La denuncia ex art. 650 c.p. e procedimento di archiviazione

Redazione 19/03/20

Negli ultimi giorni, a causa dei provvedimenti restrittivi emanati dal governo a causa del diffondersi del COVID-19, sono state previste una serie di sanzioni, anche di carattere penale, per chi non dovesse rispettare tali provvedimenti.

In particolare più volte abbiamo avuto modo di confrontarci con la fattispecie di reato di cui all’art. 650 c.p. rubricato “inosservanza dei provvedimenti dell’autorità”.

Ebbene a tale fattispecie di reato incorrere chiunque violerà un provvedimento emanato dall’autorità, provvedimento che per tutti noi, in questo delicato momento, si sostanzia nel non abbandonare il domicilio se non per cause di necessità, lavoro o salute.

Va subito precisato come la fattispecie di reato in esame rientra nell’alveo delle contravvenzioni per la cui sussistenza non è richiesta una valutazione in merito alla presenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa).

I reati contravvenzionali, inoltre, non prevedono, a differenza dei delitti, come sanzione da irrogare la reclusione o la multa bensì l’arresto o l’ammenda.

Ebbene il reato di Inosservanza dei Provvedimenti dell’Autorità è un reato a forma libera, un reato comune poiché può essere commesso da chiunque ed infine il bene giuridico tutelato dalla norma in questione è l’ordine pubblico.

La denuncia

La denuncia, in diritto, è una dichiarazione formale con la quale si comunicano a un ente pubblico, un’amministrazione pubblica, oppure un altro soggetto istituzionale, circostanze, fatti o altri elementi che il destinatario è legittimato a ricevere.

Può essere presentata in forma orale o scritta.
1) Nel primo caso l’ufficiale di polizia giudiziaria (carabinieri, polizia, guardia di finanza) redige un verbale che andrà firmato dal denunciante.
2) Nel secondo caso l’atto dovrà essere sottoscritto dal denunciante o da un suo procuratore legale (art. 333 c.p.p.).

In relazione alla denuncia fatta da privati non è previsto un contenuto formale, il denunciante si può limitare alla semplice esposizione del fatto.
Coloro che sporgono denuncia devono essere il più precisi possibile, descrivendo in modo dettagliato l’episodio, al fine di aiutare le forze dell’ordine nel loro lavoro.
Quando la denuncia è facoltativa non è previsto nessun termine per la sua presentazione.
La persona che presenta una denuncia ha diritto di ottenere attestazione della ricezione.

La denuncia non è di solito un atto obbligatorio.
In presenza di un fatto che ha i connotati del reato, il cittadino non è tenuto a sporgere denuncia, e la vittima di un reato non è obbligata a querelare l’autore del crimine.
Se qualcuno assiste a un furto oppure altri reati, anche un omicidio, non si è obbligati a sporgere denuncia, salvo rare eccezioni previste dalla legge.

In cosa si differenzia l’istituto della querela dalla denuncia?

