   suo esercizio   quali elementi   costitutivi e la modalità   di esercizio della    sovranità spettante       al popolo.      Al definitivo    superamento delle impostazioni    dottrinarie della   sovranità spettante  alla nazione ,   si conferisce quest’ultima prima   al popolo,   a cui appunto appartiene,   con conseguenze sul piano   della rappresentanza. Sicuramente una notevole evoluzione  verso una sempre maggiore democraticità dell’ordinamento    rispetto   al sistema    precedente,    anche  in considerazione   del suffragio universale nel   frattempo raggiunto .  Infatti le costituzioni del XVIII e XIX secolo disegnavano una rappresentanza     politica   ancora  duale   perché, nel rispetto del modello tipico    delle  monarchie    costituzionali,    alla rappresentanza degli organi parlamentari  eletti dal popolo, si affiancava la rappresentanza nel monarca, quale capo dello Stato, e quindi legittimando anche il potere del re. Gli   stessi  organi   elettivi lo erano  solo in parte  in considerazione del suffragio limitato solo per ceti ed ai soli  uomini (  nel   1871  il  diritto   di voto   era  riconosciuto  solo a circa il 2 %  dell’intera popolazione),  impedendo  cosi  la rappresentanza  a  notevoli   classi  di cittadini,  in una  sorta  di   modello  democratico   controllato. La parentesi  fascista   sappiamo essere   stata la   negazione di ogni precedente  riconoscimento di un potere al popolo,  in nome della sua vocazione statalista  e totalitaria,   con un esercizio di sovranità incarnato   solo   ed  unicamente   in  capo  al  Governo  ed  al suo  Capo,   e quindi  in aperto  disconoscimento  di ogni  principio   democratico  e  composizione   elettiva   agli  organi rappresentativi. In effetti  anche,  come si diceva poc’anzi, nonostante la formale  affermazione   della  sovranità popolare,   si introducono,  di seguito  all’ art 1 ,  delle previsioni non proprio allineate.  E’  il caso dell’art 7,  relativo  ai rapporti   tra Stato italiano  e Chiesa  cattolica laddove al comma 1 definisce lo Stato  ,  come la Chiesa,  un ordine “indipendente   e sovrano”.Se però,   con   il  concetto della sovranità   dello Stato- apparato  istituzionale, si era  risolto  ogni difficoltà  di rappresentazione  della volontà  politica, svuotando   il popolo  di ogni effettivo valore  giuridico e facendone  un principio;  con la moderna  Carta  costituzionale   torna  alla   ribalta   il  problema dell’assenza  del rappresentato e parimodo  quella di    una sovranità  esercitata  direttamente dal popolo[16]. Sappiamo  non  potersi  parlare , infatti,   di un  decisore  unico,   portatore   di  una  volontà  unica,  anche  in  caso  delle più semplici  decisioni; a   maggior  ragione  poi, la difficoltà aumenta, se  son   da assumere   valutazioni   che richiedono  una   valutazione comparata  che debba considerare   l’an, il   quomodo,  il quando, e quini  riportare all’unità  le diverse  volontà.  Ancora c’ è poi   un’altra    considerazione da    tenere in    debito   conto:  non è  conveniente rimettere  alla   volontà  popolare,    e quindi    alla asetticità   del dato  numerico,    senza  alcun    conforto  argomentativo   ed  esperenziale,   ogni singola   decisione  da  prendere,   soprattutto   quelle di  maggiore  valenza  socio-economica    e politica,  ed   infatti   un tale  sistema  politico    non lo   ritroviamo     in   nessuna  realtà   socio-politica che   abbia una  minima  articolazione[17].   
Qual’ è allora,  in conclusione il  rapporto che  intercorre  tra lo  Stato  ed  il  popolo  con  riferimento  all’art.1  della  Costituzione? Tra le  diverse  letture   dottrinali, sicuramente  condivisibile   resta   quella che attribuisce  alla   sovranità  popolare  un  vero  e proprio   valore   di  principio  giuridico,  facendo   propria  la  distinzione  tra lo  Stato-  comunità   e lo Stato-apparato  senza  però, poi,  proporre  alcuna  scissione  di sovranità,  ma   conferendo  quest’ultima  solo ed  esclusivamente  al  popolo , vero e proprio soggetto   giuridico  soggettivo,  il quale fa  dello  Stato – apparato il  suo rappresentante giuridico[18]La sovranità  che il popolo esercita  attraverso  le tre  forme  riconosciute  dalla Costituzione: quella   tipica  degli  istituti della  democrazia   diretta ( ed in particolare  la possibilità di  rivolgere petizioni   alle Camere- art. 50-, all’iniziativa  legislativa popolare- art. 71- al referendum popolare-  art. 75- al referendum costituzionale- art 138- ed ancora alle previsioni degli artt. 123, 132, 133; alla  partecipazione    alla definizione dell’indirizzo politico  dello  Stato, art. 2,3, 17, 18, 21 e 49, ed infine  ricorrendo  alle forme  della  democrazia  pluralista, artt. 48,49 e 67 Cost).
Piuttosto  limitata la previsione degli istituti della democrazia diretta a fronte   del governo  rappresentativo, la partecipazione  al governo  nazionale  è esercitata anche e soprattutto grazie  a forme  decentrate quali quelle dell’associazionismo,  del pluralismo  partitico ed in generale degli  altri  strumenti previsti  dalla Costituzione. 

