Contributo tratto dal volume “Donne e reato”, Maggioli Editore, 2015
La misura alternativa della detenzione domiciliare speciale ex art. 47 quinquies inserita dalla legge n. 40 del 2001 (conosciuta come legge Finocchiaro) permette alle madri condannate, anche a pene elevate, di provvedere alla cura e all’assistenza della prole, consentendo loro di espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza.
La legge ha introdotto i due nuovi istituti della detenzione domiciliare speciale e dell’assistenza all’esterno di figli minori (art. 47 quinquies, sexies e art. 21 bis O.P.), con lo scopo di dare compiuta attuazione al principio costituzionale di cui all’art. 31 Cost. che obbliga lo Stato a predisporre gli strumenti giuridici e sociali a tutela della maternità e dell’infanzia.
La concessione di tali benefici non è automatica, dovendo essere valutata caso per caso.
Quali sono i presupposti?
• madre di prole non superiore a 10 anni
• insussistenza del pericolo di commissione di ulteriori delitti
• possibilità di ripristinare la convivenza con i propri figli
• espiazione di almeno un terzo della pena ovvero 15 anni nel caso di condanna all’ergastolo
La detenzione domiciliare speciale è, quindi, un particolare beneficio previsto per le madri condannate con prole sotto i 10 anni, mirante a tutelare l’interesse prioritario dei minori in un periodo cruciale della formazione, per evitare che lo sviluppo psico-fisico di un neonato nei primissimi anni di vita possa subire conseguenze irreparabili a causa di una prolungata permanenza in ambito istituzionalizzato ovvero un preventivo distacco dalla figura materna.
Tale misura può essere concessa, alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata o non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre.
A chi deve essere proposta l’istanza?
L’istanza di detenzione domiciliare speciale deve essere proposta dall’interessata o dal suo difensore, al Tribunale di Sorveglianza, il quale dispone:
• le modalità di attuazione della misura ovvero impone eventuali divieti o limiti alla persona, quando è necessario comunicare con persone diverse da quelle che coabitano con lei o che l’assistono (art. 284 c.p.p. secondo comma)
• il periodo di tempo che la persona può trascorrere all’esterno del proprio domicilio
• le prescrizioni relative agli interventi del servizio sociale
Secondo i dati ufficiali forniti dal ministero della Giustizia, al 31 dicembre 2014 in Italia le detenute madri erano 27, e 28 i bambini con meno di tre anni che vivevano negli istituti penitenziari.
Il problema principale riguarda una parte consistente della popolazione penitenziaria femminile costituita da tossicodipendenti e da straniere le quali molte volte non sono in grado di soddisfare i requisiti richiesti dalla legge.
Ecco perché il legislatore è ritornato sulla disciplina con legge n. 62 del 2011 in merito all’art. 47 quinquies.
Con tale legge vengono introdotte nuove strutture: gli istituti a custodia attenuata (Icam ) e le case famiglia protette.
L’articolo 4 della legge 62 ha affidato ad un decreto del Ministro della giustizia, da adottare, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore, d’intesa con la Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali, la determinazione delle caratteristiche tipologiche delle case famiglia protette previste dall’articolo 284 del codice di procedura penale e dagli articoli 47-ter e 47-quinquies della legge 354/1975. L’art. 4 prevedeva che il Ministro della giustizia, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, potesse stipulare con gli enti locali convenzioni volte ad individuare le strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette.
Dopo che le caratteristiche delle case famiglia protette erano state individuate con D.M. giustizia 26 luglio 2012, un successivo provvedimento, il D.M. giustizia 13 gennaio 2013 ha annullato il primo decreto in quanto adottato in carenza dell’intesa con la Conferenza Stato-Città e Autonomie locali prevista dall’art. 4 della legge 62/2011.
Ai fini dell’applicazione della detenzione domiciliare speciale di cui all’articolo 47 quinquies legge n. 354 del 1975, il giudice, dopo aver accertato la sussistenza dei presupposti formali ed escluso il concreto pericolo di commissione di ulteriori reati, deve verificare la possibilità per la condannata sia di reinserimento sociale sia di effettivo esercizio delle cure parentali nei confronti di prole di età non superiore ai dieci anni, costituendo il primo un requisito necessario per l’ammissione al regime alternativo e la seconda la circostanza che giustifica il maggior ambito applicativo della misura alternativa (Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza 19 settembre 2013 n. 38731).
La sentenza n. 239 depositata il 22 ottobre 2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4-bis, comma 1 della legge 26 luglio 1975, n. 354 (così come dell’articolo 47-ter per le condanne fino a 4 ani), nella parte in cui non esclude dal divieto di concessione dei benefici penitenziari, da esso stabilito, la misura della detenzione domiciliare speciale prevista dall’art. 47-quinquies della medesima legge. La Corte costituzionale ha ritenuto che la norma restrittiva non rispetti il principio di uguaglianza, né il diritto-dovere di educazione dei figli e della protezione dell’infanzia, ed è in contrasto con gli articoli della Costituzione a tutela della famiglia. Non bisogna escludere il beneficio a priori, dice la Corte, come impone la legge, bisogna fare “valutazioni” caso per caso. È inevitabile che Sentenza della Consulta subordini la concessione del beneficio alla verifica della insussistenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.
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