La querela deve essere sporta direttamente dalla vittima del reato entro determinati limiti di tempo, e deve contenere la manifestazione di volontà relativa alla punizione del responsabile del crimine. A norma dell’articolo 336 del codice di procedura penale, la querela è una condizione di procedibilità con la quale si esprime l’intenzione di procedere in relazione a un fatto che costituisce reato.
La querela è la volontà, che si manifesta per iscritto o verbalmente da chi è vittima del reato, di perseguire l’autore del fatto delittuoso, e senza questo consenso la legge non può punire l’autore del reato.
Se si denuncia o si querela una persona, si invitano le autorità a indagare su quella persona.
Iniziano le indagini preliminari guidate dal magistrato del pubblico ministero territorialmente competente.
Al momento della denuncia, la polizia o i carabinieri la trasmettono subito alla procura, in modo che il nominativo del denunciato o del querelato venga iscritto nel registro degli indagati, vale a dire l’apposito registro delle notizie di reato.
Se la denuncia è sporta contro ignoti, la notizia di reato viene iscritta lo stesso, ma nel registro degli ignoti, e l’iscrizione segna ufficialmente l’avvio delle indagini preliminari.
Se le autorità, dopo i primi rilievi (vale a dire: interrogatori, ispezioni, perquisizioni, escussione di persone informate sui fatti), ritengono che la notizia di reato sia fondata, provvederanno a comunicare al denunciato/querelato che le indagini stanno per dare luogo a un rinvio a giudizio, e verrà invitato a nominare un difensore di fiducia e a prepararsi al processo.
A differenza della denuncia, la querela deve manifestare senza equivoci la volontà che si procede su un fatto previsto dalla legge come reato.
Il diritto di querela deve essere esercitato, a pena di decadenza, entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato.
Il termine è di sei mesi vale per alcuni particolari delitti, ad esempio, violenza sessuale e stalking.
A volte tra l’inizio delle indagini e l’inizio del processo trascorrono mesi, o anche anni.
Nel frattempo, la persona denunciata, venuta a sapere delle indagini, potrebbe pensare di fuggire e di sottrarsi al processo, rendendo vano il lavoro compiuto dagli inquirenti e, di conseguenza, la denuncia stessa.
Al fine di evitarlo, se si tratta di un reato grave, dalle indagini emerge in modo chiaro la colpevolezza dell’indagato e c’è il pericolo che lo stesso possa inquinare le prove, darsi alla fuga o ripetere la condotta illecita, il pubblico ministero può chiedere al giudice l’emissione di un’ordinanza con la quale limitare la libertà dell’indagato, attraverso le misure cautelari, quei provvedimenti, ( arresti domiciliari, custodia in carcere, divieto di allontanarsi dal comune di residenza) che servono a “fermare” l’indagato sino alla celebrazione del processo.

Procedimento di archiviazione

Il Pubblico ministero esercita l’azione penale chiedendo il rinvio a giudizio ex art. 416 c.p.p. della persona sottoposta ad indagini (che allora formalmente diviene imputato) ovvero l’archiviazione del procedimento secondo l’art. 408 e ss. c.p.p.

Le ragioni o i casi che possono muovere il dominus della fase delle indagini preliminari a presentare al Giudice richiesta di archiviazione possono essere di fatto o di diritto: la notizia di reato è infondata perché gli elementi acquisiti nelle indagini non sono idonei a sostenere l’accusa (artt. 408 c.p.p. e 125 disp. att. cp.p.[1]); qualora sia rimasto ignoto l’autore del reato (art. 415 c.p.p.); nel caso in cui manchi una condizione di procedibilità ovvero che l’indagato non è punibile ex art. 131 bis c.p.p., che il reato è estinto o che il fatto non è previsto dalla legge come reato (art. 411, comma 1 e 1 bis, c.p.p.). È chiaro che le prime due ipotesi predette rappresentano i casi di fatto, mentre le ultime in iure.

Senza voler entrare qui nel merito delle singole circostanze di fatto o di diritto, è adesso il caso di sottolineare però che, per come previsto dall’art. 407, comma 3 bis, c.p.p. recentemente inserito dalla Legge n. 103 del 23 Giugno 2017, art. 1, comma 30 – applicabile ai procedimenti in cui la notizia di reato è iscritta nell’apposito registro successivamente alla data di entrata in vigore della stessa Legge Orlando (3 Agosto 2017) – in ogni caso, il Pubblico ministero è tenuto ad esercitare l’azione penale ovvero a richiedere l’archiviazione entro il termine di tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini e comunque dalla scadenza dei termini di cui all’art. 415 bis c.p.p., prorogabile per altri tre mesi massimo dal Procuratore generale presso la Corte d’appello con decreto motivato nei casi di complessità delle indagini per la presenza di più fatti collegati o per l’elevato numero di indagati o di persone offese. Il termine è di quindici mesi (si crede anche prorogabili come prima) ove si proceda per determinati reati previsti e indicati. Fino a queste modifiche non era presente una circoscrizione così pregnante (si passi il lessico anche se i termini non sono previsti a pena di decadenza) dei tempi a disposizione del P.M. per richiedere l’archiviazione ed ancora di più il rinvio a giudizio, con la conseguenza che la persona offesa, ad esempio, in caso di richiesta di rinvio a giudizio e quindi in vista della celebrazione dell’udienza preliminare (ove prevista), potrà valutare in tempi ragionevoli (rispetto alla iscrizione del nome della persona alla quale è attribuito il reato nell’apposito registro ovvero, nei casi più ottimistici, alla consumazione del reato) se costituirsi o meno parte civile; mentre, in caso di richiesta di archiviazione, potrà predisporre una più efficace opposizione. Resta ferma, durante questi tre o quindici mesi (prorogabili), la impossibilità di compiere validamente ulteriori atti investigativi. D’altro lato appare chiaro come si sia quindi rinunciato a “obbligare” il Pubblico ministero ad agire entro il termine delle indagini preliminari, magari prorogato nelle forme di cui all’art. 406 c.p.p., concedendogli un tempo per valutare le risultanze delle investigazioni compiute nella speranza, contestualmente, di contenere i tempi. Si prevede infine che – sicuramente come corollario di quanto era già stabilito dall’art. 127 disp. att. c.p.p.[2] – se neanche allo scadere di detti termini il P.M. assuma la propria determinazione, ne dà immediata comunicazione al Procuratore generale presso la Corte d’appello. Quest’ultimo, per come previsto espressamente dal successivo art. 412, comma 1, c.p.p.dispone con decreto motivato l’avocazione delle indagini preliminari. Resta  comunque opinabile l’effettiva funzionalità di una disposizione che, così esplicitamente, obbliga il Pubblico ministero ad autodenunciare la propria inefficienza.

Vedi anche:”L’attività di indagine del Pubblico Ministero a favore dell’indagato: analisi dei pro et contra per una modifica”

Tutelare la vittima del reato

È palese, anche per quanto subito si dirà, una maggiore tendenza ad incrementare la tutela della vittima del reato.

In particolare, e per quanto più da vicino ci riguarda, il Pubblico ministero presenta al Giudice per le indagini preliminari la richiesta di archiviazione e ne notifica avviso alla persona offesa (oppure al Difensore di questa, se già nominato, in quanto domiciliatario ex lege ai sensi dell’art. 33 disp. att. c.p.p.) che, in sede di presentazione della notizia di reato o in un momento successivo, ne abbia fatto richiesta. Preme precisare che per i delitti commessi con violenza alla persona[3] e per quello di cui all’art. 624 bis c.p., l’avviso alla persona offesa è notificato anche nel caso in cui questa non ne abbia fatto espressa richiesta precedentemente, con ciò evidenziandosi la necessità di coinvolgerla nel procedimento sollecitando il suo intervento o anche il bisogno di una maggior tutela della vittima in tali casi.

A parere di chi scrive – anche per ragioni di snellimento della procedura – non appare legittimato a ricevere l’avviso anzidetto il semplice danneggiato dal reato che non sia identificabile anche come persona offesa per più ragioni (si pensi al reato di falsa testimonianza di cui all’art. 372 c.p.), tenuto conto che non potrebbe neanche proporre opposizione alla archiviazione e quindi essendo vanificato il fine principale della notifica dell’avviso e comunque potendo lo stesso agire in sede civile per il risarcimento del danno; viceversa la notifica è comunque doverosa (a pena di nullità del successivo decreto di archiviazione) nei casi diversi da quello di cui prima, poiché solo nella fase successiva alla proposizione della eventuale opposizione può verificarsi, nel pieno del contraddittorio delle parti, se i fatti denunciati possono essere sussunti nell’ambito di norme incriminatrici che consentano di riconosce al denunciante anche la qualità di persona offesa[4].

Con l’avviso di cui sopra, alla persona offesa è precisato che ha, nel termine di venti giorni – prima della riforma del 2017 di dieci giorni –, facoltà di prendere visione (inclusa quella di estrarre copia) degli atti e di proporre opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini. Sempre nell’ottica di una maggiore tutela degli interessi della persona offesa, il termine per proporre opposizione, negli stessi casi in cui l’avviso della richiesta di archiviazione è comunque doverosa anche laddove non se ne fosse fatta richiesta, è stato aumentato, per effetto dell’intervento del Legislatore del 2017, da venti a trenta giorni. È di dieci giorni nel caso di archiviazione per particolare tenuità del fatto.

A questo punto, se però è vera e giustificabile la scelta del Legislatore di includere tra i casi di notifica obbligatoria dell’avviso della richiesta di archiviazione oltre che quella di concedere trenta giorni “perfino” alle persone offese del reato di furto in abitazione, la medesima valutazione è certamente criticabile sotto un profilo di eguaglianza: come mai dare meno tempo per proporre opposizione – nella fattispecie venti giorni – e non riconoscere neppure l’obbligatorietà dell’avviso anche laddove non ne avesse fatto richiesta alla persona offesa, ad esempio, del reato di rapina[5]? Forse sarebbe stato meglio un intervento meno casistico.

Il termine – che sia di dieci, venti o trenta giorni – ha natura processuale, e pertanto è soggetto alla disciplina della sospensione feriale; dilatoria, ed è quindi inibito al Pubblico ministero trasmettere il fascicolo delle indagini preliminari al Giudice della stessa fase oltre che a quest’ultimo provvedere sulla stessa richiesta; ordinatoria e non quindi perentoria, con la conseguenza che l’opposizione alla richiesta di archiviazione depositata oltre il termine non rende, per ciò solo, la stessa richiesta inammissibile, dovendo il Giudice investito comunque valutarla, salvo il caso in cui abbia già emesso il provvedimento di archiviazione all’atto del deposito dell’opposizione. Tenuto conto che l’atto di opposizione non è diretto contro un provvedimento del Giudice bensì del Pubblico ministero, la perentorietà del termine non sarebbe neanche ricavabile dalla disciplina delle impugnazioni.

Ai sensi dell’art. 126 disp. att. del Codice di rito, poi, è precisato che il Pubblico ministero trasmette gli atti al Giudice per le indagini preliminari solo dopo la presentazione dell’opposizione della persona offesa ovvero dopo la scadenza del termine che alla stessa è dato per proporla.

Da quanto sopra consegue che la presentazione dell’opposizione deve essere effettuata dall’interessato presso la segreteria del Pubblico ministero in pendenza del termine, mentre presso la cancelleria del Giudice per le indagini preliminari cui sia stata trasmessa la richiesta ed il materiale documentale successivamente, per l’appunto, alla loro trasmissione da parte della segreteria del Pubblico ministero.

Nel caso in cui non vi sia la persona offesa dal reato, il Pubblico ministero trasmette il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate ed i verbali degli atti compiuti al Giudice per le indagini preliminari subito ed unitamente alla richiesta di archiviazione.

Il mancato invio dell’avviso, tanto nel caso in cui ne abbia fatto richiesta la persona offesa quanto in quello in cui lo stesso è obbligatorio, e il difettato rispetto dei termini concessi per l’opposizione rendono nullo il successivo decreto di archiviazione (art. 410 bis, comma 1, c.p.p.).

Ebbene, entrando ora nel merito del contenuto, della forma, dell’atto di opposizione, è necessario premettere che vi è una differenza portata avanti dalla Suprema Corte tra il caso in cui si discuta di opposizione ex art. 410 c.p.p. ovvero secondo l’art. 411, comma 1 bis, c.p.p. (archiviazione per particolare tenuità del fatto) – comma inserito dall’art. 2, comma 1, lett. b), D. Lgs. 28/2015. Diversità vi sono anche dal punto di vista procedurale. Infatti, intanto ricordiamo che se l’archiviazione è richiesta per particolare tenuità del fatto, il P.M. deve darne avviso anche all’indagato oltre che alla persona offesa, precisando che, nel termine di dieci giorni, è possibile prendere visione e copia degli atti oltre che presentare opposizione. Ancora, in tema di opposizione alla richiesta di archiviazione ex art. 131 bis c.p., la persona offesa (come l’indagato che potrebbe avere interesse ad un epilogo decisorio pienamente liberatorio) è tenuta ad indicare, a pena di inammissibilità, le “ragioni del dissenso” rispetto alla sussumibilità della condotta nell’ipotesi della particolare tenuità del fatto e non necessariamente, come invece richiesto dall’art. 410, comma 1, c.p.p. per l’opposizione alla richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, le indagini suppletive ed i relativi mezzi di prova, stante la diversità tra le due ipotesi di archiviazione e le ragioni poste a sostegno delle stesse[6]. Ove la persona offesa indichi quindi le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta di archiviazione, il Giudice non può decidere de plano ma deve necessariamente fissare l’udienza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 409, comma 2, c.p.p., essendo ciò funzionale alla instaurazione del contraddittorio tra le parti ed all’esercizio del diritto di difesa, riconosciuto alla persona offesa dall’art. 411, comma 1 bis, c.p.p., la cui inosservanza, pertanto determina la nullità del’eventuale provvedimento adottato[7]. I principi sono stati recentemente confermati dai Giudici di Piazza Cavour nella sentenza n. 10402 del 7 Marzo 2018. Tale diversità di scelte legislative poggia anche sull’evidente differenza fra entrambe le ipotesi di archiviazione: quella di cui all’art. 408 o le altre ex art. 411 c.p.p. presuppongono l’infondatezza della notizia di reato piuttosto che la mancanza di una condizione di procedibilità o che il reato è estinto o che non è previsto dalla legge come reato, e per l’effetto il P.M. chiede la chiusura del procedimento; l’archiviazione per particolare tenuità del fatto presuppone, invece, l’esatto contrario: che il reato oggetto delle indagini sia stato commesso ma che, ciò nonostante, ricorra la causa di non punibilità prevista dall’art 131 bis c.p.p., in presenza della quale deve pervenirsi ugualmente alla chiusura del procedimento.

Il Giudice, nell’ipotesi di opposizione all’archiviazione per particolare tenuità del fatto, se questa non è inammissibile (dunque se sono esplicitate le ragioni del dissenso alla archiviazione), procede quindi alla fissazione dell’udienza in camera di consiglio, ne fa dare avviso al P.M., all’indagato ed alla persona offesa e, dopo il contraddittorio tra le parti, se accoglie la richiesta di archiviazione provvede con ordinanza; se non la accoglie restituisce gli atti al P.M. provvedendo eventualmente ad indicare ulteriori indagini fissando un termine per il compimento delle stesse, o provvedendo entro tre mesi sulle richieste, ovvero ordinando che entro dieci giorni formuli l’imputazione fissando con decreto l’udienza preliminare; nel caso di mancata opposizione, ovvero quando questa sia inammissibile (i.e. non sono contenute ragioni del dissenso), ed accoglimento della richiesta, pronuncia decreto motivato.

In tutti gli altri casi di archiviazione, se non è stata presentata opposizione (esclusivamente dalla persona offesa), il Giudice, se accoglie la richiesta del Pubblico ministero, pronuncia decreto motivato e restituisce gli atti a quest’ultimo. Detto provvedimento è notificato all’indagato solo nel caso in cui lo stesso fosse sottoposto alla misura della custodia cautelare. Se non accoglie la richiesta di archiviazione, il G.I.P., entro tre mesi – termine introdotto dalla c.d. riforma Orlando, attraverso la modifica dell’art. 409 c.p.p. –, fissa l’udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso al P.M., all’indagato ed alla persona offesa nonché al Procuratore generale presso la Corte d’appello (per l’esercizio, in quest’ultimo caso, dell’eventuale potere di avocazione ex art. 412, comma 2, c.p.p.). Tale avviso non è espressamente previsto per il caso di archiviazione per particolare tenuità del fatto. Il procedimento segue le forme di cui all’art. 127 c.p.p. (con avviso agli interessati almeno dieci giorni prima, facoltà di presentare memorie sino a cinque giorni prima, possibilità delle parti di prendere visione ed estrarre copia degli atti nella cancelleria del Giudice, possibilità di essere sentite in caso di comparizione in udienza, senza pubblico). Successivamente all’udienza, se il Giudice ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica con ordinanza al P.M. fissando il termine indispensabile per il compimento delle stesse, altrimenti provvede entro tre mesi (anche questo termine è stato introdotto dalla riforma Orlando) sulle richieste, ossia, insomma, decide se emettere ordinanza di archiviazione oppure chiedere al Pubblico ministero di formulare l’imputazione. Può anche, se non accoglie la richiesta di archiviazione, disporre con ordinanza che, entro dieci giorni, il P.M. formuli l’imputazione e, entro i successivi due giorni, fissare l’udienza preliminare con decreto nel quale sono enunciati gli elementi previsti all’articolo 417 comma 1 lettere a)b)c) c.p.p. (art. 128 disp. att. c.p.p.).

Come si vede, ci si è preoccupati di disciplinare con termini seppur ordinatori la fissazione dell’udienza e le decisioni a questa successive, ma nulla si è detto dell’arco temporale precedente che va dalla formulazione della richiesta di archiviazione dal P.M. alla prima decisione da parte del Giudice.

 

Redazione

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