  1. [1]

    L.Rossi,  I principi fondamentali della rappresentanza politica, Bologna, Vita e pensiero-pubblic Università Cattolica Sacro Cuore, 1984

  2. [2]

    G.Pasquini, Rappresentanza e democrazia, Bari ,Laterza, 1988

  3. [3]

    G.Sartori, La rappresentanza politica, estratto da “  Studi politici”, anno IV,II serie, Firenze,Sansoni,1957

  4. [4]

    H.kelsen , Essenza e valore della democrazia, G. Giappichelli editore, Torino ,2004.

  5. [5]

    H. kelsen , Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, Edizioni di Comunità ,1980.

  6. [6]

    Ibidem: 4

  7. [7]

    Ottima sintesi di queste due posizioni troviamo in D.Nocilla, Situazione rappresentativa e rapporto nel diritto positivo e nelle prospettive di riforma della rappresentanza politica, in Arch. Giurid, 1990, 86 e ss

  8. [8]

    E’questa la ricostruzione elaborata dalla dottrina giuridica liberale- e che si ritrova nelle istituzioni rappresentative del XVIII e XIX secolo-fondata sul principio del libero  mandato, sulla rappresentanza della nazione e sull’autonomia ed indipendenza del rappresentante nel farsi interprete privilegiato di tale volontà

  9. [9]

    Tra i tanti C.Esposito, La rappresentanza istituzionale, in Scritti giuridici scelti, II, Teoria generale dello Stato e diritto costituzionale prerepubblicano, Napoli, Jovene, 1999,p.369,secondo il quale il proprium della rappresentanza consiste “ in una situazione giuridica per cui il rappresentante come tale, entro determinati limiti, sta giuridicamente in luogo del rappresentato” 

  10. [10]

    D.Nocilla, L. Ciaurro, Rappresentanza politica, in Enc.dir, vol .XXXVIII,1897 Gli autori riconducono a tale impostazioni tre indirizzi di pensiero. Una prima, liberale classica per cui il Popolo o la Nazione sono un’entità astratta, incapace di manifestare una propria volontà se non per il tramite dei suoi rappresentanti, i soli che realmente possono volere per il Popolo/Nazione in assoluta indipendenza rispetto agli elettori. Essi hanno infatti autorità propria che consegue alla avvenuta elezione, ma che si manifesta in modo libero a seguito delle elezioni che hanno una doppia valenza: quella di  selezionare i migliori e di legittimare gli stessi all’esercizio della funzione di rappresentante.
    Un secondo filone di matrice monarchica secondo i quale tutti gli organi dello Stato sono rappresentativi in quanto tali e perciò connotati da una totale indipendenza da ogni momento elettivo.
    Infine un ultimo indirizzo di pensiero, molto conservatore tanto da attecchire soprattutto durante il periodo fascista, secondo cui gli organi di governo sono totalmente svincolati dal momento elettivo, siano essi un monarca, un leader carismatico o un capo di Stato. Essi sono de plano rappresentativi per il solo fatto di essere chiamati a svolgere una pubblica funzione.

  11. [11]

    D. Fisichella, La  rappresentanza  politica,  Universale  Laterza, 1996

  12. [12]

    J.Locke, Il   secondo    Trattato sul   Governo, trad. it. A. Gialluca, Milano, Rizzoli, 2009, cap VIII,” C’è una     distinzione    comune    tra    consenso   espresso    e  tacito    che  ci interessa   nello   specifico. Nessuno   dubita      che il   consenso   esplicito    di un   uomo    che    entra  in società   lo renda   a tutti   gli effetti  membro  di quella  società    e suddito  di quello   stato.  La   difficoltà   sta   nell’  individuare   cosa si debba intendere  per  consenso tacito,     e quanto esso  sia  vincolante,  ovvero   fino  a che  punto    si possa ritener  che uno  abbia   dato   il  proprio   consenso,   e quindi   si sia  sottomesso   ad un governo  se   non   ha  formulato   alcuna   espressione   esplicita.   A  questo   punto dico  che ogni  uomo   che ha    un possesso  o  un godimento    di una  parte  dei territori  di uno   stato,    dà   per  ciò  stesso   il  proprio   consenso,    ed  è  quindi,,  pe   tutto  il  periodo  in  cui  ne trae  vantaggio,    tenuto   a dare  obbedienza    alle leggi   di  quel   governo (…)” 

  13. [13]

    A Musi, Le vie della  modernità, Sansoni ,Sansoni, 2004, Con il trasferimento della Costituente  a   Parigi   nacque  una sorta  di democrazia   parlamentare  sotto  l’egida    del re  e della legge. Il pinto di arrivo fu   la Costituzione   del   1791, ma finalmente   erano  realizzate  le  idee ispiratrici di  una nuova  concezione   della rappresentanza fondata   sulla   democrazia parlamentare.  La   sovranità   appartiene   alla   Nazione e nessun individuo  può attribuirsene   l’esercizio  consacrando ,  nel contempo,   il  libero  mandato  e   l’insindacabilità  delle  opinioni  espresse  dal  parlamentare. La rappresentanza   politica  non  è  più  una  concessione  del  sovrano   a rappresentare  le proprie  istanze,   ma è un  diritto   in  quanto  è il potere   a fondarsi   sulla   rappresentanza  perché è l’Assemblea   che incarna    la  Nazione  sovrana. Né tale rappresentazione è   scalfita  dall’assenza   del suffragio  universale , in quanto  il diritto  di voto   è ancora  su base   cetuale   e difatti  l’Assemblea  è espressione    della sola  classe  borghese.  Ciò  perché,   come  accadeva  in Inghilterra,  titolare della   sovranità  e oggetto   della  rappresentanza non  è il   popolo    ma  la Nazione;   concetto   questo  non   coincidente    con il  popolo  nella  sua   totalità. 

  14. [14]

    Triste  intermezzo  la  reazione   termidoriana  ( 1794-1795)  con  l’abbandono   delle  politiche   radicali   dei   giacobini   e  la  riproposizione  di politiche  più   conservatrici . Lo  storico   B.Braczko  li  definisce  dei “realisti”   perché  consci  che la  rivoluzione  aveva  perso  il suo  slancio  e della incapacità  di mantenere  le promesse fatte,   essi ne capirono  i limiti  e cercarono  di arginarli. Dopo   la violenza  del  Terrore  ,  molti   francesi   desideravano  stabilità  piuttosto   che il promesso  progresso  rivoluzionario.  I  termidoriani   cercarono  di dargliela. Quindi  una sorta  di  Controrivoluzione    che si   allontanava   dal  radicalismo   dei   giacobini e  cercava  di tornare  ad uno   stabile   conservatorismo.                 

  15. [15]

    Oltre  all’architettura   che  emerge dalla   Carta è   fondamentale   analizzare   non solo    il modello   di rappresentanza   politica  di un dato   ordinamento  democratico,    ma    anche  come     esso si   articola  e si    dispiega  in un   dato   momento  e contesto    storico; insomma   come esso  è vissuto da  rappresentati   e rappresentanti   e cioè  la rappresentanza  così  come  emerge  dalla   Costituzione  materiale e da quello  che potemmo  definire    il   grado  di rappresentatività.  Ciò   che T. Martines, Diritto  costituzionale, op. Cit, . 223 definisce , quando scrive “ Rappresentanza  e rappresentatività  vanno, infatti ,  tenute  distinte .  L’una ( la rappresentanza) attiene  al  momento delle    autorità ( lo   Stato rappresentativo,  gli   organi   rappresentativi) ,   l’altra   (la   rappresentatività) attiene  invece   al  momento  della   libertà e trova  il  suo  fondamento  nel     consenso, nella   corrispondenza, nell’ adesione  al   sentimento ( in   senso   etimologico) popolare,   in una  parola    nella  consonanza   che  si viene   a stabilire  fra  governanti  e  governati  quando  i primi   riescono    a tradurre     in  formule  giuridiche,  e quindi  a tutelare,  i valori  i valori   che si manifestano    come  preminenti  nella comunità  che lo  ha espressi”  

  16. [16]

    C.  Schmitt, Dottrina  della  costituzione, Giuffrè  editore, Milano, 1984, 270 “  Non c’è nessuno  Stato  senza  rappresentanza (…)  in una democrazia diretta pienamente   attuata,  nella  quale  tutto  il  popolo,  cioè  tutti  i cittadini  attivi,   è effettivamente   riunito  in una  piazza  (…)  agiscono    al massimo  tutti  i componenti       adulti  del  popolo   e   solo  nel momento in  cui   sono  riuniti”

  17. [17]

    Se  prendiamo   a riferimento   quelli  che  sono  considerati    i più  validi  esempi  di  democrazia  diretta  adattati  ad  una  realtà  complessa quali  le polis   greche, osserviamo   come nella stessa  città  ateniese  in effetti  al  popolo   erano  rimandate  solo   le   decisioni  non   esecutive,   riservate,  viceversa,  agli  alti  magistrati.

  18. [18]

    V Crisafulli, La  sovranità  popolare nella  Costituzione  italiana, in Stato popolo governo, Giuffrè,  Milano, 1985, 216 “ Lo Stato non è il  popolo, ma lo rappresenta nel mondo  del diritto”

rosalba ambrosino

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento